Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2065 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.27/01/2017),  n. 2065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ISA Claudio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22232-2012 proposto da:

PALMINTELLI SRL IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, C.E., elettivamente domiciliati

in ROMA CORSO D’ITALIA 19, presso lo studio dell’avvocato FRANCO

PAPARELLA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA PARLATO giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI CALTANISSETTA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 43/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

CALTANISSETTA, depositata il 13/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PAPARELLA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’inammissibilità o rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (sezione distaccata di Caltanissetta) con sentenza del 12 dicembre 2011 – 13 febbraio 2012 rigettava l’appello di PALMINTELLI S.r.l. (in amministrazione giudiziaria) avverso la pronuncia con la quale la locale Comm.ne Provinciale aveva respinto l’opposizione della stessa società avverso avvisi di accertamento (notifica in data 24 luglio 2009) di ricavi in ragione di 88.860,00 Euro per l’anno d’imposta 2006 a fronte di quelli dichiarati pari a zero con il modello unico 2007.

Con decreto del 21 novembre 2006 in sede di misure di prevenzione la competente a.g. aveva disposto il sequestro delle quote sociali pari a 5% del capitale. Sino al 2006 la società non aveva posto in essere alcun atto di gestione. Nè risultava che in precedenza avesse realizzato atti di gestione o di amministrazioni dirette al raggiungimento dello scopo sociale.

Correttamente, secondo la C.T.R., ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 3, la società aveva determinato, nel quadro RF della sua dichiarazione, in Euro 70.350,00 il reddito minimo imponibile, ma non aveva invece provveduto a riportarlo nel quadro RN al fine di assoggettarlo a tassazione.

La prova contraria di effettiva inesistenza di reddito, secondo la C.T.R., ai sensi del succitato art. 30, andava fornita dalla società.

Nè poteva rilevare, secondo la Commissione, per l’anno 2006 la successiva circostanza consistita nel fatto che la società fosse stata destinataria di provvedimento di sequestro, peraltro parziale, tale da poter giustificare l’inesistenza del reddito imponibile ex art. 30 cit., laddove non si fossero dimostrati particolari o temporanee situazioni di mercato anche territoriali, che avessero reso impossibile il conseguimento dei ricavi, considerato che sin dal 2001 non era stato mai posto in essere dalla società appellante alcun atto di gestione o di amministrazione diretto al conseguimento dello scopo sociale.

Avverso la pronuncia di rigetto della C.T.R. (che condannava l’appellante alle relative spese), la PALMINTELLI srl, in amministrazione giudiziaria, in persona dell’amm.re l.r.pt. dr. R. P. nonchè dell’amm.re giudiziario dr. C.E., ha proposto ricorso per cassazione, con atto spedito a mezzo posta raccomandata a.r. il 28-09-2012, affidato a due motivi, cui ha resistito l’AGENZIA delle ENTRATE con l’Avvocatura Generale dello Stato, mediante controricorso, eccependo peraltro la novità di quanto dedotto con il primo motivo, rispetto a quanto invece diversamente rappresentato con l’atto di appello, nonchè il difetto di autosufficienza ed il fatto che il provvedimento dell’Agenzia, citato dalla ricorrente (anno 2008), relativo a sequestri giudiziari e simili, chiariva che le situazioni oggettive ivi individuate consentivano la disapplicazione della disciplina sulle c.d. società di comodo, senza necessità di presentare istanza d’interpello, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31-122007.

D’altro canto, la decisione della C.T.R. non si fondava tanto sul fatto che l’oggetto della misura di prevenzione sarebbe stata una quota minoritaria del capitale sociale, quanto sull’autonoma e sufficiente circostanza, per cui che il sequestro era avvenuto a fine anno (decreto sequestro emesso dal Tribunale di Caltanissetta – sez. misure di prevenzione in data 21-11-2006), di modo che la società era stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria con il sequestro dell’intero capitale sociale, posseduto per il 5% da tal Di Vincenzo Pietro e per il restante 95% dalla S.r.l. COS.E.I., con la nomina dell’amm.re giudiziario dr. C.E., mentre l’assemblea dei soci in data 2-2-2007 aveva poi nominato un amministratore unico.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente ha denunciato illegittimità e o infondatezza della sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., n. 3) per violazione della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4 bis e comma 4 ter, nonchè dell’art. 2797 c.c..

Con il secondo motivo, invece, è stata lamentata, ex art. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Infatti, le sentenze di merito hanno fatto riferimento al sequestro del solo 5% del capitale sociale, mentre il provvedimento di sequestro di prevenzione 21/11/2006 riguardava l’intero capitale (5% + 95%).

Entrambi i motivi vanno disattesi in base alle seguenti considerazioni.

Ed invero, per quanto concerne il primo, va subito premesso che il richiamo all’art. 2797 è inconferente, poichè detta norma riguarda le forme della vendita, sicchè è presumibile il riferimento all’art. 2697 c.c. riguardo all’onere della prova, la cui disposizione va tuttavia coordinata con le altre disposizioni di legge speciale che regolano la materia impositiva in esame.

Orbene, la L. n. 724 del 1994, art. 30 in tema di società di comodo, secondo il testo vigente dal primo gennaio 2008 al 31-12-2015, per la parte che quanto qui più direttamente interessa, così testualmente recita: “…3. Fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta personale sul reddito per le società e per gli enti non operativi indicati nel comma 1 si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione, ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle seguenti percentuali:…

3-bis. Fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive per le società e per gli enti non operativi indicati nel comma 1 si presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al reddito minimo determinato ai sensi del comma 3 aumentato delle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, dei compensi spettanti ai collaboratori coordinati e continuativi, di quelli per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e degli interessi passivi.

4. Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso nè può costituire oggetto di compensazione…

4-bis. In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8.

4-ter. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente articolo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis.

4-ter. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente articolo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis.

4-quater. I provvedimenti del direttore regionale dell’Agenzia delle entrate, adottati a seguito delle istanze di disapplicazione presentate ai sensi del comma 4-bis, sono comunicati mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, ovvero a mezzo fax o posta elettronica.

Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, aveva disposto (con l’art. 35, comma 16) che le introdotte modifiche, tra cui quelle riguardanti i commi 4 e 4bis, “si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Inoltre, con provvedimento n. 23681 in data 14 febbraio 2008, pubblicato sul sito internet dell’Agenzia delle entrate ((OMISSIS)), che tiene luogo della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 361, il Direttore della stessa Agenzia ha così statuito in tema di individuazione di determinate situazioni oggettive in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni sulle società di comodo di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 e successive modificazioni, senza dover assolvere all’onere di presentare istanza di interpello ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8: “1. Ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4-ter e successive modificazioni, possono disapplicare la disciplina sulle società di comodo di cui al citato art. 30, senza dover assolvere all’onere di presentare istanza di interpello le seguenti società:

a) società in stato di liquidazione,…;

b) società in stato di fallimento…;

c) società sottoposte a sequestro penale o a confisca nelle fattispecie di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, artt. 2-sexies e 2-nonies o in altre fattispecie analoghe in cui il Tribunale in sede civile abbia disposto la nomina di un amministratore giudiziario. La disapplicazione opera con riferimento al periodo di imposta nel corso del quale è emesso il provvedimento di nomina dell’amministratore giudiziario ed ai successivi periodi di imposta nei quali permane l’amministrazione giudiziaria;

d) società che dispongono di immobilizzazioni costituite da immobili concessi in locazione ad enti pubblici ovvero locati a canone vincolato in base alla L. 9 dicembre 1998, n. 431 o ad altre leggi regionali o statali. La disapplicazione opera limitatamente ai predetti immobili;

e) società che detengono partecipazioni in: 1) società considerate non di comodo ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30; 2) società escluse dall’applicazione della disciplina di cui al citato articolo 30 anche in conseguenza di accoglimento dell’istanza di disapplicazione; 3) società collegate residenti all’estero cui si applica il regime dell’art. 168 del TUIR. La disapplicazione opera limitatamente alle predette partecipazioni;

f) società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza che non hanno subito modificazioni nei periodi di imposta successivi. La disapplicazione opera limitatamente alle predette circostanze oggettive.

2. Le situazioni oggettive individuate dal presente provvedimento consentono la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, senza necessità di presentare istanza di interpello, a part’ – dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007.

3. Costituiscono, inoltre, situazioni oggettive che consentono la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007, senza necessità di presentare istanza di interpello, anche le nuove fattispecie di esclusione individuate dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 128, lett. b) e c), (legge finanziaria per il 2008).

Motivazioni.

La legge finanziaria per il 2008, art. 1, comma 128, ha modificato la disciplina delle società di comodo contenuta nella L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30.

L’art. 30, comma 4 bis prevede che in presenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito determinati ai sensi del medesimo articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le prescritte operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8.

La Legge finanziaria per il 2008, art. 128, lett. f) ha introdotto nella L. n. 724 del 1994, art. 30 il comma 4-ter, a norma del quale con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate possono essere individuate ulteriori situazioni oggettive in presenza delle quali è consentito ai contribuenti di disapplicare in modo automatico le disposizioni sulle società di comodo, senza dover assolvere all’onere di presentare istanza di interpello ai sensi del citato art. 37-bis, comma 8.

L’art. 30, comma 1, secondo periodo prevede che la disciplina sulle società di comodo non si applica con riferimento a società che si trovano in particolari situazioni individuate in dettaglio nel medesimo contesto normativo.

Il comma 128 legge finanziaria per il 2008, alle lett. b) e c) ha previsto ulteriori circostanze in presenza delle quali la disciplina in questione non si applica. Le nuove cause di esclusione individuate dalla legge finanziaria per il 2008, accomunate, quanto agli aspetti procedurali, a quelle individuate con il presente provvedimento, costituiscono situazioni oggettive al ricorrere delle quali le società non operative possono disapplicare la relativa disciplina per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007, senza necessità di presentare istanza di interpello….”.

Invero, la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 relativamente alla disciplina delle società di comodo, ha formato oggetto di varie modifiche da parte del legislatore nel corso degli anni, in particolare ad opera:

1. D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 27 (convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85);

2. D.L. 8 agosto 1996, n. 437, art. 2 (convertito con modificazioni dalla L. 24 ottobre 1996, n. 556);

3. la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 37;

4. D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, commi 15 e 16 (convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248);

5. L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 109 e ss. (di seguito, legge finanziaria 2007);

6. dalla L. 24 dicembre 2007, art. 1, commi 128 e 129 (di seguito, legge finanziaria 2008).

Le innovazioni apportate dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35 e i correttivi introdotti dalla legge finanziaria 2007 erano da considerarsi ancora attuali per le parti non innovate dalla legge finanziaria 2008, i cui commi 128 e 129, hanno invece riguardato:

a. la disciplina delle cause di esclusione;

b. il test di operatività con riferimento ai beni situati in comuni con meno di 1000 abitanti;

c. la determinazione del reddito minimo che deve essere dichiarato ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP;

d. la previsione di un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che individui determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentita la disapplicazione automatica della disciplina, senza l’onere di presentare apposita istanza di interpello;

e. l’introduzione di nuove modalità (o l’indicazione delle modalità) di comunicazione dei provvedimenti del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, adottati a seguito delle istanze di disapplicazione presentate ai sensi del citato art. 30, comma 4-bis;

f. la riapertura dei termini della procedura di scioglimento e trasformazione agevolata delle società “di comodo” di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 111 a 117 (legge finanziaria 2007), nonchè la modifica delle aliquote delle imposte sostitutive di cui all’art. 1, comma 112, primo e secondo periodo medesima legge finanziaria 2007.

Il legislatore è intervenuto sulla cause di esclusione dalla disciplina sulle società non operative, recata dall’art. 30, comma 1, modificando una causa già esistente ed introducendo nuove fattispecie, ognuna delle quali individua una nuova ed ulteriore ipotesi di esclusione rispetto al previgente impianto normativo.

Alla luce delle fonti sopra riportate, pertanto, appare evidente, tra l’altro, come l’anzidetto provvedimento 14 febbraio 2008, in ossequio ai dettami di legge ivi richiamati, non possa operare, ratione temporis, retroattivamente nel caso di specie, che riguarda l’anno d’imposta 2006. Ne deriva, tra l’altro, che valgono comunque i principi già affermati da questa Corte, secondo cui in materia di società di comodo, i parametri previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30 sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, sicchè la determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente (Cass. Sez. 6 – 5, n. 13699 del 25/05 – 05/07/2016: Per concludere circa l’erroneità degli argomenti utilizzati dal giudice del merito ai fini della reiezione del gravame, basta qui evidenziare il consolidato orientamento della Corte Suprema: “In materia di società di comodo, i parametri previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30 nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 223 del 2006, art. 30 convertito nella L. n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21358 del 21/10/2015)).

In tale contesto, pertanto, non si ravvisano gli estremi della violazione di legge (art. 30, comma 4-bis), nei sensi ipotizzati da parte ricorrente, secondo cui mediante corretta interpretazione del dettato normativo i giudici dell’appello sarebbero pervenuti a conclusioni opposte a fronte della rilevanza dell’intervenuto sequestro giudiziale “a nulla rilevano le particolari o temporanee situazioni di mercato, anche territoriali, che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi”.

Infatti, è stata legittimamente ritenuta la presunzione ex art. 30, di modo che la prova contraria di effettiva inesistenza di reddito andava fornita dalla società, quale parte interessata a dimostrare la circostanza e per cui, ad avviso del giudice di merito, non aveva rilievo il sequestro successivamente intervenuto a fine novembre 2006, tale perciò da poter giustificare l’assenza di reddito imponibile ex cit. art. 30, non essendo state dimostrate particolari o temporanee situazioni, che avessero reso impossibile il conseguimento di ricavi.

Inoltre, va richiamato quanto in punto di fatto rilevato dalla Comm.ne Tributaria Prov.le con la sentenza poi confermata in appello, circa il decreto di sequestro in data 21-11-2006, siccome relativo alle quote sociali pari al 5% del capitale sociale e pro quota di tutti i beni, anche aziendali, a tali quote riferibili, intestate a D.V.P., nominando altresì un amministratore giudiziario, però contrariamente all’assunto di parte ricorrente, secondo il quale il capitale dell’intera società era stato sottoposto a sequestro e per cui la società nell’anno d’imposta in questione era stata gestita in amministrazione ordinaria per oltre dieci mesi, mentre solo per quaranta giorni era stata gestita in amministrazione giudiziaria, limitatamente alle quote sociali del 5%, mentre per il restante 95% del capitale e dei beni aziendali non sussisteva alcun sequestro.

Pertanto, gli anzidetti accertamenti in punto di fatto, conformemente operati dai compenti giudici di merito, segnatamente circa l’irrilevanza, in ogni caso, nella specie dell’anzidetto sequestro, con riferimento alla normativa in astratto applicabile, ma nei limiti temporali sopra precisati – sono insindacabili, sia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed ancor di più quale asserito vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5 (v. il secondo motivo), implicando valutazioni ed apprezzamenti discrezionali, rispetto ai quali nessuno spazio d’intervento è consentito a questa Corte in sede di controllo di legittimità.

Invero, il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto alle aspettative e deduzioni delle parti (v. Cass. 1 civ. n. 1754 del 26/01/2007).

Per contro, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. lav. n. 195 – 11/01/2016, conforme Cass. n. 26110 del 2015).

D’altro canto, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (anche secondo il testo anteriore alle più rigide preclusioni imposte dal legislatore del 2012) si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito, rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. L’art. 360, n. 5 non conferisce, infatti, alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti. Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 3 civ. n. 2222 del 14 febbraio 2003, conformi tra le altre, Cass. n. 350 del 2002, n. 584del 16/01/2004, n. 20322 del 20/10/2005. Analogamente, Cass. n. 17477 del 09/08/2007, ha affermato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato – o insufficiente – esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Pressochè conforme Cass. sez. un. civ. n. 13045 del 27/12/1997.

Parimenti, v. altresì Cass. lav. n. 16531 del 19/07/2006 sulla impossibilità per il giudice di legittimità di procedere anche alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, competendo la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e delle coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito. Similmente cfr. pure Cass. lav. n. 9234 del 20/04/2006, secondo cui in particolare al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata).

Pertanto, non si ravvisano nella specie gli estremi delle violazioni e delle omissioni ipotizzate dal ricorrente.

Attesa la peculiarità del caso qui esaminato, soprattutto in considerazione della non poca difficoltà delle questioni trattate in relazione alle stratificazioni normative avutesi in materia, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e dichiara compensate tra le parti.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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