Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20657 del 30/09/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20657 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 11644-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, Società con socio unico, in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
FIORILLO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
DE MARTINIS CIRO, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli
avvocati VINCENZO DI PALMA, FRANCESCO TORTO giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 30/09/2014

avverso la sentenza n. 2328/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 14/03/2012, depositata il 03/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’08/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO

FERNANDES.

Ric. 2013 n. 11644 sez. ML – ud. 08-07-2014
-2-

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’8 luglio
2014, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a
norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
” La Corte di appello di Roma, con sentenza del 3 maggio 2012,

dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso
tra De Martinis Ciro e Poste Italiane e relativo al periodo dal 1.2.2000 al
29.2.2000 ed aveva accertato la intercorrenza tra le parti di un rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato condannando la società a
riammettere in servizio il ricorrente, riformandola laddove aveva statuito
sul risarcimento del danno in favore del lavoratore che rideterminava, in
applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 32 della L. n. 183/2010, in
quattro mensilità con riferimento all’ultima retribuzione globale di fatto
oltre accessori come per legge.
Il termine al contratto era stato apposto ” per esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e di attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane”.
La Corte territoriale rilevava che detto contratto era stato stipulato
dopo lo spirare del termine massimo di vigenza della contrattazione che
autorizzava le ipotesi “ulteriori” di legittima apposizione del termine ai
contratti di lavoro con la società Poste Italiane (e cioè dopo il 30/4/1998).
Per la cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a.
affidato a due motivi.
Il De Martinis resiste con controricorso.

l

confermava la decisione del Tribunale in sede nella parte in cui aveva

Con il primo motivo del ricorso viene dedotta violazione degli artt. 1372,
co. 10, 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 c.c. e 100 c.p.c. ( art. 360, co. 1 n. 3
c.p.c.), avendo il giudice rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del
rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che il
comportamento inerte delle parti evidenziava il disinteresse al suo

Il motivo è manifestamente infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle
parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune
volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo” (v, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n.
20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché più di recente, Cass. 18-11-2010
n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera
inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è
di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n.
5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione,
“l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà
chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 22010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo

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ripristino.

prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria
valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad
integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine
alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice
trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di

Orbene nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato che la società non
aveva dedotto alcuna circostanza significativa rispetto al mero decorso del
tempo e che l’accettazione senza riserve del TFR era un elemento del tutto
neutro e giustificato anche dalla necessità di far fronte alle esigenze
quotidiane stante il venir meno della retribuzione.
Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito, risulta
aderente al principio sopra richiamato e resiste alle censure della società
ricorrente che, in sostanza, si incentrano genericamente sulla proposizione
di una diversa lettura della inerzia, pur prolungata, del lavoratore, della
riscossione senza riserve, da parte dello stesso, delle indennità di fine
rapporto.
Col secondo articolato motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 del CCNL
26.11.1994, nonché degli accordi sindacali del 25.9.1997, del 18.1.1998, del
27.4.1998, del 2.7.1998 e del 18.1.2001, in connessione con l’art. 1362 c.c.
e segg. – art. 360 c.p.c., n. 3. Si assume che, facendo corretta applicazione
dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., e, in particolare,
ricercando la volontà comune delle parti nello stipulare l’integrazione
all’art. 8 CCNL 1994, doveva concludersi che gli accordi collettivi non
fissavano alcun limite temporale alla stipula dei contratti a termine.
Si deduce, altresì, omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio assumendosi che la Corte territoriale
aveva esposto in modo inidoneo le ragioni circa il rapporto, asseritamente

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operatività del rapporto.

sussistente, tra il contratto collettivo, l’Accordo sindacale del 25.9.1997 ed i
successivi ed. accordi attuativi, in relazione alla esistenza del supposto
limite temporale.
Il motivo è infondato.
Ed infatti la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L. 28

possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla
L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17,
art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di
apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una
vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non
sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale
nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo
del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta l’interpretazione dei
giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo
stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza dapprima fino al 31.1.98 e poi (in
base al secondo accordo) fimo al 30.4.98 della situazione di fatto integrante
delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far
fronte a tali esigenze l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di
personale con contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo
che debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine
stipulati successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano raggiunto
un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi
che tale limite avevano posto, fissandolo prima al 31.1.98 e dopo al
30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine

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febbraio 87, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la

avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto fosse scaduto dopo il
30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo 18.01.01
perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè quando si
era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità. Anche se con

accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine
effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97 (ormai scaduto),
comunque sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto
dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti potessero, con
detto strumento, autorizzare ex posi contratti a termine non più legittimi
perché adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per
tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigente eccezionali è dunque nego zialmente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art.
23. Essendo stato il contratto del De Martinis stipulato per il periodo
1°.2.2000 — 29.2.2000 il motivo è infondato.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod.
proc. civ., n. 5, il rigetto del ricorso.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.
Il Collegio, condivide il contenuto e le conclusioni della riportata
relazione e, quindi, rigetta il ricorso.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo in

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quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli

favore del De Martinis con attribuzione all’avv. Vincenzo Di Palma per
dichiarato anticipo fattone.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per

nella misura del 15% con attribuzione all’avv. Vincenzo Di Palma.
Ai sensi dell’alt 13 , comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo
13.
Così deciso in Roma, 1’8 luglio 2014
Il Presidente

compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso spese forfetario

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