Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20643 del 30/09/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20643 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PICARONI ELISA

SENTENZA
sul ricorso 471-2013 proposto da:
LA FONTANA LARA LFNLRA74E12L124F, LA FONTANA GIULIA
LFNGLI70D61D086A, elettivamente domiciliate in ROMA,
VIA VALLISNERI 11, presso lo studio dell’avvocato
PACIFICI PAOLO, rappresentate e difese dall’avvocato
FERAUDO VINCENZO;
– ricorrenti –

2014
1603

contro

MAIOLINO GIOVANNI SALVATORE, elettivamente domiciliato
in ROMA, P.ZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato
DAMIS SERGIO, rappresentato e difeso dagli avvocati

\\

Data pubblicazione: 30/09/2014

GRISOLIA GIOVANNI, STEFANO GRISOLIA;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1208/2012 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 09/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

PICARONI;
udito l’Avvocato Marco INIGRO, con delega depositata in
udienza dell’Avvocato FERAUDO Vincenzo, difensore delle
resistenti che si riporta al ricorso e chiede
l’accoglimento dello stesso;
udito l’Avvocato GRISOLIA Stefano, difensore del
resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 17/06/2014 dal Consigliere Dott. ELISA

Ritenuto in fatto
l. – È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, depositata il 9 novembre 2012, che ha confermato la
sentenza del Tribunale di Castrovillari, di rigetto della do-

Giovanni Salvatore Maiolino.
1.1. – Nel 2000 le sorelle La Fontana avevano agito per la
declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di compravendita di immobile stipulato 1’11 marzo 2000 con il sig.
~olino, con riconoscimento del diritto a trattenere le somme
ricevute a titolo di penale.
Le attrici riferivano di essersi obbligate a vendere al
convenuto l’immobile sito in Cassano Jonio, fraz. Sibari, distinto al N.C.E.U. alla partita 4983, fl. 58, part. 144, sub.
3 T) per l’importo di lire 80 milioni, da corrispondersi per
lire 10 milioni alla sottoscrizione del preliminare e per il
residuo alla stipula del rogito, che avrebbe dovuto avvenire
entro il 15 maggio 2000.
Era poi accaduto che, su richiesta di Màiolino, le attrici
avevano concesso una proroga, previo versamento di ulteriori
17 milioni, da imputarsi a titolo di penale, e fissato la data
improrogabile del 30 giugno 2000 per il rogito.
In detta data, non si era addivenuti alla stipula in quanto le attrici avevano rifiutato il pagamento della residua
somma di 35 milioni a mezzo di assegni di conto corrente non

manda proposta da Giulia e Lara La Fontana nei confronti di

sottoscritti da Màiolino e tratti su un istituto di credito
che non aveva agenzie in Castrovillari.
Al successivo invito di ~olino a stipulare, le attrici
avevano comunicato che, stante il grave inadempimento consi-

2000, esse avrebbero agito per la risoluzione del contratto.
1.2. – Il convenuto aveva dedotto che la mancata stipula
era addebitabile alle attrici, le quali avevano rifiutato il
pagamento del prezzo e non avevano dichiarato che l’immobile
era gravato da ipoteca, circostanza quest’ultima che aveva impedito a ~olino di ottenere un mutuo ed che aveva reso necessaria la proroga per la redazione dell’atto notarile. In
via riconvenzionale il convenuto ~olino aveva chiesto sentenza che tenesse luogo del consenso non prestato, con condanna delle attrici al pagamento della penale prevista in contratto, pari a 20 milioni di lire.
1.3. – Il Tribunale aveva rigettato la domanda delle attrici e accolto la domanda riconvenzionale, disponendo il trasferimento dell’immobile, previo versamento del residuo prezzo
pari a lire 53 milioni.
Le sorelle La Fontana proponevano appello, il sig. ~olino resisteva.
2. – Con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, la Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado, osservando
che il punto centrale della decisione era costituito dalla va2

stito nel mancato versamento del prezzo in data 30 giugno

lutazione del comportamento tenuto dalle parti in occasione
della stipula fissata per il 30 giugno 2000, in riferimento
alla quale ciascuna parte imputava all’altra l’inadempimento.
2.1. – La valutazione cui era pervenuto il Tribunale era

marzo 2000, né nella successiva scrittura integrativa era prevista una precisa modalità di pagamento del prezzo, e le attrici avevano già accettato, alla firma del preliminare, un
assegno di lire 4 milioni non sottoscritto dal convenuto.
Si doveva ritenere, pertanto, che nel caso di specie vi
fosse un accordo, seppur tacito, che consentiva di derogare al
principio, di carattere dispositivo, fissato dall’art. 1227
cod. civ., né erano emerse ragioni per dubitare
dell’insolvenza del convenuto, il quale aveva anche tentato di
mantenere fede agli obblighi, chiedendo un nuovo incontro dal
notaio per la stipula, che le attrici avevano rifiutato. Ip
\
ogni caso, secondo la Corte distrettuale, il termine fissato
per la stipula non poteva essere considerato essenziale.
3. – Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso Giulia e Lara La Fontana, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso Giovanni Salvatore Màiolino.
Considerato in diritto
l. – Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti di seguito indicati.
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condivisibile, posto che né nel contratto preliminare dell’il

1.1. – Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione
e falsa applicazione degli artt. 1218-1375 cod. civ.
Si contesta la valutazione compiuta dalla Corte d’appello
in ordine al comportamento delle parti, e specificamente del

contrario a buona fede.
1.2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1258, 1453 e 1454 cod. civ.
Si contesta la valutazione espressa dalla Corte d’appello
in ordine alla natura del termine del 30 giugno 2000 per la
stipula del contratto definitivo, considerato non essenziale.
1.3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1218-1277 cod. civ.
Si contesta la valutazione con cui la Corte d’appello ha
ritenuto ingiustificato il rifiuto alla stipula, opposto dalle
promittenti venditrici, a fronte del pagamento del residuo
prezzo con assegni bancari. In particolare, è censurata
l’affermazione che vi fosse tra le parti un tacito accordo sul
punto, atteso che le promittenti venditrici avevano accettato,
in sede di stipula del contratto preliminare, un assegno bancario di lire 4 milioni.
2. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono fondate.
2.1. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle
obbligazioni pecuniarie il debitore ha facoltà di pagare, a
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rifiuto opposto dalle promittenti venditrici alla stipula come

sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante assegno circolare, e mentre nel primo caso il creditore
non può rifiutare il pagamento, può farlo nel secondo caso, ma
solo per giustificato motivo

(ex plurimis, Cass., Sez. U.,

Questa Corte ha anche avuto modo di precisare che, in mancanza di alcuna previsione negoziale al riguardo, in tema di
obbligazioni monetarie, non possono che trovare applicazione
gli artt. 1277 e 1182, terzo comma, cod. civ., dal cui combinato disposto deriva che i relativi debiti vanno pagati, alla
loro scadenza, in moneta avente corso legale, presso il domicilio del creditore.
Si tratta di regole che hanno trovato temperamento nella
giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto equipollenti
del danaro contante eventuali titoli di credito (in particolare assegni circolari, di valore equivalente e di sicura copertura (Cass., sez. 2^, sentenza n. 27520 del 2008).
Più di recente si è ritenuto, in applicazione del principio solidaristico, declinato nella correttezza e buona fede
dei contraenti, che il rifiuto del creditore di accettare i
mezzi di pagamento «diversi», quale appunto l’assegno bancario, deve trovare una ragionevole giustificazione (Cass., Sez.
U., sentenza n. 13658 del 2010).
2.2. – Ciò detto, rimane il dato oggettivo che l’assegno
bancario non costituisce mezzo di pagamento di sicura copertu5

sentenza n. 26617 del 2007).

ra, e ciò non è senza conseguenze sul piano della giustificazione del rifiuto del creditore di accettare il pagamento a
mezzo di assegno bancario.
3. – Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto di

mento contrario alla buona fede, nella scelta delle promittenti venditrici di non accettare il pagamento a mezzo di assegni
bancari di lire 35 milioni, quale residuo prezzo della compravendita, sul duplice rilievo: che non era stata contrattualmente prevista una specifica modalità di pagamento del prezzo
dell’immobile, e le promittenti venditrici avevano già accettato, al momento della firma del contratto preliminare, un assegno di lire 4 milioni sottoscritto dal promissario acquirente. Ciò significava, secondo la Corte d’appello, che le attrici avevano acconsentito a derogare al principio, di carattere
dispositivo, fissato dall’art. 1227 cod. civ.
Non sussistevano inoltre, secondo la Corte distrettuale,
ragioni per dubitare della solvibilità del promissario acquirente, il quale aveva poi tentato di tenere fede agli obblighi, chiedendo un nuovo appuntamento dal notaio per la stipula, che però le attrici avevano rifiutato.
3.1. – Entrambi gli argomenti utilizzati dalla Corte
d’appello risultano non condivisibili.
3.1.1. – Quanto al primo argomento, va osservato che, in
mancanza di specifiche pattuizioni circa le modalità di paga6

ravvisare un rifiuto ingiustificato, sussumibile in comporta-

mento del prezzo, cane nella specie, deve trovare applicazione
il principio fissato dall’art. 1227 cod. civ., e ciò impone di
verificare con rigore l’esistenza di un accordo tacito, desumibile dal comportamento delle parti, che consenta di ritenere

Contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, tale accordo non è ravvisabile nella circostanza che alla
firma del contratto preliminare le promittenti venditrici abbiano accettato un assegno di lire 4 milioni.
La diversità del contesto – in un caso firma del preliminare, nell’altro cessione definitiva dell’immobile; la differenza consistente di importo – in un caso lire 4 milioni,
nell’altro lire 35 milioni; la diversità dei titoli – nel primo caso l’assegno di 4 milioni era a firma del convenuto, nel
secondo caso a firma di terzi e con traenza su istituto di
credito non presente nel territorio, costituiscono elementi
che vanno nella direzione opposta alla decisione.
Da un lato, dunque, non sussisteva alcun accordo tacito
che imponesse alle attrici di accettare il pagamento a mezzo
di assegni bancari, e, dall’altro lato, il rifiuto delle stesse trovava giustificazione nella incertezza circa la provenienza dei titoli e nella difficoltà di verificarne la copertura.
3.1.2. – Quanto al secondo argomento esposto dalla Corte
d’appello – secondo cui non v’era ragione di dubitare della
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derogato il suddetto principio.

solvibilità del convenuto posto che questi si era subito adoperato per un nuovo appuntamento dal notaio finalizzato alla
stipula -, va osservato che si tratta di valutazione meramente
presuntiva, giacché non vi sono elementi per ritenere che,

successiva al 30 giugno 2000, il convenuto avrebbe pagato in
contanti o con assegni circolari.
4. – Rimane assorbita la censura riguardante la natura del
termine del 30 giugno 2000 per la stipula del contratto definitivo, dovendosi peraltro osservare che la stessa sentenza
d’appello dà atto che tale data era stata pattuita e individuata quale «secondo termine improrogabile».
5. – Il ricorso va dunque accolto con riferimento alla valutazione del comportamento tenuto dalle promittenti venditrici in sede di stipula del contratto definitivo.
6. – Le spese del presente giudizio saranno regolate dal
giudice di rinvio, individuato come in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e
rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 giugno

qualora le attrici avessero acconsentito a stipulare in data

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