Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20659 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 24/06/2019, dep. 31/07/2019), n.20659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusep – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18818/2014 proposto da:

Provincia Arezzo, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Della Conciliazione 44 presso

lo studio dell’avvocato Maurizio Brizzolari, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Cinzia Baldo, in forza di procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Toscana;

– intimato –

e contro

P.P., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II 18, presso lo Studio Lessona e rappresentata e difesa

dall’avvocato Simone Nocentini in forza di procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente incidentale –

contro

Provincia Arezzo, Regione Toscana;

– intimati –

avverso la sentenza n. 499/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.P., proprietaria di terreni in (OMISSIS) ove svolgeva attività di impresa agricola, in parte espropriati in data 12/10/2010 da parte della Provincia di Arezzo e in parte solamente occupati, con atto notificato il 25/2/2011 ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Firenze la Provincia di Arezzo e la Regione Toscana, chiedendo la congrua determinazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione, nonchè l’indennità D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 40, comma 4.

Si è costituita in giudizio la sola Provincia di Arezzo, chiedendo il rigetto della domanda dell’attrice.

La Corte di appello di Firenze con sentenza del 20/3/2014, ha ritenuto il terreno in questione non edificabile, perchè sito in fascia di rispetto autostradale, ma commercialmente sfruttabile con funzione ancillare rispetto al pieno sfruttamento edilizio del comparto (OMISSIS) e ha conseguentemente individuato, in sintonia con il consulente d’ufficio, il valore di mercato delle aree.

La Corte ha quindi determinato l’indennità di espropriazione in Euro 359.647,20, l’indennità di occupazione in Euro 95.271,54, e l’indennità D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 40, comma 4, in Euro 11,160,09, ordinando il deposito di tali somme, al netto di quanto già versato, presso la Cassa Depositi e Prestiti, oltre interessi legali; ha inoltre condannato la Provincia di Arezzo a rifondere all’attrice la metà delle spese processuali sostenute e ha ripartito al 50% fra le parti l’onere della c.t.u. espletata.

2. Avverso la predetta sentenza del 20/3/2014, notificata il 29/5/2014, ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Arezzo, con atto notificato il 22/7/2014, svolgendo due motivi.

Con atto notificato il 21/10/2014 ha proposto controricorso e ricorso incidentale P.P., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di sei motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

La Provincia di Arezzo ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I due motivi di ricorso principale sono connessi e quindi possono essere esaminati congiuntamente.

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 32 e 37 e della L. 15 giugno 1865, n. 2359, art. 36.

I terreni per cui è causa erano compresi nella fascia di rispetto stradale – corridoio infrastrutturale sottostante la zona a verde pubblico esterna alla perimetrazione dei comparti (OMISSIS), in cui erano consentiti interventi di trasformazione edilizia; non era quindi consentito attribuire ai terreni espropriati l’asserita natura edificabile, essendo vietati interventi di nuova costruzione; l’indennità doveva essere determinata con riferimento al valore agricolo dei terreni.

Tanto premesso, secondo la ricorrente, in maniera del tutto illogica il C.t.u. ha ritenuto che i terreni in questione, non compresi nel comparto produttivo (OMISSIS), fossero da ritenere edificabili dal punto di vista normativo ai fini indennitari, così violando il fondamentale criterio dell’edificabilità legale ed effettiva.

Inoltre l’edificabilità dei terreni conseguente alla necessità della loro disponibilità per poter sfruttare l’area DR-1 andava a vanificare il sistema dicotomico di suddivisione delle aree introdotto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

In ogni caso, il valore del terreno non poteva essere desunto dalla comparazione con quello relativo ad immobili edificabili.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ossia il fatto, acclarato dal C.t.u., che i terreni non erano stati inseriti in alcuna delle zone omogenee previste dal P.R.G. e comunque non potevano essere considerati edificatori per la loro destinazione a verde pubblico con parcheggio e comprese nella fascia di rispetto autostradale non edificabile.

La Corte di appello, del tutto arbitrariamente, aveva trasferito sui terreni espropriati, meramente confinanti ed esterni al comparto edificabile DR-1, un valore riferito alla loro partecipazione allo sfruttamento dei terreni edificabili, riconoscendo loro attitudine sub-edificatoria.

1.3. Le censure non sono pertinenti nel loro riferirsi alla consulenza tecnica d’ufficio, dovendo invece parametrarsi al tenore della sentenza impugnata che, pur dando atto delle osservazioni del C.t.u., ne ha preso in parte le distanze con proprie autonome argomentazioni.

1.4. I motivi peccano ulteriormente di pertinenza e specificità perchè la Corte di appello non ha affatto affermato che i terreni in questione avessero natura edificabile ed anzi lo ha escluso, limitandosi a ricordare che prima dell’apposizione del vincolo le aree in questione, secondo le norme tecniche di attuazione, potevano essere utilizzate come standard rispetto alla confinante area edificabile (OMISSIS).

Secondo la Corte di appello, il valore di mercato di tali terreni non edificabili doveva tener conto della possibilità di impiego c.d. “ancillare” rispetto allo sfruttamento edilizio del comparto edificabile (OMISSIS) e ha indicato il prezzo di Euro 57 al metro quadro come la somma che un operatore interessato a sfruttare la massimo l’edificabilità del comparto avrebbe potuto pagare per acquisire i terreni in questione.

La Corte non ha utilizzato i valori pagabili al metro quadro per terreni edificabili quale tertium comparationis, considerando tale valore solo come presupposto della valutazione ben differente del terreno ancillare.

1.5. Infine, allo stesso proposito, non si può configurare il vizio motivazionale di omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti, visto che la destinazione non edificatoria delle aree espropriate non è stata affatto trascurata e misconosciuta dalla Corte di appello.

Il ricorrente manifesta un mero dissenso nel merito rispetto alla valutazione operata dai Giudici fiorentini.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale di P.P., proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33.

2.1. L’attrice aveva richiesto sin dall’atto introduttivo del giudizio che l’indennità fosse commisurata alla diminuzione del valore della parte residua del fondo a seguito dell’esproprio parziale subito, ai sensi dell’art. 33 Testo Unico.

La Corte di appello ha ritenuto inapplicabile la norma, richiamando sinteticamente l’opinione espressa dal C.t.u. alle pagine 20 e 23 della relazione con la locuzione ipersuccinta “Non rileva il D.P.R. n. 327, art. 33: pagg.20 e 23 di ctu”.

Essa è così incorsa – secondo la ricorrente incidentale – nel contrasto con la consolidata interpretazione che richiede il duplice presupposto che la parte espropriata e quella non espropriata del fondo siano elementi di un unicum sotto il profilo funzionale ed economico e che il distacco della parte espropriata influisca negativamente sul valore della parte residua (composta da 7 ettari dopo lo scorporo di 12, completamente frazionati e non più egualmente coltivabili), pienamente sussistente nel caso concreto e negato apoditticamente dalla Corte di appello.

2.2. il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 prevede per il caso di esproprio parziale di un bene unitario che il valore della parte espropriata sia determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la liquidazione dell’indennità per l’espropriazione parziale è commisurata alla differenza tra il giusto prezzo dell’immobile prima dell’esproprio e il giusto prezzo della parte residua dopo l’esproprio stesso, dovendo tenersi conto, oltre che del valore della porzione ablata, anche del decremento della parte di fondo residuata all’espropriazione. Ciò comporta, per i suoli agricoli, l’attribuzione di un valore complementare che, nel caso di esercizio di azienda agricola, compensa anche i maggiori oneri di conduzione aziendale, in quanto la legge introduce, quale componente essenziale dell’indennità, anche il ristoro del pregiudizio subito dall’azienda (Sez.6, 03/11/2017, n. 26243); l’indennizzo riconosciuto al proprietario dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 323 non può riguardare soltanto la porzione espropriata, ma anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua (Sez. 1, 07/10/2016, n. 2024).

2.3. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha adottato in modo, come si è detto molto sintetico, una motivazione per relationem.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, purchè il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (Sez. 6 – L, n. 21978 del 11/09/2018, Rv. 650253 – 01); la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un altro atto processuale senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Sez. 2, n. 18754 del 23/09/2016, Rv. 641281 – 01); in particolare, non è carente di motivazione la sentenza che recepisce per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorchè si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione. (Sez. 6 – 3, n. 4352 del 14/02/2019, Rv. 653010 – 01); in quel caso pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativi, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 10222 del 04/05/2009, Rv. 607766 – 01).

La parte che col ricorso per cassazione deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere questa deciso la causa sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio, ignorando le critiche sollevate contro l’operato del consulente, ha l’onere di precisare nel ricorso il contenuto specifico di dette critiche, non essendo ammissibile l’esposizione per relationem, attraverso il riferimento ad un atto del pregresso giudizio di merito (Sez. 2, n. 11857 del 26/11/1997, Rv. 510403 – 01; Sez. 1, n. 10344 del 02/10/1995, Rv. 494148 – 01).

2.4. La ricorrente incidentale doveva quindi confrontarsi con il tenore dell’atto richiamato e cioè le pagine 20 e 23 della consulenza tecnica d’ufficio che integravano, in forza del rinvio operato, il contenuto motivazionale della sentenza impugnata, riproducendone il contenuto nel ricorso e criticandolo in modo pertinente e specifico.

2.5. Ciò non è avvenuto.

La ricorrente incidentale non ha allegato la relazione peritale in questione, ha riportato brani dei propri atti difensivi e tecnici ma ha riferito (e criticato) solo una motivazione esposta dal Consulente tecnico alla pagina 24 della relazione (e non alle pagine 20 e 23), relativamente alla mancata dimostrazione da parte del consulente di parte attrice di alcun elemento oggettivo di perdita di valore della parte residua della proprietà, in conseguenza della riduzione di capacità produttiva aziendale e della mancata produzione dei bilanci dell’attività agricola comprovanti un decremento di redditività.

La ricorrente non ha invece riferito e tantomeno criticato il contenuto delle argomentazioni di pagine 20 e 23 della relazione del C.t.u. che invece la Corte di appello aveva fatto proprie e recepito nella motivazione.

Il motivo è pertanto inammissibile.

3. Con il secondo motivo di ricorso incidentale di P.P., proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 33 e 50.

3.1. Secondo la ricorrente era conseguentemente viziata la sentenza impugnata anche nella parte in cui l’indennità di occupazione era stata determinata senza tener conto del deprezzamento del bene residuo.

3.2. Il motivo è meramente consequenziale e cade con il cadere del primo motivo, in punto mancato riconoscimento del deprezzamento del bene residuo a fini espropriativi.

4. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 23 e 50.

4.1. La sentenza aveva errato nell’attribuzione degli interessi, fatti decorrere illegittimamente, in assenza di specificazioni, dalla domanda e non già, quanto all’indennità di occupazione, anno per anno, alla scadenza di ogni singola annualità, e per l’indennità di espropriazione dal giorno dell’esproprio.

4.2. La sentenza impugnata ha fatto decorrere gli interessi dalla domanda giudiziale “in assenza di ogni specificazione nella relativa richiesta”, tanto per l’indennità di espropriazione, quanto per l’indennità di occupazione.

Secondo consolidata giurisprudenza, invece, le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di valuta (non di valore), sicchè, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Sez.1, 18/08/2017, n. 20178; Sez. 1, 09/10/2013, n. 22923; Sez. 1, 13/02/2012, n. 2036; Sez. 1, 20/06/2011, n. 13456; Sez. 1, 16/07/2008, n. 19590).

Dagli atti risulta che l’immissione in possesso è avvenuta in data 8/1/2008 (allegato 4 del fascicolo 1 grado e allegato 4 al ricorso della Provincia) in forza del decreto 3/12/2007 n. 427/SDG della Provincia aretina. Altre aree non soggette ad esproprio sono state occupate in data 9/7/2008 (allegato 4 del fascicolo 1 grado e allegato 4 al ricorso della Provincia) in forza di decreto del 16/6/2008.

4.3. La sentenza deve essere cassata sul punto con rinvio, senza la possibilità di decidere nel merito, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto per individuare all’interno della somma determinata a titolo di indennità di occupazione le corrette decorrenze.

5. Il quarto e il quinto motivo sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

5.1. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento alla rivalutazione monetaria delle somme dovute a titolo indennitario, richiesta dall’attrice anche a titolo di maggior danno.

5.2. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia omessa pronuncia in ordine alla rivalutazione monetaria delle somme dovute a titolo indennitario, richiesta dall’attrice anche a titolo di maggior danno, in violazione dell’art. 112 e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

5.3. Entrambe le censure sono infondate.

La ricorrente incidentale si era limitata a chiedere nelle sue conclusioni, oltre agli interessi legali, l'”integrale rivalutazione monetaria anche a titolo di maggior danno”.

Il credito relativo all’indennità di espropriazione e di occupazione non è di valore, ma di valuta e non è quindi soggetto alla rivalutazione monetaria (Sez. 1, n. 20178 del 18/08/2017, Rv. 645212 – 01; Sez. 1, n. 19437 del 23/09/2011, Rv. 619780 – 01; Sez. 1, n. 13456 del 20/06/2011, Rv. 618330 – 01).

La richiesta sopra citata di vedersi riconoscere la rivalutazione monetaria anche a titolo di maggior danno non concretizza una valida domanda ex art. 1224 c.c., comma 2.

La ricorrente non ha dato adeguatamente conto, nel rigoroso rispetto del canone di autosufficienza del ricorso e dei correlativi oneri, di aver proposto in giudizio una valida domanda, completa di tutti i suoi elementi costitutivi essenziali: non è certo sufficiente a tal fine la mera proposizione del petitum perchè l’atto deve contenere anche l’adeguata rappresentazione della causa petendi cosa che non viene affatto adeguatamente dedotta e precisata nel ricorso.

Fra i requisiti essenziali della domanda giudiziale, la cui indeterminazione è sanzionata dall’art. 164 c.p.c., comma 4, figura non solo “la cosa oggetto della domanda” (ossia il petitum) ma anche la “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni” (ossia la causa petendi); tale ultimo requisito non è certamente soddisfatto dalla mera indicazione delle norme di diritto invocate, ma richiede necessariamente e soprattutto l’indicazione dei fatti (la fattispecie concreta) in forza dei quali la domanda viene proposta (e cioè dei fatti che, opportunamente sussunti nella fattispecie astratta, giustificherebbero l’accoglimento della richiesta della parte).

5.4. E’ infatti mancata l’allegazione da parte della ricorrente incidentale degli elementi costitutivi del danno.

Questa Corte ha infatti chiarito che nel ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il creditore che richieda il risarcimento del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, alla stregua del saggio medio di rendimento dei titoli di stato di durata infra-annuale superiore al tasso di interessi nel periodo di mora è tenuto unicamente all’allegazione dell’esistenza di detto saggio, ma non alla relativa prova, costituendo esso un fatto notorio, siccome riscontrabile presso l’istituto di emissione, Banca d’Italia. Tuttavia, la deduzione da parte del creditore di un diverso e maggiore criterio di redditività del denaro, qualora non accompagnata dalla dimostrazione presuntiva dei fatti giustificativi del reimpiego afferenti la qualità soggettiva del creditore o l’attività da esso svolta, implica l’allegazione, in via subordinata, della domanda di maggior danno secondo il criterio del rendimento medio dei titoli di stato di durata non superiore all’anno. (Sez. 3, n. 6684 del 19/03/2018, Rv. 648465 – 01).

La richiesta proposta da P.P., totalmente generica era sfornita della necessaria allegazione dei fatti determinativi del danno non coperto dagli interessi legali, poichè l’agevolazione in via presuntiva gioca solo sul terreno probatorio e non su quello assertivo- allegativo.

In difetto di valida domanda non è configurabile neppure l’omesso esame di un fatto non decisivo e addirittura irrilevante.

6. Con il sesto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 91 c.p.c.

6.1. La Corte di appello aveva compensato per la metà le spese processuali sulla base dell’esito del giudizio e aveva posto le spese di consulenza tecnica per metà ciascuno a carico dell’attrice e della Provincia.

Invece le domande dell’attrice erano state accolte in senso sostanziale e comunque la Provincia aveva depositato somme esigue (Euro 12.000,00) rispetto a quelle riconosciute in sentenza.

6.2. Il motivo resta assorbito per effetto della cassazione della sentenza impugnata con riferimento al terzo motivo di ricorso incidentale, che imporrà al Giudice di rinvio la rivalutazione complessiva del carico delle spese di lite.

7. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione al terzo motivo di ricorso incidentale, dichiarati inammissibili il primo, il secondo, il quarto e il quinto e assorbito il sesto, e rigettato il ricorso principale, con il rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE

accoglie il terzo motivo di ricorso incidentale, dichiarati inammissibili il primo, il secondo, il quarto e il quinto e assorbito il sesto, rigetta il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 24 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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