Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20646 del 09/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20646 Anno 2013
Presidente: FELICETTI FRANCESCO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA

sul ricorso 25217-2007 proposto da:
VITIELLO ROSARIO C.F.VTLRSR57P09A783Z, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 43, presso lo
studio dell’avvocato ROMANO GIOVANNI, rappresentato e
difeso dall’avvocato COLLARILE VINCENZO;
– ricorrente 2013
1645

contro

PACILLO GIOVANNI GIA’ TITOLARE DELLA DITTA G.P.
ELETTRONICA C.F.PCLGNN56T08A783C, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PAOLO ZACCHIA 9/11, presso

A

lo studio dell’avvocato GIALDRONI MARIO,

Data pubblicazione: 09/09/2013

rappresentato e difeso dagli avvocati ITRO MARIO,
SCARLATO ANTONIO;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1397/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

t

Svolgimento del processo
,
_

Vitiello Rosario con atto di citazione del 25 agosto 1992, premesso di avere
affidato con vari contatti alla ditta G.P. Elettromeccanica di Pacillo Giovanni
la realizzazione di impianti in una sua villa a San Giorgio del Sannio ed in un
fabbricato a Benevento, che i lavori erano stati eseguiti male ed in violazione

del termine fissato per l’ultimazione, conveniva in giudizio la ditta
appaltatrice per sentire dichiarare la risoluzione dei contratti per suo grave
inadempimento, o, in subordine, per sentire ridurre il corrispettivo dovuto con
condanna in ogni caso della convenuta al risarcimento danni nella misura che
sarebbe stata successivamente richiesta o in quella liquidata equitativamente.
Con successivo atto del 25 gennaio 1995 lo stesso Vitiello Rosario proponeva
opposizione avverso decreto ingiuntivo con il quale gli era stato ingiunto di
pagare alla ditta Elettromeccanica la somma di £. 101.187.030, eccependo di
..

non aver avuto mai conoscenza per nullità della notifica eseguita e nel merito
l’insussistenza del debito in ordine alle opere delle quali aveva lamentato la
cattiva e tardiva esecuzione.
Si costituiva la ditta oppostck che era rimasta contumace nel primo giudizio e
chiedeva il rigetto dell’opposizione obiettando che i lavori erano stati eseguiti
a regola d’arte, salvo lievi imperfezioni facilmente eliminabili.
Riunite le cause il Tribunale di Benevento con sentenza del 16 aprile 2004
itjt,
ritenuto ammissibile l’opposizione al decreto ingiuntivo per nullità della
notifica, che il CTU aveva rilevato delle imperfezioni e incompiutezze negli
,
impianti oggetto di controversia che potevano essere eliminate con un costo di

_ -_

£. 11.038.076, ritenuto che il Vitiello non aveva dimostrato di aver subito

,

danni per la tardiva disponibilità degli immobili, ma di aver esborsato la
i

somma di £. 11.180.000

per il ripristino degli intonaci rivestimenti
Ì
/
pitturazione e pavimentazioni relativi alle riparazioni eseguiti dai tecnici

,

elettricisti e termotecnici, revocava il decreto

e condannava il Pacillo al

pagamento della somma complessiva di E. 40.784,06 oltre rivalutazione ed
interessi, lo condannava al pagamento delle spese di liti e compensava

l’ulteriore metà.
Avverso tale pronuncia proponeva appello Vitiello Rosario deducendo: a) che
erroneamente il Primo Giudice aveva ritenuto non grave l’inadempimento
dell’appaltatore, non tenendo conto che si trattava di appartamenti destinati
alla vendita e alla locazione; 2) che i danni da lui subiti non erano solo quelli
riconosciuti dal Tribunale, ma anche quelli dovuti al ritardo della
realizzazione dei lavori. Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza
impugnata e l’accoglimento della domanda originaria da lui proposta.

Si costituiva Pacillo Giovanni chiedendo il rigetto dell’appello e contestando
i singoli motivi di appello.
La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 1397 del 2007 rigettava
l’appello e condannava l’appellante a rivalere l’appellato delle spese sostenute
per il secondo grado di giudizio. Secondo La Corte partenopea: a) non aveva
errato il primo Giudice nel non aver ritenuto grave l’inadempimento
dell’appaltatore atteso che i vizi e le difformità riscontrate dal CTU non erano
tali da rendere i manufatti inutilizzabili o del tutto inidonei alla loro
utilizzazione, b) quanto al mancato rilascio della dichiarazione di conformità
andava evidenziato che esso non risultava essere stato chiesto o sollecitato dal
.

_..

committente, per altro considerato che le opere eseguite erano conformi alla
normativa vigente come accertato dal Ctu non sussistevano impedimenti per
2

k

la formazione di tale attestazione. E di più, non poteva il Vitiello lamentarsi
,
– -,

del mancato rilascio delle dichiarazioni di conformità

dopo aver accusato

l’appaltatore di non aver completato i lavori perché le suddette dichiarazioni
potevano essere rilasciate dall’installatore, dopo che abbia portato a termine i
lavori. c) l’appellante ha richiamato l’attenzione della Corte sul ritardo nel

completamento dei lavori considerato sia come inadempimento e sia come
fonte di danni risarcibili, epperò il termine previsto nei singoli contratti non
presentava le caratteristiche di un termine essenziale, tanto è vero che dopo la
scadenza il committente ha consentito ad un’ulteriore dilazione del termine
previsto per l’ultimazione dei lavori mostrando

di avere interesse

all’ultimazione degli stessi.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Vitiello Rosario per tre
motivi. Pacillo Giovanni già titolare della ditta G.P. Elettromeccanica ha
_.

resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.= Vitiello Rosario lamenta:
a) con il primo motivo l’omessa, insufficiente, contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione
alla valutazione sulla conformità degli impianti alla normativa vigente, ed in
relazione alla valutazione delle risultanze processuali (CTU). Secondo il
ricorrente l’affermazione della Corte napoletana secondo cui le opere eseguite
erano conformi alla normativa vigente come accertato dal Ctu (pag. 7 rel.) si
porrebbe in aperto contrasto con le risultanze delle operazioni peritali, dato
che la dichiarazione di conformità di cui alla pagina 7 della relazione peritale
è riferita soltanto ad un particolare e precipuo aspetto dell’impianto (cioè:
3

k

dimensione della sezione dei conduttori utilizzati: relazione peritale a pag. 7
Piuttosto la legge n. 46 del 1990 prevede il rilascio della certificazione di

I

conformità sulla scorta del rispetto di una serie di parametri (previste anche
dalla norme UNI e CEI, nonché dalla legislazione tecnica vigente in materia,

stata accertata dal consulente nonostante vi fosse uno specifico quesito
espressamente formulato in sede di conferimento dell’incarico e nonostante
parte attrice lo abbia più volte sollecitato anche in sede di richiesta di
chiarimenti.
b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 cc.
in relazione al mancato rilascio della certificazione di conformità degli
impianti ex legge n. 46 del 1990. Avrebbe errato la Corte partenopea nell’aver
ritenuto non grave il dedotto inadempimento contrattuale da parte del Pacillo,

nonostante il mancato rilascio della certificazione di conformità degli impianti
di cui all’art. 9 della legge n. 46 del 1990. In particolare, chiarisce il
ricorrente, la mancata consegna della dichiarazione di conformità integra gli
estremi di un’ inadempimento grave, atteso che quella dichiarazione è un
documento essenziale e insostituibile per acquisire il certificato di abitabilità e
di agibilità, senza il quale l’immobile non è giuridicamente un bene.
Insomma, il mancato rilascio da parte dell’impresa appaltatrice del certificato
di conformità dei lavori prescritto dalla legge n. 46 del 1990 integra in sé un
inadempimento grave in quanto, non essendo surrogabile da altra prestazione/
incide definitivamente sull’utilizzabilità giuridica del bene e, di riflesso, sul

.-.

soddisfacimento dell’interesse creditorio sotteso al contratto. Erroneamente,
dunque, la corte napoletana ha ritenuto che nella fattispecie difettasse il
4

espressamente richiamate nella legge n. 46/90) la cui sussistenza non è mai

requisito della gravità dell’inadempimento. Pertanto, conclude il ricorrente si
formula il seguente quesito di diritto: nel contratto di appalto avente ad

/

oggetto la realizzazione e/o l’ultimazione di impianti per i quali è prescritto il
rilascio, da parte della ditta appaltatrice, della certificazione di conformità ex
il mancato rilascio

di tale

certificazione

integra un

inadempimento grave?.
1.1.= Appare opportuno esaminare, anzitutto, il secondo motivo perché
quanto si dirà in ordine al secondo motivo assorbe o rende superfluo l’esame
del primo motivo.
Il secondo motivo del ricorso è infondato.
Va qui preliminarmente chiarito che alla Corte napoletana era stato chiesto di
accettare se i vizi e le difformità riscontrate dal CTU, nonché il mancato
rilascio della dichiarazione di conformità degli impianti tecnologici realizzati

,

da Pacillo, alla normativa vigente (alle prescrizioni di cui alla legge n. 46 del
1990) integrassero gli estremi di un grave inadempimento del Pacillo, tale da
comportare la risoluzione del contrato o dei contratti, oggetto della
controversia.
Ora e in via preliminare, la Corte di merito, come chiarisce la sentenza
impugnata ha ritenuto, correttamente (e, comunque, tale scelta non è stata
censurata) di dover valutare l’importanza del dedotto inadempimento alla
stregua del criterio posto dall’art.

1668 cc., il quale prevede che

l’inadempimento dell’appaltatore è grave, tale da legittimare il committente a
chiedere la risoluzione del contratto di appalto, se l’opera, considerata nella
–.
. _

sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua
propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole – sulla
5

legge 46/90

struttura e funzionalità della medesima, sì da impedire che essa fornisca la sua
normale utilità, mentre se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente

i

eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, o che i vizi siano
eliminati a spese dell’appaltatore, oppure una riduzione del prezzo, salvo,
comunque, il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore.

Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto, con valutazione di merito adeguata,
comunque, priva di vizi logici o giuridici, che nel caso concreto né i vizi e le
difformità riscontrate dal CTU e neppure il mancato rilascio della
dichiarazione integravano gli estremi di un inadempimento che legittimasse il
committente alla richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento:
a) I vizi e le difformità riscontrate dal CTU, chiariva la Corte napoletana, non
erano tali da rendere i manufatti inidonei alla loro destinazione (….), anche
perché, come aveva specificato il primo giudice, più che di vizi si trattava di

.-

semplici “imperfezioni o incompletezza”, che il CTU aveva chiarito che i

—.

lavori erano stati seguiti in mancanza di una predisposizione da parte del
committente di un progetto esecutivo.
b) il mancato rilascio della dichiarazione di conformità di cui si dice non
integrava gli estremi di un grave inadempimento e neppure di un
inadempimento, perché (a parte ogni altra considerazione, pur essa contenuta
nella sentenza) i lavori di cui si dice non erano stati completati e l’installatore
ai sensi dell’art. 9 della legge n. 46 del 1990 ha obbligo di rendere le
dichiarazioni di cui si dice dopo che abbia portato a termine i lavori. Come
afferma la sentenza (pag. 8) “In ogni caso il Visconti (rectius Vitiello) non

._

può lamentarsi del mancato rilascio delle dichiarazioni di conformità dopo
aver accusato l’appaltatore di non aver completato i lavori perché le suddette
6

k’

dichiarazioni possono essere rese dall’installatore dopo che abbia portato a
termine i lavori”.
Ciò posto, la sentenza impugnata non merita di essere censurata perché,

• -,

comunque, nel caso concreto, i vizi e le difformità dell’opera non erano gravi
ed il mancato rilascio della dichiarazione di conformità non integrava,

neppure, gli estremi di un inadempimento del Pacillo perché quelle
dichiarazioni non erano ancora dovute.
1.2.= Alla luce di quanto si è detto il primo motivo è inammissibile per una
duplice ragione.
A) Inammissibile per mancanza di interesse ad agire perché l’affermazione
secondo cui “(….) le opere seguite erano conformi alla normativa vigente
come accertato dal CTU (v. pag. 7 rel.) e quindi non sussistevano impedimenti
..

alla formazione di tale attestazione” veniva resa al fine di escludere che il

mancato rilascio della dichiarazione di conformità fosse dovuta ad una
esistente reale difformità degli impianti realizzati dal Pacillo, epperò, come
già si è avuto modo di evidenziare l’installatore Pacillo, nel caso concreto,
non era ancora obbligato a rendere la dichiarazione di conformità perché i
lavori non era stati ultimati. In altri termini, ammesso pure che le installazioni
tecnologici di cui si dice, fossero realmente (cioè nella realtà dell’esistenza)
difformi, tuttavia, quella difformità non sarebbe, comunque, idonea a
qualificare ed identificare definitivamente un inadempimento del Pacillo

1,9
,

atteso che quel rilascio non era ancora dovuto, perché i lavori non erano stati
7

I1/4-1

ultimati.

.-.

B) La censura in esame è inammissibile, anche, perché nel caso concreto, non
vi è: a) un’omessa motivazione dato che un’omessa motivazione non potrebbe
7

essere contraddittoria e se contraddittoria non sarebbe comunque inesistente, e
..

b) neppure, una motivazione contraddittoria dato che come chiarisce il

ricorrente, la contraddittorietà della motivazione sarebbe rappresentata da
un’errata interpretazione della relazione peritale. Come evidenzia il ricorrente
il Tribunale avrebbe esteso una dichiarazione peritale di conformità relativa

alla sola sezione “dei conduttori realizzati, all’intera installazione ma in questi
termini non sarebbe contraddittoria la motivazione ma errata l’interpretazione
data dal Tribunale dell’affermazione contenuta nella relazione peritale a
pagina 7.
3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del
procedimento per violazione del diritto di difesa in relazione al rigetto
immotivato da parte del Giudice di prime cure dell’istanza attorea di
concessione termine per esame di chiarimenti

resi dal CTU. Secondo il

ricorrente la sentenza impugnata e il procedimento giudiziale sarebbero nulli
perché il Tribunale di Benevento avrebbe illegittimamente negato la
concessione di un termine per esame dei chiarimenti depositati dal CTU . In
particolare, evidenzia il ricorrente all’udienza del 13 dicembre 1999, l’avv.
Posso, procuratore costituito del sig. Vitiello chiedeva termine per esame dei
chiarimenti depositati dal CTU e controparte si opponeva al chiesto termine e
il Giudice così disponeva “rinvia per le conclusioni in mancanza di richieste
istruttorie al 15 maggio 2000”. Il rigetto immotivato di una istanza difensiva

/I

integra una violazione del diritto di difesa così come riconosciuto dall’art. 24

l

cost.. Pertanto, conclude il ricorrente, si formula il seguente quesito di diritto:
_
_

il rigetto immotivato, da parte del giudice, di un’istanza difensiva ritualmente
prospettata dalla parte nel corso del giudizio, integra una violazione del diritto
.
8

di difesa?.
,
_

3.1.= Il motivo è inammissibile essenzialmente perché Vitiello intende far

.

valere in questa sede un vizio asseritamente inficiante la sentenza di primo
grado senza che la dedotta nullità avesse precedentemente formato oggetto di

dell’art. 161 cpc i motivi di nullità della sentenza si convertono in altrettanto
motivi di impugnazione. Con la conseguenza che le nullità che non siano state
fatte valere nel giudizio di appello ne’ dal soccombente ne’ dal vincitore, non
possono essere dedotte per la prima volta nella fase di cassazione, dato che la
sentenza di appello assorbe totalmente la sentenza impugnata di primo grado.
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente in ragione del principio della
soccombenza ex art. 91 cpc. condannato al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.
,

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio di cassazione che liquida in E. 2700,00 di cui E. 200,00
per esborsi.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte Suprema di Cassazione il 12 giugno 2013. ,

gravame avverso al sentenza del Tribunale di Benevento, posto che ai sensi

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