Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20643 del 31/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/08/2017, (ud. 16/06/2017, dep.31/08/2017),  n. 20643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19611-2016 proposto da:

Q.P. e Q.N., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA SALARIA 58, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BIANCA,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA BAGNOLI;

– ricorrenti –

contro

L.T., L.L. E F.L., difesi dall’avv. PAOLO

MANETTI domiciliati ex lege presso la Corte di Cassazione;

– controricorrenti –

– intimati –

avverso la sentenza n. 532/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2017 dal Consigliere Dott. ORILIA LORENZO;

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

1 P. e Q.N. ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze(del 7.4.2016) che ha rigettato le impugnazioni da essi proposte (rispettivamente in via principale e incidentale) e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da L.R., ha condannato i Q. in solido al pagamento in favore dei suoi eredi, del maggior importo di Euro 244.786,80 a titolo di compenso professionale.

Resistono con controricorso gli eredi L. ( T., L. e F.L.), deducendo, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 3.

Il relatore ha proposto l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

2 Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, perchè in esso manca del tutto l’esposizione sommaria dei fatti della causa, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 3. Ed infatti, subito dopo l’intestazione, si procede direttamente alla illustrazione dei due motivi dai quali peraltro non è possibile neppure ricavare l’esposizione dei fatti perchè nei motivi si espongono le linee difensive dandosi così assolutamente per scontata la conoscenza dei fatti; parimenti manca qualunque indicazione sullo svolgimento del processo (v. Sez. 1, Sentenza n. 24291 del 29/11/2016 Rv. 642801; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22860 del 28/10/2014 Rv. 633187; Sez. U, Sentenza n. 11308 del 22/05/2014 Rv. 630843).

Il Collegio non ignora che in alcune decisioni di questa Corte trovasi affermato il principio secondo cui per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi (v. Sez. 3^, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014 Rv. 631745 richiamata a sua volta in Sez. 5, Sentenza n. 9531 del 2016 non massimata). Nel caso di specie, però, come si è detto, neppure dai motivi si riesce a comprendere quale sia l’esatta vicenda che oggi viene dibattuta in cassazione e pertanto i rilievi contenuti nella memoria non colgono nel segno.

Anzi, la riprova di una necessità di esporre i fatti di causa la si ricava, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, proprio dalla formulazione, peraltro neppure più richiesta dalla legge, di articolati quesiti assolutamente incomprensibili senza una chiara conoscenza del fatto. Viene chiesto infatti alla Corte di Cassazione di affermare: a) che “quando privati committenti pattuiscono con un professionista un compenso collegato in misura percentuale all’aumento di valore dei terreni dei committenti, in particolare per mutamento di destinazione dei terreni da agricola ad edificatoria, si deve ritenere che detto compenso, se grandemente superiore rispetto a quello che sarebbe liquidabile per l’attività svolta sulla base delle tariffe professionali, intanto sia stato riconosciuto dai committenti in quanto l’attività del professionista risulti decisiva e determinante, sotto un profilo di causalità diretta e immediata, affinchè la PA competente assuma il provvedimento di modifica di destinazione da agricola a edificatoria dei terreni oggetto dell’incarico, e che qualora tale presupposto non si realizzi nulla potrà essere preteso dal professionista nei confronti dei committenti, dovendosi in tale ipotesi correttamente interpretare gli accordi tra le parti nel senso che gli stessi prevedevano una obbligazione di risultato a carico del professionista, ciò anche in virtù della misura del compenso pattuita in modo enormemente superiore rispetto a quella prevista dalle tariffe professionali”; b) che “qualora committenti privati conferiscano incarico ad un professionista in relazione a terreni precisamente determinati con:’identificazione delle particelle dei terreni stessi, in ogni caso nel calcolo del compenso dovuto al professionista non può essere ricompreso il valore di una diversa particella non espressamente indicata nel conferimento di incarico e non facente dell’incarico stesso. Il giudice di merito è vincolato alle conclusioni formulate delle parti, cosicchè se le parti nelle conclusioni indicano un determinato importo il giudice di merito non può arbitrariamente assumere che detto importo sarebbe dovuto ad un mero errore materiale e non può arbitrariamente sostituire, all’importo precisato nelle conclusioni, un importo diverso e maggiore rispetto a quello ivi precisato dalla parte processuale”).

In conclusione, il ricorso, sostanzialmente tendente ad introdurre un ennesimo grado di giudizio di merito, va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese.

Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto all’art. 13, comma 1 -quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2017

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