Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20652 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 13/10/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 13/10/2016), n.20652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25663-2013 proposto da:

F.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato PAOLO FIORILLI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALDO GOBBATO,

FEDERICO GOBBATO in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTOFFICINA SOCCORSO STRADALE DI T.E., in persona del

proprietario sig. T.E., domiciliata ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato NADIA MODENA giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1226/2013 del TRIBUNALE di VERONA, depositata

il 22/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI:

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Confermando la decisione di primo grado, il Tribunale Ordinario di Verona, con sentenza 22.5.2013 n. 1226, rigettava l’appello proposto da F.P., rilevando che la ditta “Autofficina Soccorso Stradale” di T.E. aveva correttamente adempiuto alla obbligazione assunta nel contratto stipulato con la società VAI Europe Assistance – che non contemplava anche il rimessaggio – effettuando il recupero della autovettura del F. mediante trasporto della stessa dalla autostrada fino alla prima uscita, mentre il temporaneo parcheggio della autovettura nel piazzale della ditta, eseguito su richiesta dello stesso F., integrava un distinto rapporto di deposito a titolo gratuito, come emergeva dalla assenza di corrispettivi indicati nella ricevuta fiscale, nonchè dalle dichiarazioni dei testi escussi. In conseguenza l’evento atmosferico di natura eccezionale (grandinata) che aveva danneggiato il veicolo non poteva ascriversi a responsabilità del depositario sia in considerazione della particolare potenza distruttiva del fenomeno, che lo rendeva imprevedibile, sia in relazione alla inevitabilità dell’evento dannoso, non avendo richiesto il F. di custodire il veicolo in luogo coperto e dovendo essere valutato con minor rigore il difetto di diligenza della ditta ai sensi dell’art. 1768 c.c., comma 2.

La sentenza è stata impugnata per cassazione dal F. con tre mezzi di censura per errore di fatto e di diritto, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la ditta individuale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Meramente defatigatoria è la eccezione di inammissibilità del ricorso per inesistenza della notifica dell’atto in quanto richiesta da legale diverso da quello cui è stata conferita la procura speciale, atteso il principio statuito da questa Corte, e qui condiviso, secondo cui l’attività di impulso del procedimento notificatorio – consistente essenzialmente nella consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario – può, dal soggetto legittimato, e cioè dalla parte o dal suo procuratore in giudizio, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente, e, in tal caso, l’omessa menzione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito la attività suddetta, ovvero della sua qualità di incaricato del legittimato, è irrilevante ai fini della validità della notificazione se, alla stregua dell’atto da notificare, risulta egualmente certa la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata. Tale principio opera per l’atto di citazione, per il ricorso in Cassazione e, in genere, per gli atti di parte destinati alla notificazione, la quale deve essere imputata alla parte medesima, con la conseguenza che le omissioni suddette non danno luogo ad inesistenza o nullità della notificazione (cfr. giurisprudenza constante: Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 9213 del 06/09/1990; id. Sez. 1, Sentenza n. 4520 del 08/03/2016. Non ha avuto infatti seguito il diverso indirizzo affermato da Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 11356 del 26/11/1990).

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1 Il ricorrente denuncia il vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” nonchè per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “in quanto la decisione non permette di ricavare ragioni oggettivamente idonee a giustificare la decisione” su alcuni punti (gratuità del deposito; tipo di obbligazione; eccezionalità dell’evento).

2.2 Del tutto pleonastico il riferimento, in rubrica, al vizio di “contraddittorietà” della motivazione (che configura una incompatibilità logica “intrinseca” al testo motivazionale, in quanto determinata dalla reciproca elisione di affermazioni oggettivamente contrastanti, non altrimenti risolvibile, che impedisce di discernere quale sia il diritto applicato nel caso concreto: cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010), in quanto la censura non risulta illustrata nella esposizione del motivo, osserva il Collegio che la sentenza d’appello è stata pubblicata in data successiva al 4.7.2009, e dunque trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”) che non contempla più, tra i vizi di legittimità deducibili con ricorso per cassazione, il vizio di “insufficiente” (ed anche di “contraddittoria”) motivazione e che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, rimanendo quindi circoscritto il sindacato di legittimità alla verifica del requisito motivazionale della sentenza nel suo “minimo costituzionale” prescritto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario-, dovendo, pertanto, riconoscersi il vizio di legittimità in questione soltanto qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale) residua ormai soltanto l’omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte Cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053).

2.3 Orbene osserva il Collegio che, in relazione al vizio di legittimità come sopra definito, il ricorrente, contesta circostanze ininfluenti (il teste indotto da parte attrice non sarebbe comparso in udienza una sola volta, e non, come afferma la Corte territoriale a più udienze) o non inficianti l’accertamento del rapporto di deposito (nel contratto di soccorso era prevista anche la obbligazione avente ad oggetto prestazioni di “officina/deposito”), o svolge affermazioni palesemente apodittiche (“non risulta in alcun modo che il deposito fosse gratuito”), o che si pongono in contrasto con lo stesso accertamento contenuto in sentenza (assume il ricorrente che la mancata previsione in contratto di una “obbligazione di rimessaggio” non comporterebbe la esclusione della obbligazione di custodia: ma, occorre osservare, che la sentenza impugnata non ha affatto escluso la esistenza dell’obbligazione di custodia, avendo – invece – affermato che nel caso di specie doveva accertarsi la esistenza di un “rapporto di deposito”, se pure a titolo a gratuito), o ripropone una lettura semplicemente diversa degli elementi di prova già valutati dal Giudice di merito (in ordine alla eccezionalità dell’evento atmosferico che ha colpito anche i Comuni di (OMISSIS) e di (OMISSIS) nei giorni (OMISSIS)), in ogni caso tendendo inammissibilmente a censurare la sentenza, non per carenza assoluta di motivazione -intesa come mancanza del requisito di validità della sentenza richiesto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – ma per asserito vizio di inadeguatezza (quanto al procedimento valutativo probatorio) del percorso logico che dalle premesse in fatto perviene alla decisione, censura che non è più deducibile avanti la Corte di legittimità.

2.4 Tanto premesso, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata assolva pienamente alla esigenza del “requisito minimo costituzionale” predetto, avendo fondato tanto la qualificazione giuridica, quanto la interpretazione del contenuto del rapporto giuridico controverso, e così anche il giudizio di accertamento della responsabilità contrattuale, su puntuali indicazioni degli elementi fattuali acquisiti al giudizio e valutati nello loro efficacia probatoria: le censure svolte dal ricorrente, peraltro, non evidenziano specifici “fatti storici” che il Giudice di appello avrebbe omesso del tutto di rilevare, e che avrebbero portato ad una diversa ricostruzione della fattispecie concreta, ma si risolvono piuttosto nella inammissibile richiesta alla Corte di una nuova rivalutazione nel merito dei fatti, non consentita in sede di legittimità (cfr. (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).

3. Il secondo motivo con il quale – sembra – essere dedotto il vizio di nullità processuale per “omessa pronuncia” su plurimi motivi di gravame, in violazione dell’art. 112 c.p.c. (la rubrica è così formulata: “sulla violazione ed errata applicazione delle norme di diritto per violazione del principio espresso dall’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 2”) è in parte infondato ed in parte inammissibile.

3.1 E’ infondato quanto al lamentato esame da parte del Giudice di secondo grado del motivo di gravame con il quale si insisteva per l’assunzione della prova testimoniale richiesta dal F., atteso che la sentenza di appello ha comunque deciso sul punto, confermando la decisione impugnata e, dunque, anche la statuizione del primo giudice che aveva ritenuto la prova in questione “non rilevante ai lini del decidere” (cfr. sentenza appello, testo pag. 3): ed è appena il caso di osservare, al proposito, che il ricorrente laddove avesse, invece, inteso contestare, non l’omessa pronuncia ma lo stesso giudizio di irrilevanza della prova, ha del tutto omesso di trascrivere il capitolato di prova orale nonchè di argomentare la critica rivolta alla statuizione impugnata, incorrendo nella inammissibilità prescritta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non consentendo alla Corte di effettuare alcuna verifica di legittimità.

3.2 E’ inammissibile quanto all’analogo vizio di “omessa pronuncia” dedotto in relazione alla “eccezione sollevata sull’evidente sproporzione della condanna alle spese nel giudizio di primo grado”, atteso che il ricorrente non ha specificato se tale eccezione abbia costituito puntuale motivo di gravame nell’atto di appello, omettendo di trascrivere il contenuto del relativo atto di appello: deve, dunque, ribadirsi il consolidato principio di questa Corte secondo cui è inammissibile, per violazione del requisito dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 317 del 11/01/2002; id. Sez. 2, Sentenza n. 26234 del 02/12/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 26693 del 13/12/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015).

3.3 E’ altresì inammissibile quanto alla dedotta “violazione del principio dell’obbligo di motivazione” in punto di riesame degli elementi probatori in base ai quali il Tribunale aveva ritenuta raggiunta la prova liberatoria della ditta depositaria (ricorso pag. 13-15), per le stesse ragioni già esposte nell’esame del precedente motivo di ricorso, venendo il ricorrente a richiedere alla Corte un nuovo – inammissibile – esame del materiale istruttorio già esaminato dal Giudice di merito.

4. Il “paragrafo 3.” del ricorso recante la intestazione “Sui motivi di diritto espressi con il ricorso di secondo grado” (cfr. pag. 15-23), non integra autonomo motivo di ricorso per Cassazione, atteso che il ricorrente si limita a richiamare “in aggiunta a quanto sopra…. tutte le eccezioni di diritto, già precedentemente rappresentate nei due gradi di giudizio, ed in ogni caso….le censure di diritto dell’atto di citazione in appello” che vengono riportate per esteso di seguito nel ricorso.

Difetta pertanto la enunciazione di uno specifico vizio di legittimità da sottoporre all’esame della Corte, che costituisce ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, requisito di accesso del ricorso al sindacato di legittimità, non essendo ravvisabile nella mera riproduzione dei motivi di gravame – aventi ad oggetto la decisione di primo grado – alcuna critica rivolta alle statuizioni della sentenza di appello.

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte Cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfetario spese generali ed agli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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