Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20648 del 08/08/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20648 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

SENTENZA
sul ricorso 10118-2015 proposto da:
DI GIOVANNI MARCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO HINNA
DANESI, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 08/08/2018

avverso la sentenza n. 4001/2014 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 16/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

del ricorso;
udito l’Avvocato Fabrizio Hinna Danesi per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Di Giovanni Marco proponeva opposizione innanzi al Tribunale
di Milano avverso l’ordinanza con la quale il Ministero
dell’Economia e delle Finanze gli aveva ingiunto, in solido con
Intrafid S.r.l., società fiduciaria appartenente al gruppo
bancario Popolare di Intra, poi confluito nel gruppo Veneto
Banca, il pagamento di una sanzione amministrativa pari ad E
6.711.183,00, in quanto ritenuto responsabile, unitamente ai
presidenti del consiglio di amministrazione ed all’altro
amministratore delegato della società, Morandi Gloria,
dell’illecito di cui all’art. 3 della legge n. 197/1991, all’esito di
accertamenti eseguiti dall’Ufficio Italiano Cambi che aveva
riscontrato una serie di operazioni sospette della società, in
relazione alle quali gli ingiunti non avevano provveduto a
trasmettere le prescritte segnalazioni.
Il Tribunale adito con la sentenza n. 4246/2014 del 31 marzo
2014 rigettava l’opposizione, ed avverso tale pronuncia
proponeva appello il Di Giovanni.
La Corte d’Appello di Milano, nella resistenza del Ministero,
rigettava l’appello con la sentenza n. 4001 del 16 dicembre
2014.
Dopo avere respinto il motivo di appello, con il quale si
lamentava la violazione dell’art. 7 del D. Lgs. n. 56/2004 per

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Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il rigetto

l’assenza del parere dell’UIC, atteso che nella fattispecie la
stessa segnalazione dell’illecito proveniva da accertamenti
compiuti dall’organo deputato a fornire il parere, disattendeva
altresì il motivo di appello volto a reiterare la denuncia della
violazione dell’art. 14 della legge n. 689/81, ritenendo i giudici

avuto riguardo al tempo necessario per completare gli
accertamenti, non potendosi a tal fine fare riferimento alla data
in cui erano terminati gli accertamenti ispettivi presso la
società.
Passando quindi alla disamina della dedotta violazione dell’art.
3 della legge n. 197/1991, sotto il profilo del difetto di
motivazione dell’ordinanza opposta e della sentenza di prime
cure, la decisione di appello osservava che le doglianze erano
prive di fondamento.
In primo luogo non poteva reputarsi viziata la sentenza di
primo grado laddove aveva recepito per relationem, facendole
proprie, le argomentazioni poste a sostegno dell’ordinanza
oggetto di opposizione.
Quindi, passando a riscontrare la presenza di operazioni
sospette che avrebbero obbligato l’opponente ad effettuare una
tempestiva segnalazione, la pronuncia di appello esaminava
partitamente tutti i mandati fiduciari che erano richiamati nel
provvedimento impugnato, riscontrando per ognuno di essi,
previa succinta descrizione dei fatti che li interessavano, la
presenza di operazioni anomale e sospette, evidenziando come
tali caratteristiche trovassero conferma nelle prescrizioni
contenute nel cd. Decalogo della Banca d’Italia, aggiungendo
anche che molte delle operazioni erano state riscontrate come
affette da anomalia anche a seguito di verifica svolta da una
società di revisione chiamata dalla capogruppo ad effettuare

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di appello che la contestazione era avvenuta tempestivamente

controlli, anche a mezzo dell’esame dei fascicoli fiduciari, e che
nonostante tale segnalazione, il Di Giovanni avesse continuato
a ribadire la irrilevanza delle anomalie contestate.
Quanto al profilo soggettivo dell’illecito contestato, la Corte
distrettuale evidenziava che si trattava di un illecito di pericolo,

entità, natura o per qualsivoglia altra circostanza inducano a
ritenere la possibile provenienza del denaro, beni o utilità
oggetto delle operazioni, come provenienti da taluno dei reati
contemplati dagli artt. 648 bis e 648 ter.
Ricostruito quindi il sistema delineato dall’art. 3 che prevede
un duplice obbligo di segnalazione, parimenti sanzionato,
ribadiva che il responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di
altro punto operativo è tenuto ad effettuare la segnalazione al
titolare dell’attività, al legale rappresentate o ad un suo
delegato di ogni operazione che possa far ritenere la
provenienza illecita delle sostanze coinvolte, spettando invece
al titolare dell’attività la valutazione circa la ulteriore
segnalazione all’UIC.
Pertanto l’opponente aveva una ridotta discrezionalità, che
appariva limitata anche dal contenuto delle Istruzioni operative
dettate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 3 bis della legge n.
197/1991, proprio al fine di superare la genericità della
disciplina applicativa della Direttiva 91/208/Cee, in attuazione
della quale era stata emanata la legge n. 197/1991.
Ne derivava che la segnalazione delle operazioni non era
subordinata all’evidenziazione dalle indagini dell’operatore di
un quadro indiziario di riciclaggio né poteva essere esclusa
sulla base del personale convincimento dell’operatore
dell’estraneità

dell’operazione

rispetto

ad

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una

attività

finalizzato a reprimere quelle condotte che per caratteristiche,

delittuosa, essendo invece ancorata ad un giudizio di carattere
tecnico tendenzialmente oggettivo.
In presenza quindi di numerose anomalie formali era onere del
Di Giovanni procedere alle segnalazioni, nemmeno spiegando
rilevanza la circostanza che non fosse chiarito con precisione in

fosse il provento di eventuali reati tributari.
Quanto alla posizione soggettiva del Di Giovanni, la Corte
d’Appello osservava che lo stesso ricopriva la carica di
amministratore delegato, insieme con Morandi Gloria, ed
all’interno di una società dalla struttura estremamente esigua,
in quanto connotata dalla presenza dei soli due amministratori
delegati, come uniche risorse qualificate, e da due soggetti non
aventi rapporti con la clientela.
Pertanto, poiché nella procedura interna mancava la
designazione di un responsabile antiriciclaggio, era corretta
l’attribuzione all’opponente della qualifica di responsabile di
primo livello ai fini dell’art. 3 co. 1 della legge n. 197/1991,
essendo irrilevante l’esistenza di un’eventuale delega.
Quanto infine all’entità della sanzione irrogata, la sentenza
d’appello rilevava che era

del pari corretta

la sua

determinazione nella percentuale del 25 % dell’importo delle
operazioni sospette non segnalate, trattandosi di una
commisurazione rispettosa dei limiti edittali, e che appariva
congrua alla luce del numero e del valore delle operazioni
sospette, del ruolo di rilievo dell’opponente, ed infine del suo
comportamento, atteso che, benchè fosse stato notiziato,
dapprima nel 2005 dall’Audit interno del gruppo, e poi nel 2006
dal rapporto della società di revisione del carattere anomalo
delle operazioni, non aveva effettuato alcun accertamento o
segnalazione.

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base a quali elementi vi fosse il sospetto che il denaro utilizzato

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Di
Giovanni Marco sulla base di cinque motivi.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con
controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 3
co. 1 del d.l. n. 143/1991, conv. nella legge n. 197/1991
nonché degli artt. 3 e 5 della legge n. 689/81.
Deduce il ricorrente che aveva mosso in appello alcune
specifiche contestazioni circa la carenza di motivazione in
ordine alla ricorrenza della violazione contestata ed alla
sussistenza dell’elemento soggettivo, dovendo quindi reputarsi
erronea l’affermazione dei giudici di appello secondo cui non
sarebbe stata avanzata alcuna censura sul punto.
Nel merito si evidenzia che non può ravvisarsi la colpevole
negligenza del ricorrente circa l’omissione delle segnalazioni
delle operazioni sospette, o comunque di tutte le operazioni
ritenute tali, occorrendo a tal fine tenere conto della
circostanza che la società fiduciaria aveva due amministratori
delegati, ognuno dei quali poteva rispondere solo delle
operazioni personalmente effettuate.
Viceversa l’ordinanza opposta ha accomunato la Morandi ed il
Di Giovanni senza compiere tale dovuta distinzione.
Ne discende che vi è un’assoluta incertezza quanto
all’individuazione dell’autore delle operazioni che andavano
segnalate, con la conseguenza che il ricorrente è stato
chiamato a rispondere anche per le colpe dell’altro
amministratore delegato, in violazione di quanto previsto
dall’art. 3 della legge n. 689/1981, ipotizzando un concorso ex

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RAGIONI IN DIRITTO

art. 5 della stessa legge, che invece evidentemente non
ricorre.
Il motivo è infondato.
L’art. 3 della legge n. 197/1991 prevede ai primi due commi
che: “1 . Il responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro

indipendentemente dall’abilitazione ad effettuare le operazioni
di trasferimento di cui all’art. 1, ha l’obbligo di segnalare senza
ritardo al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un
suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità,
natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a
ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della
capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è
riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua
disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle
operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli
articoli 648- bis e 648- ter del codice penale. Tra le
caratteristiche di cui al periodo precedente è compresa, in
particolare, l’effettuazione di una pluralità di operazioni non
giustificata dall’attività svolta da parte della medesima
persona, ovvero, ove se ne abbia conoscenza, da parte di
persone appartenenti allo stesso nucleo familiare o dipendenti
o collaboratori di una stessa impresa o comunque da parte di
interposta persona.
2. Il titolare dell’attività, il legale rappresentante o un suo
delegato esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le
ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua
disposizione, anche desumibili dall’archivio di cui all’art. 2,
comma 1, le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di
eseguire l’operazione, anche in via informatica e telematica,

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punto operativo di uno dei soggetti di cui all’art. 4,

all’Ufficio italiano dei cambi senza alcuna indicazione dei
nominativi dei segnalanti”.
Lo scopo cui tende la normativa in esame è quello di
contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro
contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenendo

tal fine, il legislatore – recependo anche direttive europee
(cfr. D.Lgs. n. 153 del 1997) – intende reprimere alcune
condotte di pericolo (Cass. n. 6647/2007) fra le quali quelle
operazioni che “per caratteristiche, entità, natura, o per
qualsivoglia altra circostanza, induca(no) a ritenere” la
possibile provenienza di denaro, beni o utilità, oggetto di dette
operazioni, da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648 bis
e 648 ter c.p.
E’ necessario sottolineare che tenuto a segnalare simili
operazioni è “il responsabile della dipendenza”, il quale ne
riferisce al “titolare dell’attività”; quest’ultimo “esamina le
segnalazioni pervenutegli e qualora le ritenga fondate tenendo
conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, … le
trasmette senza ritardo al questore del luogo dell’operazione, il
quale ne informa l’Alto commissario e il nucleo speciale di
polizia valutaria della Guardia di finanza” (art. 3 cit., comma
2). Altrimenti le archivia.
Nelle ipotesi contemplate dall’art. 3, ossia nel caso di
operazioni sospettabili di riciclaggio, la legge prevede dunque
un duplice obbligo di segnalazione (cfr. Cass. n. 25134/2008),
ugualmente sanzionato dal D.L. n. 143 del 1991, art. 5,
comma 5: da parte del responsabile della dipendenza al
titolare dell’attività, ossia all’organo direttivo della banca (art.
3, comma 1), e da parte di quest’ultimo al questore (comma
2).

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“l’utilizzazione dei sistema finanziario a scopo di riciclaggio”; a

E’ del tutto evidente che il potere di valutare le segnalazioni e
di trasmetterle al questore solo se le ritenga fondate, in base
all’insieme degli elementi a disposizione, spetta solo al titolare
dell’attività; mentre il responsabile della dipendenza, come
l’odierno ricorrente, ha un margine di discrezionalità più ridotto

diverso motivo di ricorso), dovendo segnalare al suo superiore
“ogni” operazione che lo “induca a ritenere” che l’oggetto di
essa “possa provenire” da reati attinenti al riciclaggio.
Tornando al caso in esame, il Di Giovanni è stato ritenuto
responsabile della violazione di cui al primo comma dell’art. 3,
in quanto responsabile di primo livello, che aveva omesso di
segnalare la natura sospetta di plurime operazioni al titolare
dell’attività, e tale affermazioni è contestata con il motivo in
esame sul presupposto che non fosse possibile attribuire tale
qualità al ricorrente per tutte le operazioni che sono state
prese poi in considerazione ai fini dell’applicazione della
sanzione.
Ed, invero, come già rilevato da questa Corte, in occasione del
diverso ricorso proposto dal Presidente della medesima società
fiduciaria della quale il Di Giovanni era amministratore (Cass.
n. 1528/2018), la censura si traduce in una critica di merito, e
non di violazione di legge, rispetto alla sentenza impugnata. In
altri termini, di fronte alla valutazione della corte d’appello per
cui, quale amministratore delegato della fiduciaria, il ricorrente
debba ritenersi tenuto alla segnalazione di primo livello, questi
auspica un diverso risultato valutativo; con ciò sollecitando a
questa Corte un riesame di merito della lite, inesigibile in sede
di legittimità.
Osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha puntualmente
rimarcato la ristrettezza della compagine della società,

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(come si avrà modo di chiarire in occasione della disamina di

rilevando che del personale, limitato a sole quattro persone,
solo due, e cioè gli stessi amministratori delegati, Morandi e Di
Giovanni, fossero valutabili come risorse qualificate, dovendo
escludersi che gli altri due dipendenti potessero assumere il
ruolo di responsabile, essendo peraltro privi di rapporti diretti

La sentenza ha altresì rilevato che la struttura societaria, che
non contemplava una specifica figura di responsabile
antiriciclaggio, imponeva di ritenere che entrambi gli
amministratori fossero tenuti ad effettuare le segnalazioni e
relativamente a tutti i mancati, emergendo peraltro dalla
stessa narrazione contenuta in ricorso il fatto che spesso
firmassero entrambi degli atti relativi ai mandati coinvolti negli
accertamenti (si veda ex multis quanto riferito in ordine al
mandato n. 951 o al mandato n. 917), avendo altresì tutti e
due congiuntamente reso relazioni al Consiglio di
amministrazione nelle sedute del 18/9/2006 e del 16/3/2007.
L’affermazione secondo cui entrambi gli amministratori erano
tenuti ad effettuare le segnalazioni delle operazioni sospette, e
per tutti i mandati interessati dall’attività ispettiva, in quanto
frutto di una valutazione in fatto, non suscettibile di sindacato,
non è censurabile in questa sede, ed esclude altresì la
fondatezza della dedotta violazione dell’art. 5 della legge n.
689/81, avendo tutti e due concorso con l’omissione
dell’attività da ognuno anche singolarmente dovuta, alla
realizzazione dell’illecito contestato, essendo altresì escluso che
nella fattispecie uno sia chiamato a rispondere della colpa
dell’altro.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt.
3 (co. 1 e 2) 5 (co. 5) della legge n. 197/1991 e dell’art. 11
della legge n. 689/1981.

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con la clientela.

Deduce il Di Giovanni che il Ministero ha irrogato la sanzione
ritenendo che tutte le operazioni riscontrate in occasione della
disamina dei mandati oggetto di ispezione fossero state
oggetto di indebita omessa segnalazione, trascurando per
converso che occorre prendere in esame ogni singola condotta,

per la quale sussiste l’evidenza in quel momento degli estremi
dell’illecito contestato.
A tal fine si rileva che le varie operazioni oggetto della
contestazione si sono svolte in un arco temporale che va dal
2002 al 2007, sicchè tenuto conto del dettato dell’art. 3 della
citata legge, che fa riferimento ad “ogni operazione”, la
segnalazione doveva essere effettuata senza ritardo solo per
quelle operazioni che nel momento della loro esecuzione si
palesavano come sospette.
Nel caso in esame sono state contemplate ai fini della
commisurazione della sanzione anche le operazioni iniziali
eseguite nell’ambito dei singoli mandati fiduciari, e ciò anche
quando le stesse, attesa l’epoca di esecuzione, non palesavano
ancora il connotato di essere sospette.
L’unificazione delle varie operazioni contraddice la volontà della
legge, con la conseguente violazione delle norme in rubrica.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
La censura che in larga misura, anche in tal caso, si risolve in
una critica all’apprezzamento in fatto compiuto dai giudice di
merito circa l’individuazione delle operazioni sospette, omette
di considerare che in presenza di plurime operazioni, il
carattere doveroso della segnalazione ben può emergere solo
con il progressivo andamento del rapporto con l’intermediario,
il quale può avvedersi della anomalia della situazione, anche

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sicchè la sanzione può applicarsi solo per la singola operazione

alla luce dell’accavallarsi delle operazioni e delle modalità di
loro esecuzione.
La sentenza di appello ha dato puntualmente conto degli
accertamenti compiuti per ognuno dei singoli mandati
interessati dalla contestazione evidenziando come in molti casi

tasso di anomalia delle operazioni, ignorandosi la reale
capacità economica ed imprenditoriale del fiduciante, l’effettiva
provenienza delle somme impiegate (cfr. a tal fine quanto
rilevato in ordine al mandato n. 906, ovvero alla vicenda di cui
ai mandati nn. 618, 625 e 683).
La sentenza di appello ha altresì dato atto che anche a seguito
dei controlli eseguiti dalla società di revisione, appositamente
incaricata di verificare la gestione dei mandati da parte della
fiduciaria, e dei rilievi della società capogruppo, il ricorrente
avesse ribadito l’irrilevanza delle anomalie contestate,
mostrando in tal modo di voler disattendere l’obbligo prescritto
dalla legge di segnalazione, nonostante la stessa società
capogruppo nutrisse dubbi sulla correttezza dell’andamento dei
rapporti fiduciari.
La tesi del ricorrente secondo cui, una volta avvedutisi della
natura anomala delle operazioni andrebbero segnalate solo
quelle successivamente eseguite, restando invece esenti dalla
segnalazione quelle anteriori, risulta invece contraddetta
proprio dalla lettera della legge, che pur viene posta a
sostegno della fondatezza della censura.
Il riferimento ad “ogni operazione” induce infatti a ritenere che
debbano essere segnalate, una volta riscontrato il carattere
anomalo, anche quelle operazioni inizialmente non apprezzate
come tali, in quanto è solo una visione complessiva
dell’andamento dei rapporti, nel caso di specie fiduciari, a poter

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fosse la stessa situazione originaria a denotare un elevato

consentire di avvedersi della sussistenza delle condizioni
previste dalla legge per il successivo inoltro all’UIC da parte del
soggetto di cui al secondo comma dell’art. 3.
La segnalazione delle sole operazioni successive offrirebbe
evidentemente un quadro solo parziale della fattispecie, ed

al quale il legislatore ha effettivamente attribuito una
discrezionalità, se debba o meno procedersi alla segnalazione
di secondo livello.
Né appare contrastare tale interpretazione il fatto che il primo
comma preveda che la segnalazione debba essere effettuata
“senza ritardo”, non sussistendo impedimenti a ritenere che il
connotato dell’urgenza della segnalazione possa estendersi
anche alle operazioni pregresse, laddove ci si sia avveduti, in
conseguenza dell’andamento della vicenda, del carattere
sospetto della complessiva operazione.
Così come del pari non assume connotato di decisività ai fini
dell’accoglimento della tesi del ricorrente la circostanza che la
segnalazione dovrebbe intervenire prima della sua esecuzione,
posto che tale previsione risulta espressamente dettata per la
diversa segnalazione di cui al secondo comma dell’art. 3, e non
anche per quella che invece incombeva sul Di Giovanni ai sensi
del primo comma, occorrendo altresì considerare che la
sospensione non è una conseguenza automatica ma è
consentita solo ove sia ancora possibile, sicchè l’evenienza che
sia impossibile sospendere operazioni già eseguite, di per sé
non esime dal dover in ogni caso effettuare la segnalazione di
quelle che si palesino, ancorchè non ab initio, sospette.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 18
del D. Lgs. n. 231/2007, nonché dell’art. 3 co. 1 e 5 della legge
n. 197/1991 in relazione all’art. 1 della legge n. 689/1981.

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impedirebbe quindi di poter apprezzare, da parte del soggetto

Assume il ricorrente che gli è stata addebitata la condotta di
omissione dell’adeguata verifica della clientela, così che nei
fatti gli è stata contestata la violazione della previsione di cui
all’art. 16 del D. Lgs. n. 231/2007, che è entrato in vigore in
epoca successiva alle condotte interessate dall’ordinanza.

adempimenti previsti dall’art. 2 della legge n. 197/1991, che
consistevano nell’identificare le generalità dei clienti fiducianti e
nel registrare le date e le causali delle operazioni, dell’importo
dei singoli mezzi di pagamento e delle generalità di chi
effettuava le singole operazioni.
Anche tale motivo è da rigettare.
Il ricorrente, facendo richiamo alla norma che prevede gli
obblighi di registrazione nell’Archivio Unico Informatico,
addiviene alla conclusione non condivisibile secondo cui una
volta soddisfatti i requisiti di registrazione come imposti dalla
normativa all’epoca vigente, i soggetti di cui al primo comma
dell’art. 3 avrebbero adempiuto anche agli oneri di diligenza
che la legge impone al fine di assicurare una adeguata verifica
della natura sospetta delle operazioni svolte.
Ed, invero, come precisato da questa Corte (Cass. n.
23017/2009), ai fini dell’applicazione dell’art. 3 citato, il
responsabile della dipendenza deve controllare, per vero, che
sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione;
ma si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla
stessa legge – caratteristiche, entità, natura o “qualsivoglia
altra circostanza” oggettivamente significativa – o
ulteriormente specificati dalla Banca d’Italia.
In

relazione

agli

elementi

riferibili

al

cliente,

occorre

considerare la capacità economica e l’attività svolta, con la
possibilità che la sola entità dell’operazione non possa essere

Ric 2015 n. 10118 sez. 52 – ud. 09-05-2018 -14-

All’epoca dei fatti il Di Giovanni era tenuto solo agli

elevata a sospetto se risulta che il soggetto operante sia dotato
dì alta capacità economica.
In tal caso si è quindi evidenziato che affinchè una pluralità di
operazioni, sia pure singolarmente considerate in linea con le
norme vigenti, debba essere segnalata è necessario che le

della stessa persona
Tuttavia ad esonerare dalla segnalazione non può essere
ritenuta sufficiente la mera conoscenza dei soggetti coinvolti e
la provenienza del denaro utilizzato, occorrendo invece
riscontrare una effettiva cognizione della capacità economica
del soggetto coinvolto.
Richiamata tale doverosa e condivisa precisazione, e ribadito
che la debita valutazione da parte dell’intermediario (organo
direttivo della banca) dell’operazione segnalata, alla luce di
tutti gli altri elementi a sua disposizione (art. 3, comma 2), non
compete al responsabile della dipendenza bancaria (art. 3,
comma 1), quest’ultimo non può giustificare la propria
omissione facendo richiamo alla conoscenza personale del
soggetto ed alla provenienza del denaro, dati che sono peraltro
assicurati dalla registrazione nell’AUI ai sensi dell’articolo 2, ma
è tenuto a compiere una più ampia ed approfondita valutazione
che gli impone, in presenza di elementi che denotano
l’anomalia dell’operazione, un approfondimento anche in ordine
all’effettiva qualità e capacità economica dell’autore delle
operazioni.
Ebbene, come si rileva dalla stessa lettura del ricorso a pag. 52
e 53, l’addebito mosso al ricorrente non è tanto quello di avere
omesso di compiere le necessarie registrazioni a mente dell’art.
2, quanto invece, una volta riscontrato l’andamento anomalo
del rapporto fiduciario, sulla base degli indici desumibili dal cd.

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medesime non siano giustificate dall’attività svolta da parte

Decalogo della Banca d’Italia, al quale deve attribuirsi portata
determinante al fine di assicurare l’uniforme orientamento degli
intermediari

in vista

dell’individuazione delle operazioni

sospette (cfr. art. 3 bis co. 4 della legge n. 197/1991), in
presenza di un quadro oggettivo che deponeva per la natura

riscontrare l’effettiva capacità economica dei soggetti
interessati, di cui aveva una conoscenza del tutto superficiale e
fondata sulla mera assicurazione della banca presentatrice.
D’altronde non è casuale che le violazioni degli obblighi di
registrazione rinvengano una loro autonoma sanzione nello
stesso art. 2, illecito che non è stato contestato al ricorrente, al
quale viene viceversa addebitata l’omessa segnalazione di
operazioni sospette, evidenziandosi che il dato oggettivo
costituito dall’anomalo sviluppo dei rapporti fiduciari, come
confortato dagli indici di anomalia ricavabili dal menzionato
Decalogo della Banca d’Italia, non era in alcun modo
giustificato dalla effettiva e riscontrata capacità economica dei
soggetti interessati.
4. Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 3
(co. 1 e 2) della legge n. 197/1991 e degli artt. 648 bis e ter
c.p.
Si rileva che la sentenza della Corte d’Appello ha trascurato le
osservazioni critiche mosse dal Di Giovanni nei motivi di
appello quanto alla verifica della provenienza illecita del denaro
impiegato nelle varie operazioni compiute nell’ambito dei
mandati fiduciari.
Ed, infatti, richiamata la necessità che i reati presupposti che
impongono la segnalazione siano esclusivamente quelli di cui
agli artt. 648 bis e ter c.p., l’obbligo di segnalazione sarebbe
gravato sul ricorrente solo qualora questi avesse avuto il

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sospetta delle operazioni, quello di avere omesso altresì di

sospetto dell’estraneità dell’autore dell’operazione fiduciaria
rispetto al reato a monte del riciclaggio.
In tal senso si era segnalata la difficoltà di acquisire notizie in
ordine a tale dato, ritenendo erroneamente che non sia invece
rilevante la prova dell’effettiva consumazione del reato

Anche tale motivo deve essere disatteso, dovendosi invece
dare continuità alla costante giurisprudenza di questa Corte,
che ha offerto delle norme in esame un’interpretazione in
chiave essenzialmente oggettiva.
Ed, infatti, al fine di ridurre i margini di incertezza connessi con
valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed
evitare forme di “arbitraggio normativo dirette a eludere gli
obblighi di legge”, e per assicurare la “omogeneità di
comportamento del personale degli intermediari”, la Banca
d’Italia ha emanato delle “Istruzioni operative per
l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio (cd.
decalogo). Con tali istruzioni l’Istituto di vigilanza ha
introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle
anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni
bancarie, in esse ricomprendendo anche l’insieme di
movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente
collegate, in presenza delle quali delle operazioni pur di per sè
neutre, potendo dissimulare una attività di riciclaggio, vanno
rapportate alla capacità economica od all’attività del cliente, ed
impongono all’operatore dell’intermediario l’effettuazione di
specifiche indagini per valutare, in base alle altre notizie di cui
dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura
sostanziale.
Detta valutazione, anche se costituisce il risultato di un
apprezzamento soggettivo, deve avere natura impersonale,

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presupposto.

come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa “induca
a ritenere.., che il denaro, i beni o le utilità.., possano
provenire” da delitto e, conseguentemente, la nozione di
sospetto, nel quale essa si deve concretizzare per imporre
l’adempimento all’obbligo di segnalazione dell’operazione, va

mero filtro, attraverso il quale l’Ufficio italiano dei cambi
esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che
può concludersi anche con una archiviazione in via
amministrativa.
Pertanto, e con specifico riferimento ai soggetti di cui al primo
comma dell’art. 3 della legge n. 197/1991, si è affermato che
(cfr. Cass. n. 23017/2009), poiché il potere di valutare le
segnalazioni e (se le ritenga fondate) di trasmetterle al
questore spetta solo al «titolare dell’attività» (ossia all’organo
direttivo della banca), il «responsabile della dipendenza» deve
segnalare al suo superiore ogni operazione che lo induca a
ritenere che l’oggetto di essa possa provenire da reati attinenti
al riciclaggio, sulla base di elementi oggettivi riferibili
all’operazione stessa o alla capacità economica e all’attività del
cliente.
La segnalazione delle operazioni non è quindi subordinata alla
evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli
intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure alle
esclusioni in base a un loro personale convincimento della
estraneità delle operazioni a una attività delittuosa, ma si
fonda su di un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati
gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, a
essere strumento di elusione delle disposizioni dirette a
prevenire e punire l’attività di riciclaggio (conf. Cass. n.
9089/2007; Cass. n. 8699/2007).

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individuata tenendo conto che la segnalazione ha la funzione di

La sentenza gravata ha quindi correttamente fatto riferimento
alla valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi che
caratterizzavano le vicende di causa, e con giudizio in fatto, ha
reputato che le operazioni eseguite si prestassero ad essere
strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e

dissimulazione, l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni
provenienti da una attività criminosa o da una partecipazione a
tale attività, a nulla rilevando il personale convincimento del
ricorrente, ovvero la mancanza di una prova dotata di elevato
grado di attendibilità circa l’esistenza dei reati a monte.
5. Il quinto motivo lamenta la violazione dell’art. 11 della legge
n. 689/81 quanto alla concreta determinazione della sanzione
irrogata.
Si rileva che con un motivo di appello si era denunciato che
non si fosse tenuto conto della reale capacità economica
dell’opponente nonché del fatto che non tutte le operazioni
economiche erano passibili di segnalazione, ed infine dell’attiva
collaborazione prestata in sede d’ispezione dell’UIC.
La Corte d’Appello ha disatteso le doglianze reputando congrua
la quantificazione della sanzione in una percentuale del 25 °h
del valore delle operazioni sospette, ma in tal modo avrebbe
omesso di prendere in considerazione tutti gli indici che l’art.
11 della legge n. 689/81 impone di valutare ai fini della
commisurazione della sanzione.
Rileva la Corte che nelle more del presente giudizio è
intervenuto il D. Lgs. n. 90 del 2017 il cui art. 5 ha riscritto
l’art. 58 del D. Lgs. n. 231/2007 in tema di sanzioni, con la
seguente formulazione:
“1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che
omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette,

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punire la conversione, il trasferimento, l’occultamento, la

si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000
euro.
2. Salvo che il fatto costituisca reato e salvo quanto previsto
dall’articolo 62, commi 1 e 5, nelle ipotesi di violazioni gravi,
ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione

gravita’ della violazione e’ determinata anche tenuto conto:
a) dell’intensita’ e del grado dell’elemento soggettivo, anche
avuto riguardo all’ascrivibilita’, in tutto o in parte, della
violazione alla carenza, all’incompletezza o alla non adeguata
diffusione di prassi operative e procedure di controllo interno;
b) del grado di collaborazione con le autorita’ di cui all’articolo
21, comma 2, lettera a);
c) della rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto, anche
avuto riguardo al valore dell’operazione e al grado della sua
incoerenza rispetto alle caratteristiche del cliente e del relativo
rapporto;
d) della reiterazione e diffusione dei comportamenti, anche in
relazione alle dimensioni, alla complessita’ organizzativa e
all’operativita’ del soggetto obbligato.
3. La medesima sanzione di cui ai commi 1 e 2 si applica al
personale dei soggetti obbligati di cui all’articolo 3, comma 2 e
all’articolo 3, comma 3, lettera a), tenuto alla comunicazione o
alla segnalazione, ai sensi dell’articolo 36, commi 2 e 6 e
responsabile, in via esclusiva o concorrente con l’ente presso
cui operano, dell’omessa segnalazione di operazione sospetta.
4. Nel caso in cui le violazioni gravi, ripetute o sistematiche
ovvero plurime producono un vantaggio economico, l’importo
massimo della sanzione di cui al comma 2:

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amministrativa pecuniaria da 30.000 euro a 300.000 euro. La

a)

e’ elevato fino al doppio dell’ammontare del vantaggio

medesimo, qualora detto vantaggio sia determinato o
determinabile e, comunque, non sia inferiore a 450.000 euro;
b) e’ elevato fino ad un milione di euro, qualora il predetto
vantaggio non sia determinato o determinabile.

commettono, anche in tempi diversi, una o piu’ violazioni della
stessa o di diverse norme previste dal presente decreto in
materia di adeguata verifica della clientela e di conservazione
da cui derivi, come conseguenza immediata e diretta,
l’inosservanza dell’obbligo di segnalazione di operazione
sospetta, si applicano unicamente le sanzioni previste dal
presente articolo.
6. Ai soggetti obbligati che omettono di dare esecuzione al
provvedimento di sospensione dell’operazione sospetta,
disposto dalla UIF ai sensi dell’articolo 6, comma 4, lettera c),
si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro
a 50.000 euro.”
Lo stesso D. Lgs. n. 90/2017 ha introdotto anche l’art. 69 del
D. Lgs. n. 231/2007 il cui primo comma così recita:
“Nessuno puo’ essere sanzionato per un fatto che alla data di
entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non
costituisce piu illecito. Per le violazioni commesse
anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto,
sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente
all’epoca della commessa violazione, se piu’ favorevole, ivi
compresa l’applicabilita’ dell’istituto del pagamento in misura
ridotta.”
Atteso che il motivo di ricorso verte espressamente sulla
determinazione quantitativa della misura, ritiene il Collegio che
le norme de quibus possano essere applicate alla fattispecie, in

Ric. 2015 n. 10118 sez. 52 – ud. 09-05-2018 -21-

5. Ai soggetti obbligati che, con una o piu’ azioni od omissioni,

relazione all’affermazione, anche per le sanzioni per cui è
causa, del principio dell’immediata applicabilità dello ius
superveniens più favorevole al trasgressore.
Nelle memorie entrambe le parti, vertendo il motivo in esame
espressamente sulla determinazione della sanzione applicata,

applicata la normativa sopravvenuta, partendo comunque
evidentemente dal presupposto comune secondo cui si
tratterebbe di disposizione che avrebbe esteso in tale campo il
principio del favor rei, riconoscendo, accanto alla regola
secondo cui la successiva abrogazione della norma
sanzionatoria opera anche per gli illeciti commessi in epoca
anteriore, anche l’applicabilità della normativa sopravvenuta in
tema di determinazione della sanzione, ove ritenuta più
favorevole al trasgressore.
Nel caso in esame, facendo applicazione della previsione
sanzionatoria di cui all’art. 5 della legge n. 197/1991 (e sul
presupposto dell’inapplicabilità della successiva disposizione di
cui all’art. 57 co. 4 del D. Lgs. n. 231/20047) la sanzione era
stata irrogata nella somma di C 6.711.183,00, pari al 25 %
dell’ammontare delle operazioni sospette non segnalate,
laddove parte ricorrente deduce che a seguito della novella del
2017 la sanzione pecuniaria applicabile oscillerebbe da un
minimo edittale di C 3.000,00 (ai sensi del primo comma
dell’art. 58), sino ad un massimo di C 300.000,00, per le
ipotesi di violazioni gravi, ripetute e sistematiche, ove
ricondotta la condotta sanzionata all’ipotesi di cui al secondo
comma dell’art. 58, dovendosi però ai fini della graduazione
della sanzione tenere conto anche dei criteri di cui all’art. 67
del D. Lgs. n. 231/2007 ( Nell’applicazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie e delle sanzioni accessorie, previste

Ric 2015 n. 10118 sez. 52 – ud. 09-05-2018 -22-

hanno evidenziato le ragioni per le quali andrebbe o meno

nel presente Titolo, il Ministero dell’economia e delle finanze e
le autorita’ di vigilanza di settore, per i profili di rispettiva
competenza, considerano ogni circostanza rilevante e, in
particolare, tenuto conto del fatto che il destinatario della
sanzione sia una persona fisica o giuridica: a) la gravita’ e

persona fisica o giuridica; c) la capacita’ finanziaria della
persona fisica o giuridica responsabile; d) l’entita’ del
vantaggio ottenuto o delle perdite evitate per effetto della
violazione, nella misura in cui siano determinabili; e) l’entita’
del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione,
nella misura in cui sia determinabile; f) il livello di
cooperazione con le autorita’ di cui all’articolo 21, comma 2,
lettera a) prestato della persona fisica o giuridica responsabile;
g) l’adozione di adeguate procedure di valutazione e
mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del
terrorismo, commisurate alla natura dell’attivita svolta e alle
dimensioni dei soggetti obbligati; h) le precedenti violazioni
delle disposizioni di cui al presente decreto).
Parte ricorrente, evidenziando quindi le sue precarie condizioni
economiche, la circostanza che non abbia tratto alcun
vantaggio dalle operazioni non segnalate, l’assenza di
pregiudizio per i terzi, e la carenza di precedenti violazioni
contestategli, invoca l’applicazione dello ius superveiens di cui
al menzionato art. 58, con determinazione della sanzione in
maniera prossima al minimo edittale.
La difesa erariale, pur prendendo atto, come detto, del fatto
che la norma di cui all’art. 69 introdotta nel 2017 è espressiva
del principio del favor rei ( che sinora non aveva avuto
riconoscimento nel campo delle sanzioni amministrative in
esame) propone tuttavia una lettura restrittiva della norma,

Ric. 2015 n. 10118 sez. 52 – ud. 09-05-2018 -23-

durata della violazione; b) il grado di responsabilita’ della

assumendo che la retroattività della norma sanzionatoria più
favorevole sia condizionata alla mancata conclusione del
procedimento sanzionatorio.
Ne deriverebbe che nel caso di specie, poiché alla data di
entrata in vigore dell’art. 69, la sanzione era stata già irrogata,

definitivo, stante l’opposizione del trasgressore, non sarebbe
possibile invocare la norma di maggior favore introdotta
parimenti nel 2017.
Reputa il Collegio che gli argomenti addotti dalla difesa erariale
non possano però essere condivisi.
In primo luogo depone l’elemento letterale della norma in
esame, destinato ad assumere carattere prevalente ex art. 12
delle preleggi, stante l’inequivoco tenore letterale della
previsione che fa riferimento in generale alle violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della
novella, senza contenere alcun riferimento alla ricorrenza
altresì del requisito della mancata adozione del provvedimento
sanzionatorio.
Né può deporre in senso contrario il richiamo alla diversa
previsione di cui all’art. 11 sempre delle preleggi, essendo
evidente che a fronte di una norma chiaramente volta ad
optare per l’applicazione del principio dell’applicazione dello ius
superveniens più favorevole al trasgressore, la ratio legis è
evidentemente improntata all’introduzione di norme destinate
ad operare anche per il passato, sebbene nei limiti segnati dal
principio del favor rei.
La tesi del Ministero non può ritenersi validamente supportata
nemmeno dal richiamo alle previsioni di cui all’art. 3 del D. Lgs.
N. 472/1997 e all’art. 23 bis del DPR n. 148/1988, che pur
hanno già introdotto l’applicazione del principio del favor rei

Ric 2015 n. 10118 sez. 52 – ud. 09-05-2018 -24-

ancorchè il provvedimento sanzionatorio non fosse ancora

alle sanzioni amministrative di diritto tributario ed in materia
valutaria, atteso che entrambe le previsioni, deponendo in tal
senso a favore dell’immediata applicabilità della novella anche
nel procedimento in esame, prevedono che l’unico limite alla
regola del favor rei è rappresentato dal fatto che il

definitività, carattere che evidentemente presuppone anche
che sia esaurita l’eventuale fase di impugnazione in sede
giurisdizionale.
Del tutto priva di rilevanza è poi l’affermazione secondo cui
l’applicazione della norma anche alle violazioni per le quali alla
data di entrata in vigore della legge sia stata emessa
l’ordinanza sanzionatoría, sarebbe in contrasto con la
previsione secondo cui la norma de qua non prevedrebbe
maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dovendosi
escludere che l’eventuale riduzione delle sanzioni per effetto
della norma possa incidere sulle complessive valutazioni in
merito alle entrate ovvero alle uscite dello Stato, occorrendo
considerare che trattandosi dì procedimenti ancora in corso
anche gli importi correlati alla loro definizione non assumerà il
carattere della certezza se non allorquando il provvedimento
che li abbia decisi abbia acquisito il carattere della definitività.
Atteso che, in ragione dell’importo della sanzione irrogata nella
fattispecie e dei limiti edittali posti dalla norma sopravvenuta,
si palesa con evidenza il carattere di maggior favore di
quest’ultima, la sentenza impugnata deve essere cassata con
rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano affìnché
provveda a rideterminare la sanzione dovuta, facendo
applicazione dei criteri di commisurazione sopra riportati.
Restano pertanto assorbite le censure formulate con il motivo
in esame.

kic. 2015 n. 10118 sez. 52 – ud. 09-05-2018 -25-

provvedimento sanzionatorio abbia acquisito il carattere della

6. Il giudice del rinvio come sopra designato provvederà anche
sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sul ricorso, rigetta i primi quattro motivi
del ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione al

delle spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte
d’Appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^
SezIonn Civile, in data 9 maggio 2018.
Il Cnsnsigliére estensore

Il Presidente
r
(“Uu,

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

08 AGO. 2018

((,;(L-

trattamento sanzionatorio con rinvio, anche per la liquidazione

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