Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20646 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 13/10/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 13/10/2016), n.20646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23608/2014 proposto da:

G.R., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MICHELE TAGLIAFERRI giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V. G. B. MARTINI

13, presso lo studio dell’avvocato IVAN INCARDONA, rappresentata e

difesa dall’avvocato EDUARDO LIMONGI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

N.G., G.F., G.G.,

G.P., GA.GI., GA.FR., R.A.,

R.F., R.R., F.R., F.G.,

FL.GI., F.N.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 314/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 04/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato PASQUALE ESPOSITO per delega;

udito l’Avvocato BRUNO MOSCARELLI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità

dell’istanza e del ricorso in subordine manifesta infondatezza e

condanna aggravata alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con atto del 30 ottobre 1999, C.R. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Sala Consilina – sezione distaccata di Sapri, G.A., affinchè venisse convalidato lo sfratto per finita locazione di un fondo che la C. aveva concesso in locazione, per uso campeggio turistico, con contratto stagionale registrato il (OMISSIS), per il periodo dal (OMISSIS) di ciascun anno per nove anni. L’intimante esponeva che il rapporto era venuto meno alla data del (OMISSIS) e che il G., benchè richiesto di rilasciare l’immobile con nota del (OMISSIS), non aveva inteso provvedervi.

1.1.- Si costituiva il convenuto G., opponendosi alla convalida e chiedendo il rigetto della domanda.

Rigettata la richiesta di ordinanza di rilascio dell’immobile e disposto il mutamento di rito da parte del giudice istruttore, entrambe le parti depositavano memorie integrative, riproponendo l’attrice la domanda di rilascio e chiedendo, tra l’altro, la “condanna al risarcimento del danno per l’indebita occupazione finchè la stessa si protrarrà, da determinarsi anche in via equitativa”, con vittoria di spese.

Venivano assunte le prove testimoniali ed il giudizio, interrotto per la morte di G.A., veniva riassunto dalla C. nei confronti degli eredi. Dopo la riassunzione si costituiva soltanto G.R., mentre gli altri eredi restavano contumaci.

1.2.- Il Tribunale, con sentenza del 27 novembre 2009, accoglieva la domanda della parte attrice e dichiarava risolto il contratto alla data del (OMISSIS), compensando integralmente tra le parti le spese del grado.

2.- Proposti appello principale da parte di G.R. ed appello incidentale da parte di C.R., la Corte di appello di salerno, con la decisione ora impugnata, pubblicata il 4 giugno 2014, ha rigettato l’appello principale ed, accogliendo l’appello incidentale, ha condannato in solido G.R. nonchè gli altri appellati rimasti contumaci, eredi di G.A., al pagamento in favore di C.R. del corrispettivo convenuto ex art. 1591 c.c., a far data dal (OMISSIS) e fino all’effettiva riconsegna del fondo alla locatrice; ha inoltre condannato gli appellati predetti al pagamento, in solido, delle spese del primo grado di giudizio, liquidate nell’importo complessivo di Euro 4.550,00, oltre accessori; ha confermato nel resto la sentenza impugnata; ha condannato la G. ed i contumaci al pagamento, in favore della C., delle spese processuali del secondo grado di giudizio, liquidate nell’importo complessivo di Euro 1.860,00, oltre accessori come per legge.

3.- Avverso questa sentenza G.R. propone ricorso affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso C.R..

Gli altri intimati non si difendono.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente va dato atto che, pur non essendo stata fornita la prova della notificazione del ricorso a tutte le parti intimate, il Collegio intende seguire l’orientamento, affermato in recenti pronunce di questa Corte, per il quale nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o di sua manifesta infondatezza, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (cfr. Cass. S.U. n. 6826/10, nonchè Cass. n. 690/12 e n. 15106/13).

Nella specie, come si dirà, i motivi di ricorso risultano in parte infondati ed in parte inammissibili.

2.- Col primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 112 c.p.c., nonchè agli artt. 2043 e 1591 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Vizio di extrapetizione.

La ricorrente sostiene che la sentenza sarebbe affetta da quest’ultimo vizio perchè la Corte di Appello avrebbe accolto una domanda – di condanna dei conduttori al pagamento del corrispettivo per il periodo successivo alla scadenza della locazione – che la locatrice non avrebbe mai formulato.

L’illustrazione del motivo è volta dimostrare un’asserita differenza tra il pagamento del corrispettivo ed il risarcimento del danno richiesto dall’attrice “per l’indebita occupazione”, nonchè un’asserita differenza tra questo danno ed il danno da ritardata restituzione, ai sensi dell’art. 1591 c.c..

2.1.- Il motivo è infondato.

La domanda avanzata dalla locatrice con la memoria integrativa depositata in primo grado ai sensi dell’art. 426 c.p.c. (riportata sia nella sentenza che nel ricorso), e riproposta nel corso giudizio, per la parte che qui rileva è la seguente:

“ordinare l’immediato rilascio del fondo libero da cose e/o persone con condanna al risarcimento del danno per l’indebita occupazione finchè la stessa si protrarrà, da determinarsi anche in via equitativa”.

La Corte di Appello di Salerno ha ritenuto che il primo giudice non si fosse pronunciato su questa domanda, che ha considerato tempestivamente proposta alla stregua della prevalente interpretazione del detto art. 426. Quindi, l’ha ritenuta fondata perchè ha accertato, in punto di fatto, che gli eredi del conduttore occupavano ancora il fondo, nonostante l’avvenuto scioglimento del rapporto, ed ha reputato, in punto di diritto, che l’obbligo risarcitorio del conduttore in mora nella restituzione dell’immobile locato ha fondamento nella persistente disponibilità della cosa e che l’art. 1591 c.c., precostituisce una forma di risarcimento minima, che prescinde dalla prova di un danno in concreto subito dal locatore e che presuppone l’inadempimento contrattuale. Ha perciò concluso per condanna di cui si è già detto.

2.2.- La sentenza è conforme a diritto, considerato che la responsabilità del locatario per il ritardo nella restituzione dell’immobile – disciplinata dall’art. 1591 c.c. – ha natura contrattuale perchè deriva dalla violazione dell’obbligo del “conduttore” di restituire la cosa locata alla cessazione del contratto ed il diritto al risarcimento dei danni consegue all’inadempimento a tale obbligo, ancorchè sia in parte normativamente determinato con riferimento al corrispettivo convenuto (così già Cass. n. 3183/06 e, più recentemente, Cass. n. 22592/13).

sebbene si sia affermato che l’art. 1591 c.c., prevede due obbligazioni “autonome” (così Cass. n. 3183/06 cit., superata, in parte, dalla successiva Cass. n. 22592/13, che ha precisato che si tratta di obbligazioni aventi comunque entrambe natura di debito di valore), l’affermazione non va intesa così come sostiene la parte ricorrente. In particolare, va qui precisato che si tratta di due profili di un’unica obbligazione risarcitoria che presuppone l’inadempimento da parte del conduttore dell’obbligazione di riconsegna dell’immobile locato dopo lo scioglimento o la risoluzione del contratto di locazione; quindi, sotto entrambi i profili, l’obbligazione ha fondamento nel contratto, e nella responsabilità contrattuale. Pertanto, non è corretto il richiamo, ripetutamente fatto dalla ricorrente, della norma dell’art. 2043 c.c. e della giurisprudenza sulla novità della domanda che si determina quando l’originaria domanda di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale venga modificata in domanda di risarcimento per responsabilità extracontrattuale.

Piuttosto, l'”autonomia” di cui è detto nelle sentenze su citate, ed in altre citate nel ricorso (Cass. n. 13697/01; Cass. n. 2853/05), sta a significare che, mentre l’obbligo del conduttore in mora nella restituzione di pagare il corrispettivo convenuto consegue per legge all’inadempimento contrattuale, l’obbligo di risarcire il “maggior” danno presuppone, oltre all’inadempimento, anche la prova dell’effettiva, “maggiore”, lesione del proprio patrimonio (cfr., tra le tante, Cass. n. 9545/02, citata in ricorso). La differenza tra i due profili dell’obbligazione risarcitoria consiste soltanto nella diversa ampiezza della prova dei presupposti richiesti per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, essendo comuni ad entrambi la fonte contrattuale e l’inadempimento dell’obbligazione restitutoria, per come è fatto palese sia dalla rubrica della norma (intitolata a “danni per ritardata restituzione”) sia dal testo. L’inciso finale, riferendosi al “maggior danno”, conferma che il pagamento del corrispettivo convenuto fino alla riconsegna non costituisce la prestazione dell’obbligazione contrattuale di pagare il canone (cfr. Cass. n. 2525/06, nonchè Cass. n. 4484/09). D’altronde, trattasi di conclusione coerente con l’avvenuta cessazione del contratto di locazione, che comporta il venir meno dell’obbligazione del conduttore di pagare il canone, mentre l’inadempimento dell’obbligazione di restituzione – che sorge al momento della cessazione del rapporto – comporta il diritto del locatore al risarcimento del danno.

Questo è predeterminato dalla legge nella misura minima del corrispettivo convenuto (cfr., nel senso che si tratta di una predeterminazione legale del danno, già Cass. n. 8240/03), fermo restando che, ove il locatore chieda e dimostri di avere sopportato un danno maggiore, ha diritto al maggiore risarcimento.

2.3.- Nel caso di specie, la locatrice ha chiesto “il risarcimento del danno per l’indebita occupazione” con domanda che comprende evidentemente entrambi i profili risarcitori considerati dall’art. 1591 c.c..

Va infatti considerato che la domanda di risarcimento dei danni per ritardata restituzione ai sensi dell’art. 1591 c.c., non può non essere riferita alla misura minima, predeterminata dal legislatore prendendo a parametro l’ammontare del canone convenuto, laddove l’onere di allegazione e di prova di danni determinati va adempiuto solo nel caso in cui il locatore chieda un risarcimento che superi detta misura.

Il secondo giudice ha accertato la responsabilità degli eredi del conduttore per la mancata restituzione dell’immobile in epoca successiva alla scadenza del contratto, fissata dal primo giudice al (OMISSIS) (con statuizione confermata in appello), e da questa data ha fatto decorrere il pagamento del corrispettivo convenuto, fino all’effettiva riconsegna del fondo alla locatrice, a titolo appunto di risarcimento del danno per il protrarsi dell'”occupazione, vale a dire della detenzione indebita.

Non avendo la parte locatrice fornito la prova di un danno maggiore, il giudice ha così limitato la condanna della parte conduttrice, in perfetta coerenza con i principi normativi e giurisprudenziali sopra richiamati.

Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.

3.- Col secondo motivo si deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), lamentando la ricorrente che i giudici d’appello avrebbero omesso di considerare:

che anche dopo la scadenza del (OMISSIS) il conduttore avrebbe (dimostrato di aver regolarmente) versato il canone convenuto;

– che la locatrice avrebbe ritenuto di dare la prova del maggior danno subito facendo riferimento (peraltro incongruo) all’affitto a terzi, da parte degli eredi del conduttore, dell’intera azienda che si trovava (in parte) sul fondo locato;

– che la locatrice non avrebbe mai provveduto al pagamento ed all’offerta reale dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34.

3.1.- Col terzo motivo la ricorrente torna su tale ultima questione, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione della L. n. 392 del 1978, art. 34 e art. 1591 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3).

Entrambi i motivi – da trattarsi congiuntamente per l’identità di quest’ultima questione – sono inammissibili.

A prescindere dalla riconducibilità del secondo motivo al testo attuale dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito nella L. n. 134 del 2012 – applicabile nella specie, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 4 giugno 2014 – le circostanze di fatto ivi dedotte sono del tutto irrilevanti, quindi non decisive ai fini delle conclusioni raggiunte dalla Corte di Appello. Queste le ragioni:

– la prova dell’asserito adempimento dell’obbligazione di pagare il corrispettivo convenuto è riferita, nel ricorso, ad un periodo anteriore e diverso da quello oggetto di condanna. La condanna è stata pronunciata a far data dal (OMISSIS): nulla è detto in ricorso sul pagamento del canone in questo periodo, sicchè non si vede cosa avrebbe dovuto argomentare in merito il giudice d’appello (che d’altronde si è attenuto al principio di diritto secondo cui in un giudizio di risarcimento danni da ritardata restituzione dell’immobile, ex art. 1591 c.c., l’onere della prova relativo all’avvenuto pagamento del canone ed alla effettuata restituzione del bene locato incombe sul conduttore: cfr. Cass. n. 9199/03, tra le altre);

– la prova del maggior danno che la locatrice avrebbe inteso dare, riferendosi ai proventi tratti dagli eredi del conduttore dall’indebita detenzione della cosa locata, non è stata considerata dal giudice d’appello perchè, come già detto, la Corte di merito ha inteso limitare la condanna al risarcimento nella misura minima predeterminata dal legislatore;

– per questa stessa ragione è inammissibile il riferimento all’indennità di avviamento ed alla L. n. 392 del 1978, art. 34 (fatto sia col secondo che col terzo motivo), atteso che, secondo l’insegnamento delle sezioni Unite, menzionato pure nel ricorso, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 34, il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell’immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è obbligato al solo pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, e non anche al risarcimento del maggior danno (Cass. s.U. n.1177/00, cui si è uniformata tutta la giurisprudenza successiva: cfr., da ultimo, Cass. n. 15876/13).

In conclusione, il ricorso va rigettato. Resta perciò confermata la sentenza impugnata anche quanto alla regolamentazione delle spese dei gradi di merito (fatta oggetto di rilievi al punto n. 4 del ricorso), disposta dal giudice d’appello in conformità all’art. 91 c.p.c..

4.- Anche le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore della resistente, nell’importo complessivo di Euro 4.900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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