Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20648 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. I, 07/10/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 07/10/2011), n.20648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32029/2005 proposto da:

NA.CA.DI. – PRODOTTI SANITARI PARASANITARI MEDICALI S.N.C. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. PAULUCCI DE’ CALBOLI 9,

presso l’avvocato SANDULLI Piero, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine della memoria di costituzione;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA – GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA U.S.L. N.

(OMISSIS) DI

CASERTA, in persona del Direttore Generale della A.S.L. Caserta

(OMISSIS)

pro tempore, nella qualità di Commissario Liquidatore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 77, presso l’avvocato COCILOVO Marco,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1883/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato P. SANDULLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La NA.CA.DI. s.n.c. ottenne dal Presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della USL (OMISSIS) di Maddaloni per il pagamento della somma di L. 881.718.699 oltre accessori, a titolo di corrispettivo di forniture di prodotti sanitari e parasanitari eseguite in favore dell’intimata.

L’opposizione proposta dalla USL al decreto fu accolta dal Tribunale sammaritano che, con sentenza non definitiva del 12.8.98, dichiarò nullo, per mancanza di forma scritta ad substantiam, il contratto di fornitura e revocò il provvedimento monitorio e, con sentenza definitiva del 30.9.03, dichiarò inammissibile la domanda di arricchimento senza causa proposta in subordine dalla creditrice.

La NACADI, con unico atto, appellò entrambe le decisioni nei confronti della Regione Campania – Gestione liquidatoria della USL (OMISSIS), succeduta all’originaria opponente nella titolarità del rapporto controverso.

Con sentenza del 16.6.2005 la Corte d’Appello di Napoli respinse il gravame, affermando: che il requisito della forma scritta ad substantiam del contratto concluso con la P.A. non è soddisfatto dall’eventuale deliberazione dell’organo collegiale dell’ente che non risulti essersi tradotta in un atto sottoscritto da entrambi i contraenti (ovvero dal rappresentante dell’ente pubblico e dal privato), dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da svolgersi ed al pagamento del loro corrispettivo; che peraltro, nel caso di specie, non solo tale atto non era mai stato stipulato, ma difettava la prova che il contratto fosse stato concluso per iscritto, ancorchè non contestualmente; che, infatti, mancava qualsiasi ordine di fornitura proveniente dall’organo deliberativo della USL, con la conseguenza che le bolle di accompagnamento sottoscritte da dipendenti della destinataria altro non provavano che l’avvenuta consegna dei beni, senza che da ciò potesse desumersi il formale incontro delle volontà dei rappresentanti della fornitrice e della ricevente, neppure riguardo alla determinazione del corrispettivo; che era fondato il motivo d’appello con il quale la NACADI aveva eccepito l’erroneità della pronuncia definitiva con la quale il Tribunale, in contrasto con la propria precedente statuizione, contenuta nella sentenza non definitiva, di ammissibilità della domanda di indebito arricchimento, aveva dichiarato la domanda inammissibile; che, tuttavia, tale domanda andava respinta nel merito; che infatti, sotto un primo profilo, mancava la prova che la USL avesse effettiva necessità dei prodotti forniti dalla NACADI, in quanto il ctu aveva accertato che la maggior parte degli ordinativi non era stata sottoscritta dai preposti al magazzino od alla farmacia; che la lacunosità della prova in ordine alla concreta necessità delle forniture emergeva anche dalle circostanze esposte nei numerosi capi di imputazione del decreto di rinvio a giudizio prodotto dall’appellata, nei quali risultavano contestate la formazione di ordinativi di merci per quantità maggiori del necessario o addirittura non necessarie, la falsa attestazione di situazioni di urgenza per giustificare le forniture, la falsa attestazione delle effettive giacenze, la non convenienza economica dei prezzi ai quali le merci erano state acquistate; che, sotto altro profilo, la NACADI non aveva prodotto documentazione a dimostrazione della spesa sostenuta per l’acquisto delle merci, anche al fine di consentire un oggettivo riscontro della corrispondenza fra i prodotti acquistati e quelli poi forniti alla USL, e dunque non aveva provato quale fosse stata l’effettiva perdita patrimoniale subita; che, infine, doveva escludersi che vi fosse prova del riconoscimento del vantaggio conseguito dalla USL, in quanto tutte le deliberazioni di autorizzazione alla spesa assunte dal Comitato di gestione erano state annullate dal Comitato regionale di controllo, per essere state le forniture eseguite a trattativa privata anzichè previo espletamento di una pubblica gara, ed era ragionevole ipotizzare che l’espletamento di tali gare in conformità della legge avrebbe consentito la previsione di un corrispettivo inferiore a quello preteso dalla fornitrice.

La NACADI s.n.c. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi.

La Gestione liquidatoria della USL (OMISSIS) di Maddaloni ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso, la NACADI denuncia violazione degli artt. 1321, 1328, 1337, 1350, 1360, 1398, 1418, 1421, 1423 c.c. e R.D. n. 2440 del 1923, art. 17, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Rileva che il giudice d’appello, pur avendo riconosciuto che i contratti dedotti in giudizio rientravano astrattamente fra quelli per i quali, a norma del R.D. n. 2440 del 1923, art. 17, non v’era necessità della contestuale formazione del consenso fra le parti, ha poi escluso che nel caso di specie ricorresse tale ipotesi, tralasciando di considerare gli elementi documentali decisivi – emergenti dagli ordinativi prodotti in giudizio, che contenevano tutti la descrizione della tipologia delle merci ordinate e l’attestazione della convenienza del prezzo segnato in calce, in ragione del costo unitario del prodotto, corredata della sottoscrizione dei funzionari e del legale rappresentante della USL – dai quali si ricavava l’esistenza del fatto costitutivo del contratto (determinazione del corrispettivo) ritenuto erroneamente carente.

Il motivo va dichiarato inammissibile, in quanto privo di attinenza al decisum.

La Corte di merito ha accertato che la NACADI “non ha prodotto alcun atto scritto proveniente dall’organo rappresentativo dell’ente con cui si commissionavano le forniture ad un determinato prezzo” ed ha ulteriormente osservato che “la lacuna riguarda anche la posizione della società fornitrice, posto che le bolle di consegna sottoscritte dal destinatario altro non provano che la materiale consegna dei beni, ma non che vi sia stato un formale incontro delle volontà dei rispettivi organi rappresentativi, neppure riguardo alla determinazione del corrispettivo”.

Nessuna delle due affermazioni risulta specificamente contestata dalla ricorrente, la quale censura soltanto l’inciso (concernente la determinazione del corrispettivo) posto dal giudice d’appello a conclusione, ed a definitivo suggello, del complessivo ragionamento probatorio che l’ha condotto ad escludere che i contratti fossero stati stipulati per iscritto, seppure a distanza.

Sotto altro profilo, va rilevato che l’eventuale errore compiuto dalla Corte territoriale nel negare l’avvenuta produzione da parte della NACADI di ordini di fornitura provenienti dall’organo rappresentativo della USL, ricadendo su un fatto materiale (erroneamente) supposto inesistente e non già su un inesatto apprezzamento della prova documentale offerta, costituirebbe vizio revocatorio, denunciabile solo ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

2) Con il secondo motivo di ricorso, la NACADI, nel denunciare violazione e falsa applicazione degli artt. 1224, 1282, 1321, 1350, 2041, 2043, 2056, 2697, 2702, 2727, 2729, 2730, 2731, 2732 c.c., artt. 61, 88, 115, 116, 163, 195, 196, 214, 215, 216, 221, 226, 295 c.p.c., art. 211 disp. att. c.p.p. e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6, 13, 21, 50, nonchè vizio di motivazione, si duole del rigetto della domanda di indebito arricchimento.

Deduce, in primo luogo, che l’affermazione del giudice d’appello secondo cui doveva escludersi che vi fosse prova del riconoscimento dell’utilità conseguita dalla USL, in quanto tutte le deliberazioni di autorizzazione alla spesa assunte dal Comitato di gestione erano state annullate dal Comitato regionale di controllo, contrasta col consolidato principio giurisprudenziale alla cui stregua non è necessario che l’atto amministrativo di riconoscimento dell’utilitas sia formalmente valido.

Assume, inoltre, l’irrilevanza delle ragioni di annullamento delle delibere, individuate dal CO.RE.CO. nell’avvenuta esecuzione delle forniture a trattativa privata e non a seguito di pubblica gara, in quanto la USL si era potuta avvalere nella specie della previsione di cui al R.D. n. 827 del 1924, art. 41, n. 2, per l’urgenza di ottenere le merci.

Rileva, ancora, che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, il suo impoverimento doveva presumersi coincidente col prezzo fatturato e non percepito, comprensivo della somma dei costi e del profitto atteso, peraltro corrispondente al vantaggio patrimoniale conseguito dalla USL, pari al valore di mercato delle merci, ovvero al prezzo normalmente praticato nella stessa zona per forniture analoghe.

Sostiene, infine, che la rilevanza degli elementi complessivamente acquisiti non poteva essere sminuita con l’affermazione – pure contenuta nella motivazione della sentenza impugnata – secondo cui era lacunosa la prova della necessità delle forniture, fondata sul mero esame di capi di imputazione contenuti in un decreto di rinvio a giudizio – fra l’altro non emesso nei confronti del legale rappresentante di essa ricorrente -, senza acquisizione degli atti dell’indagine preliminare e senza verifica di quali fossero stati, a distanza di oltre un decennio, gli esiti del processo penale.

Il motivo non merita accoglimento.

La statuizione di rigetto della Corte di merito si fonda su una molteplicità di rationes deciderteli, volte ad escludere che la NACADI abbia fornito prova tanto dell’avvenuto riconoscimento dell’utilità delle prestazione quanto della perdita effettivamente sofferta e del vantaggio conseguito dalla USL. E’ opportuno partire dall’esame delle censure che investono quella parte della motivazione della sentenza concernente la mancanza di elementi di prova atti a determinare l’effettivo impoverimento della fornitrice o l’arricchimento della P.A..

La ricorrente riconosce che l’indennità ex art. 2041 c.c., deve essere liquidata nella minor somma tra l’arricchimento ricevuto da chi si sia avvantaggiato della prestazione eseguita in difetto di causa e la diminuzione patrimoniale subita da chi ne sia stato impoverito.

Sostiene, tuttavia, che nel caso di forniture di merci effettuate da un imprenditore in favore di un ente pubblico in assenza di un valido contratto, la diminuzione patrimoniale da questi subita deve ritenersi comprensiva anche del suo profitto e dunque può presumersi coincidente con il prezzo fatturato e non percepito. Rileva, altresì, che, poichè il Comitato di gestione aveva riconosciuto che i prezzi da essa praticati erano equivalenti a quelli di mercato offerti da altre ditte, nella specie era incontestabile che la sua perdita patrimoniale coincidesse con il vantaggio dell’arricchita.

Ora, quanto a tale ultima proposizione, la Corte territoriale ha evidenziato che l’effettuazione di una gara pubblica per l’acquisto dei prodotti avrebbe presumibilmente condotto alla pattuizione di un corrispettivo inferiore rispetto ai prezzi indicati nelle fatture.

L’accertamento è stato contrastato genericamente dalla NACADI, la quale ha dedotto che la motivazione in base alla quale il CORECO aveva annullato le delibere del Comitato di gestione della USL di ratifica della spesa era priva di fondamento, ricorrendo nella specie i requisiti di urgenza di cui al R.D. n. 827 del 1924, art. 41 n. 2 (rectius: n. 5), ma non ha lamentato l’omessa valutazione da parte del giudice d’appello di elementi probatori decisivi, dai quali si sarebbe dovuta trarre la circostanza allegata, limitandosi, a riguardo, a richiamare il preteso contenuto delle delibere annullate, neppure trascritto integralmente nel motivo (e non altrimenti riscontrabile da questa Corte, in mancanza di indicazione della fase processuale e del fascicolo di parte in cui dette delibere sono state prodotte). L’ulteriore assunto della ricorrente, secondo cui l’indennità andrebbe liquidata in misura corrispondente al prezzo delle merci fatturato e non percepito, dovendosi ricomprendere nella nozione di impoverimento anche il mancato guadagno, si rifà, invece, ad un pregresso orientamento giurisprudenziale (Cass. nn. 4275/83, 3627/86, 4192/95) non univoco, al quale questo collegio non ritiene di poter aderire.

Invero, secondo il più recente e condivisibile arresto di cui alla sentenza a SS.UU. n. 23385/08, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.

Come ampiamente chiarito dalle SS.UU., a questa conclusione induce innanzitutto la lettera della norma, che trova un significativo completamento nell’espressione “pregiudizio” utilizzata dall’art. 2042 c.c., a riprova dell’intento del legislatore di evitare qualsiasi confusione con il “danno ingiusto” di cui all’art. 2043 c.c. e con le sue componenti.

D’altra parte, l’invocata esigenza di sacrificare la lettera della norma alla asserita ratio che, intendendo eliminare ogni pregiudizio subito (nei limiti dell’altrui arricchimento) dall’impoverito, ne imporrebbe un’interpretazione estensiva, comprensiva anche del mancato guadagno per utile di impresa connesso a prestazioni erogate sine causa, non si sottrae alla critica di risolversi in una petizione di principio, posto che ciò che dovrebbe dimostrarsi è proprio che l’espressione “diminuzione patrimoniale”, nel contesto del disposto dell’art. 2041 c.c., abbia, malgrado la diversa terminologia, la medesima estensione della nozione di risarcimento del danno di cui all’art. 1223 c.c. (recepita dall’art. 2043 c.c., e segg.).

Detta equiparazione risulta, invece, smentita sia dalle origini che dalle finalità dell’istituto, introdotto nel progetto di codice delle obbligazione del 1936, ove un unico articolo stabiliva che “chi si arricchisce senza legittima causa a danno di un’altra persona, è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, ad indennizzarla di ciò di cui questa si è impoverita” , e significativamente collocata dopo la previsione di numerosi casi particolari (art. 31 c.c., comma 3, art. 535 c.c., art. 821 c.c., comma 2, artt. 935-940, 1150 c.c., art. 1185 c.c., comma 2, artt. 1190, 1443, 1769 c.c., art. 2037 c.c., comma 3, art. 2038 c.c., comma 3) assolutamente eterogenei, ma ispirati al medesimo principio ed accomunati dall’obbligo di restituire all’impoverito esclusivamente perdite, esborsi, spese, prestazioni ed altri elementi, utilità o valori, già sussistenti nel suo patrimonio “nei limiti dell’arricchimento”. Sicchè si è mantenuto un sistema di figure tipiche, disciplinate in modo minuzioso, rispetto alle quali l’art. 2041 c.c., ha assunto la funzione di norma di chiusura, che necessariamente partecipa della disciplina e delle finalità sostanziali cui sono rivolte ed ispirate le suddette disposizioni, di eliminare l’iniquità prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione, sancendone la restituzione, ma in funzione e nei limiti dell’arricchimento, e non in dipendenza di una variabile costituita dal concreto ammontare del danno subito, come avviene nell’azione risarcitoria.

Va pertanto escluso che l’indennizzo astrattamente spettante alla NACADI ai sensi dell’art. 2041 c.c., possa essere liquidato in misura corrispondente al prezzo delle merci fatturato, comprensivo del guadagno della fornitrice.

Ne consegue, che, non avendo la ricorrente neppure accennato ad un vizio di motivazione, sul punto, della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale tenuto conto di elementi probatori dai quali avrebbe, in ogni caso, potuto ricavare l’effettiva misura dell’impoverimento da essa subito, la censura deve essere respinta.

Risulta, a questo punto, superfluo l’esame delle ragioni di doglianza che investono l’ulteriore, autonoma ratio decidendi sulla quale il giudice d’appello ha fondato il rigetto della domanda (attinente al difetto di prova del riconoscimento dell’utilitas della prestazione), le quali, quand’anche fondate, non potrebbero condurre all’accoglimento del ricorso.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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