Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20650 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 31/07/2019), n.20650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22318-2015 proposto da:

U.R., U.G., UN.GI., elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO DI FRANCIA 197, presso lo studio

dell’avvocato SILVIA GALLETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIUSEPPE FISCHETTI;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANO FUMAROLA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

SCROFA 64, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PECORILLA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1351/2013 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata

il 25/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il fallimento (OMISSIS) spa conveniva innanzi al Tribunale di Taranto Gi. e U.R., D.M., U.M.I. e la Nuova (OMISSIS) srl, per sentir:

a) dichiarare inefficace la transazione conclusa in data 10.3.2005 tra (OMISSIS) spa da una parte e U.M.I. e la (OMISSIS) dall’altra, nonchè un contratto di donazione concluso da U.M.I. con Gi. e U.R. e d.M.;

b) condannare U.M.I. al pagamento in favore della curatela di 123.950,00 Euro oltre accessori, a titolo di quota parte del corrispettivo di una cessione di azienda stipulata in data 9.12.1997 e di 254.825,44 Euro, pari al saldo del conto corrente acceso presso la banca commerciale e ritenuto di pertinenza della società debitrice;

condannare la Nuova (OMISSIS) al pagamento di 470.985,65 Euro, oltre accessori, a titolo di indennizzo per l’illegittimo godimento dei locali dell’opificio industriale già di proprietà della debitrice.

Con separato atto di citazione il fallimento (OMISSIS) conveniva innanzi al medesimo Tribunale Gi., G. e U.R. per sentirli condannare, ciascuno per la quota di rispettiva pertinenza al pagamento di 123.950,00 Euro, oltre accessori, a titolo di corrispettivo della su citata cessione di azienda, stipulata il 9.12.1997 e della somma di 254.825,44 Euro, pari al saldo del menzionato conto corrente di pertinenza della debitrice.

Successivamente, dato atto che avuto riguardo alle domande oggetto del primo atto di citazione era cessata la materia del contendere a seguito di transazione, il Tribunale, disattese le eccezioni pregiudiziali di rito, condannava Gi., R. e U.G., in qualità di eredi di U.A., al pagamento in favore della curatela attrice della somma di 41.316,55 Euro ciascuno, oltre ad interessi legali.

Il Tribunale affermava che U.A., ricevuto da U.M. il corrispettivo pattuito con il contratto del 9.12.1997 avente ad oggetto la cessione dell’azienda di cui era titolare la (OMISSIS) spa, aveva omesso di versarlo nelle casse della società e l’aveva trattenuto.

Avverso detta sentenza hanno proposto appello Gi., R. e U.G., riproponendo le eccezioni di rito già respinte dal primo giudice e rilevando, nel merito, l’infondatezza della domanda di cui chiedevano il rigetto. La Corte d’Appello, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dichiarava l’inammissibilità dell’appello, per mancanza di alcuna ragionevole probabilità di accoglimento.

Avverso detta ordinanza e la sentenza di primo grado propongono ricorso per cassazione, con sette motivi, Gi., G. e U.R..

La curatela del fallimento (OMISSIS) spa ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. per violazione del principio del contraddittorio, sotto il profilo dell’omessa sollecitazione a trattare la questione della ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello.

Il motivo è inammissibile.

Conviene premettere che l’ordinanza della corte di appello dichiarativa dell’inammissibilità del gravame per manifesta infondatezza nel merito non è impugnabile con ricorso per cassazione, neanche ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, a meno che il provvedimento non sia censurato, per “error in procedendo”, nei casi in cui il relativo modello procedimentale sia stato utilizzato al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge (Cass. 23151/2018).

Essa è dunque ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri, costituenti violazioni della legge processuale – quali, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2 e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo) (Cass. Sez. U. 1914/2016;19333/2018).

Nel caso di specie, la generica doglianza afferente alla violazione del contraddittorio per omessa sollecitazione a trattare la questione della ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello è inammissibile per genericità, non risultando denunciato nè l’utilizzo del modello procedimentale, al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, nè la violazione delle specifiche previsioni di cui agli artt. 348 bis, comma 2 e art. 348 ter, commi 1 e 2 codice di rito.

Ed invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena appunto d’inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e tale specificazione dev’essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza (Cass. 20405/2006; 1170/04).

Passando agli ulteriori motivi, deve senz’altro rilevarsi, in via generale, l’inammissibilità del vizio di carenza motivazionale, dedotto dal ricorrente in tutti i motivi, non più censurabile alla luce del nuovo disposto del dell’art. 360 codice di rito, comma 1, n. 5 (Cass. Sez.U. n. 8053/2014).

L’art. 360 c.p.c., comma 1, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012, com’è noto, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico, denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in esame, ancorchè la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 8053/2014). Ciò premesso, il secondo motivo lamenta la mancata applicazione del rito societario.

Il motivo è infondato.

La presente controversia non concerne infatti alcuna delle materie di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 1 applicabile ratione temporis al caso di specie, avendo ad oggetto una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c., per la quale è applicabile il rito ordinario.

In ogni caso, in conseguenza dell’abrogazione del rito societario con la L. n. 69 del 2009, il relativo motivo di impugnazione, contenuto nell’atto di citazione in appello, notificato successivamente all’entrata in vigore della citata abrogazione del rito societario, deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse, non potendo più disporsi il mutamento del rito.

Il terzo motivo censura la statuizione di tardività dell’eccezione di incompetenza relativa alla clausola compromissoria, contenuta nella scrittura privata del 9.12.1997, affermata dal Tribunale, in quanto essa era stata sollevata nella comparsa di risposta depositata alla prima udienza.

Il motivo è infondato.

La statuizione di tardività dell’eccezione affermata dal Tribunale è infatti conforme a diritto.

Come questa Corte ha ripetutamente affermato, in considerazione della natura giurisdizionale dell’arbitrato e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, come desumibile dalla disciplina introdotta dalla L. n. 5 del 1994 e dalle modificazioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, l’eccezione di compromesso ha carattere processuale ed integra una questione di competenza, che dev’essere eccepita dalla parte interessata, a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta, nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall’art. 166 c.p.c. (Cass. Sez.U. 24153/2013; Cass. 22748/2015).

Il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di carenza motivazionale della sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine all’eccezione di difetto di legittimazione attiva del curatore, sollevata dalla ricorrente in relazione al fatto che il pagamento della somma per cui è causa si fondava su scrittura cui era estranea la curatela.

Il motivo è infondato.

Non ricorre infatti il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti, come nel caso di specie, una statuizione implicita di rigetto sul punto medesimo (Cass. 29191/2017).

Nel merito, è appena il caso di rilevare che ai sensi della L. Fall., art. 43 il curatore fallimentare è certamente legittimato ad esperire l’azione risarcitoria per fatto illecito perpetrato ai danni della debitrice.

Il quinto motivo denuncia violazione di legge e vizio di carenza motivazionale in relazione alla statuizione della sentenza del Tribunale che ha ritenuto tardiva pure l’eccezione di prescrizione del diritto di credito fatto valere dalla curatela. Ad avviso dei ricorrenti solo ad un’udienza successiva il giudice istruttore aveva invitato le parti a dedurre sui profili inerenti la cessione di azienda e dunque solo a partire da tale momento l’eccezione di prescrizione poteva essere sollevata.

Il motivo è infondato.

La questione della cessione dell’azienda è stata posta sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado e la mancata proposizione dell’eccezione di prescrizione – che com’è noto integra eccezione in senso stretto – nei termini di cui all’art. 166 c.p.c., comporta la decadenza in capo alla parte.

Il sesto motivo denuncia violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla prova della ricezione della somma oggetto di causa da parte del de cuius U.A..

Il motivo è inammissibile per genericità, in quanto, nonostante la rubrica, si risolve nella richiesta di una rivalutazione dei fatti già oggetto del sindacato del giudice di merito e nella sollecitazione ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede, spettando al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale è assegnato alla prova (ex plurimis Cass. n. 6064/08).

Il settimo motivo denuncia violazione di legge e carenza motivazionale, in relazione alla statuizione che ha disatteso la nullità del contratto di cessione di azienda del 9.12.1997, deducendo che la cessione di azienda prevista nella convenzione su menzionata non risulta essere stata mai formalizzata.

Pure tale motivo è inammissibile per genericità, in quanto si limita a contestare l’attività di valutazione delle prove del giudice di merito che, sulla base del complessivo esame delle acquisizioni istruttorie ha ritenuto che risultasse in ogni caso provata la ricezione da parte dei ricorrenti del corrispettivo della cessione di azienda.

La reiezione del ricorso principale assorbe l’esame di quello incidentale condizionato e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, che liquida in complessivi 5.600,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15 % ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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