Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20659 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/07/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 20/07/2021), n.20659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9334/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.B.M.;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 477/10/13 della Commissione tributaria

regionale per l’Abruzzo, depositata il 2/10/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In seguito a ricostruzione induttiva dei compensi di lavoro autonomo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, art. 39, comma 1, lett. d), l’Agenzia delle Entrate notificò a G.B.M. due distinti avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2005 e 2006, con i quali recuperò Irpef e addizionali, nonché l’Iva non applicata in relazione alla cessione di materiale ortopedico o di protesi e l’Irap. Impugnati, con distinti ricorsi, i predetti atti dal contribuente, la C.T.P. di Pescara, previa loro riunione, accolse la domanda con sentenza n. 57/03/2011, che fu confermata con la sentenza n. 477/10/2013 dalla C.T.R. per l’Abruzzo.

2. Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo. Il contribuente è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo, si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia e per ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla domanda, formulata in grado d’appello, con la quale era stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado e la rideterminazione degli imponibili derivanti da attività di lavoro autonomo per l’annualità 2006 in Euro 135.911,00, e per avere riconosciuto il diritto al rimborso dell’Irap, benché questo argomento non fosse stato oggetto della materia del contendere, avendo il contribuente chiesto la rideterminazione del reddito professionale ai fini Irpef, Iva e Irap, senza contemplare la questione della sussistenza dei presupposti Irap o l’illegittimità del diniego del rimborso a tale titolo.

2.1 Il motivo è fondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, gli estremi della dedotta doglianza di nullità processuale della sentenza (per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente) sono integrati nell’ipotesi di “assenza” della motivazione, quando cioè “non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione”, non configurabile nel caso di “una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata” (ad es., da ultimo, Cass. Sez. 3, 15/11/2019, n. 29721) ovvero nel caso di “motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado” (cfr. ad es. Cass. Sez. L, 25/10/2018, n. 27112) ovvero qualora la motivazione “risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione” (ad es. Cass. Sez. 6 – 3, 25/09/2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione”, Cass. Sez. 6 – L, 25/06/2018, n. 16611).

Quanto al vizio di ultrapetizione, poi, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di contenzioso tributario, i motivi dell’opposizione al provvedimento impositivo si configurano come causae petendi della correlata domanda di annullamento (Cass., Sez. 6 – 5, 06/04/2017, n. 9020), sicché l’esame di un motivo di nullità dell’avviso di accertamento non dedotto dalla parte interessata o dedotto sotto profili diversi da quelli che costituiscono la ratio decidendi, dà luogo ad un vizio di extrapetizione che, per essere corretto dal giudice del gravame, deve formare oggetto specifico d’impugnazione (Cass., Sez. 5, 15/12/2017, n. 30144; Cass., Sez. 1, 20/09/1996, n. 8387), derivandone altrimenti la formazione di un giudicato interno non deducibile in cassazione (Cass., Sez. 5, 28/09/2007, n. 20393).

2.2 Nella specie, risulta dai ricorsi del contribuente inseriti nell’atto introduttivo del presente giudizio che questi aveva chiesto l’annullamento dei due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2005 e 2006, per falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in quanto l’Ufficio, nel contestare l’entità dei compensi ricevuti ai fini delle imposte dirette, Iva e Irap e nel verificare i costi sostenuti e la loro inerenza all’attività professionale svolta, aveva omesso di distinguere quella libero-professionale privatistica, da quella convenzionata con la A.S.L. e da quella svolta come C.T.U. preso vari Tribunali.

A fronte delle ragioni riconosciute allo stesso dalla C.T.P., l’Ufficio aveva impugnato la sentenza, per un verso, contestando il vizio di ultrapetizione e l’avvenuto annullamento integrale degli avvisi da parte dei giudici di prime cure, benché il contribuente non avesse eccepito alcunché rispetto ai rilievi sull’Iva, e benché, fatta ammenda sul mancato discernimento delle prestazioni rese dal contribuente, si sarebbero dovute espungere dal calcolo delle stesse quelle convenzionate, con conseguente rideterminazione, in riduzione, dell’imponibile relativo al 2006, e, per altro verso, contestando l’erroneità della decisione allorché aveva equivocato sul termine “fatturato”, avendo la C.T.P. ricondotto la rideterminazione dell’imponibile ad una percentualizzazione della sua incidenza, anziché ad un calcolo delle singole fatture riportanti quale prestazione il “rilascio certificato” ovvero la “perizia”.

Orbene, la C.T.R., pur riportando correttamente nella parte dello “svolgimento del processo” le questioni sottoposte al suo scrutinio, come sopra ricordate, si dilunga nella parte motiva unicamente su una questione affatto differente, in quanto riguardante la sussistenza dei presupposti dell’autonoma organizzazione necessari ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, per l’applicazione dell’Irap ai lavoratori autonomi, per poi concludere che il contribuente non avrebbe potuto essere considerato soggetto a tale imposta, che il contribuente ne aveva dato ampia dimostrazione e che pertanto l’appello andava rigettato.

Appare dunque evidente l’inconferenza delle argomentazioni svolte dai giudici di secondo grado, rispetto ai motivi d’appello, con conseguente fondatezza della censura proposta.

3. In conclusione, il motivo deve essere accolto e la sentenza cassata, con rimessione della causa alla C.T.R. dell’Abruzzo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il motivo proposto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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