Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20643 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 31/07/2019), n.20643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28484/2014 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Barbieri

6, presso lo studio dell’avvocato Scorza Guido, rappresentato e

difeso dall’avvocato Bardi Saura, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Fallimento Società (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del

curatore fallimentare F.R., domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Gianluca Giovannelli, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di FIRENZE, depositato il

30/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/04/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso L. Fall., ex art. 98, il rag. P.M. proponeva opposizione avverso il decreto con cui il giudice delegato del Fallimento (OMISSIS) srl, rendeva esecutivo lo stato passivo, ammettendo parzialmente il suo credito per prestazioni professionali, per la somma di Euro 25.741,95 in via privilegiata, oltre Iva in chirografo, anzichè per la maggior somma di Euro 74.723,74, risultante dai progetti di notula n. (OMISSIS), asseritamente corrispondente al compenso concordato con la società fallita in Euro 30.000,00 annui e conforme alle tariffe.

Il ricorrente deduceva l’esistenza del maggior credito vantato, l’erroneità del calcolo operato dal giudice delegato, avendo egli applicato per l’anno 2009 gli stessi parametri relativi all’anno 2008, mentre per il 2010 aveva chiesto una maggiorazione del 30% a causa delle numerose ulteriori incombenze svolte.

Si costituiva in giudizio la curatela del fallimento, che deduceva l’infondatezza delle pretese avversarie e formulava un’eccezione riconvenzionale di compensazione del credito per i danni derivanti alla debitrice dalla responsabilità professionale del P..

Il Tribunale di Firenze, con decreto n. 8130/2014, rigettava le domande attoree ed accoglieva l’eccezione riconvenzionale di compensazione, rideterminando il compenso dovuto al rag. P. in Euro 12.905,95 in via privilegiata, oltre IVA in chirografo.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il rag. P.M..

La Curatela del Fallimento (OMISSIS) srl resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente disattendersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, atteso che risulta l’esposizione sufficientemente chiara dei punti rilevanti per la risoluzione delle diverse questioni dedotte (Cass. Sez. U.4324/2014).

Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale omesso di esaminare il criterio utilizzato dal curatore per calcolare l’ammontare complessivo dei compensi spettanti al ricorrente per il biennio 2009-2010, sulla base di quanto liquidato gli anni precedenti.

Il motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Non costituisce dunque “fatto storico” decisivo la valutazione del criterio di calcolo in base al quale è stato determinato il compenso dell’odierno ricorrente.

Il motivo è inoltre del tutto carente di specificità, in quanto si limita a contestare, in modo del tutto generico, il criterio di determinazione del compenso utilizzato dal Tribunale, senza peraltro indicare specificamente le ragioni di erroneità della determinazione, limitandosi a richiamare l’importo originariamente richiesto con l’insinuazione.

Il Tribunale, dopo aver precisato che non vi era contestazione in merito all’an delle prestazioni rese e che pertanto oggetto di discussione era unicamente il quantum, ha accertato che non risultava che le parti avessero pattuito un compenso di 30.000,00 Euro annui, dovendo dunque farsi riferimento al compenso stabilito dalle tariffe professionali.

Alla luce di tale criterio il Tribunale ha ritenuto congrua la determinazione del curatore fallimentare e tale valutazione, come detto, non risulta specificamente contestata, non avendo il ricorrente assolto all’onere di indicare analiticamente le singole voci la cui determinazione avrebbe dovuto ritenersi erronea.

Il giudice di merito ha poi rilevato che non vi era giustificazione in relazione alla pretesa di una maggiorazione di Euro 1.500,00 in più rispetto al 2008, non essendo stata evidenziata una specifica ulteriore attività svolta, che non poteva ricavarsi dalla generica indicazione delle fatture emesse ed ha inoltre affermato che non poteva riconoscersi l’aumento del 30% richiesto nel 2009, motivato con la necessità della predisposizione di un concordato preventivo che invece non risultava essere stato curato dall’odierno ricorrente.

Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale omesso di esaminare la pretesa maggiorazione del 30% dei compensi relativi al 2010.

Il motivo non ha pregio.

Il Tribunale ha ritenuto, con apprezzamento adeguato, non provate le ulteriori attività svolte dal ricorrente e relative alla predisposizione del concordato preventivo, ritenendo altresì che non apparisse sufficiente ai fini della giustificazione della suddetta maggiorazione l’aver svolto riunioni con gli amministratori, prestazione già oggetto di remunerazione nel compenso liquidato.

Anche in relazione a suddetta valutazione, la decisione del tribunale investe profili di merito non censurabili nel presente giudizio.

Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità. (Cass. 29404/2017).

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale effettuato una compensazione del credito del ricorrente sulla base del presupposto della responsabilità professionale del P. della quale non sussistevano gli estremi.

Il motivo è inammissibile.

All’esito dell’attività istruttoria svolta, il Tribunale, con adeguato apprezzamento di merito, ha ritenuto provato che il ritardo nella consegna della documentazione necessaria alla predisposizione del concordato preventivo fosse imputabile al P. e tale valutazione non risulta adeguatamente censurata con il presente motivo che tende in buona sostanza a sollecitare un inammissibile riesame di tale valutazione.

Il tribunale ha ritenuto che il ritardo non potesse ritenersi giustificato, posto che la sede legale della società era presso lo studio del professionista e non era stata fornita idonea prova in relazione alla scarsa accessibilità per il professionista della corrispondenza e documentazione della società.

Sulla base di siffatte valutazioni, ha affermato la sussistenza della responsabilità dell’opponente e, quantificato il danno derivante dalla condotta di questo, ha dedotto il relativo importo, ai sensi dell’art. 1241 c.c., dal maggior credito del professionista.

Da ciò l’inammissibilità della censura, diretta a rimettere in discussione l’apprezzamento di fatto del giudice di merito.

E’ sufficiente al riguardo rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 24155 del 2017; 22707 del 2017).

Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. , in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale liquidato le spese giudiziali a carico del ricorrente, senza fornire giustificazione del parametro adottato e per non aver ridotto i compensi nella misura del 50%.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo occorre rilevare che in tema di spese processuali, la valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa) o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. 4347/1999).

Nel caso di specie, il ricorrente risultava interamente soccombente rispetto a tutte le domande, mentre è stata accolta l’eccezione di compensazione ad opera della curatela, apparendo irrilevante, avuto riguardo al complessivo esito della controversia, la dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale della curatela.

Non è dunque censurabile in questa sede la mancata compensazione delle spese, che presuppone una valutazione discrezionale, non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate (Cass. 3438/2016).

Quanto all’ammontare della liquidazione, il Tribunale ha tenuto conto dello scaglione di riferimento, mentre la riduzione del compenso professionale in misura del 50% è fondata su una valutazione discrezionale del giudice del merito, in ordine agli indici di difficoltà della controversia e complessità dell’attività defensionale espletata non sindacabile nel presente giudizio.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 4.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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