Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2064 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/01/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 30/01/2020), n.2064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19612-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3766/26/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA, depositata il 19/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Puglia, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una decisione della CTP di Foggia, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente A.G. avverso un avviso di accertamento IRPEF ed IVA 2009.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a quattro motivi;

che, con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto la CTR aveva erroneamente ritenuto che l’ufficio avesse violato l’obbligo di convocare il contribuente per comunicargli la chiusura delle operazioni e di attendere 60 giorni prima di emanare l’avviso; al contrario la L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 7 e 10 e la consolidata giurisprudenza di legittimità escludevano nella specie l’obbligo del rispetto del termine di giorni 60 per l’emanazione dell’avviso, in quanto detto obbligo sussisteva solo in ipotesi di verifica fiscale, mentre, nella specie, l’attività di accertamento si era svolta “a tavolino”, avendo l’ufficio chiesto, tramite questionario, la documentazione necessaria per l’attività di controllo, senza accessi, ispezioni o verifiche presso i locali del contribuente e senza la redazione di processi verbali di chiusura delle operazioni; erroneamente poi la sentenza impugnata aveva ritenuto che il preventivo contraddittorio dovesse essere instaurato, a pena di nullità, in relazione a qualunque tipologia di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria, atteso che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 prevedeva che solo a seguito di accessi, ispezioni e verifiche e dopo il rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni il contribuente aveva diritto al termine di giorni 60 per comunicare le proprie osservazioni; inoltre la giurisprudenza di legittimità aveva più volte rilevato che l’obbligo generalizzato del contraddittorio endoprcedimentale valeva esclusivamente per i tributi armonizzati, qual è l’IVA;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la CTR confuso le contestazioni rilevanti per l’IVA e per l’IRPEF, assimilando le une alle altre, senza distinguere se le contestazioni del contribuente fossero opponibili o meno ai vari addebiti;

che con il terzo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza e del procedimento ex art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36,artt. 132 e 274 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente, nella parte in cui la CTR aveva ritenuto legittima la detrazione di alcune spese di pubblicità (liberalità in occasione di feste patronali), pur avendo l’ufficio ritenuto dette spese non inerenti;

che con il quarto motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza e del procedimento ex art. 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36,artt. 132 e 274 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente, nella parte in cui la CTR aveva ritenuto parzialmente fondato il recupero di alcune spese di ristrutturazione, atteso che l’ufficio, pur avendo riconosciuto al riguardo un errore di calcolo, circa la determinazione della quota esente ai fini IRPEF ed IVA, aveva pur sempre rilevato che, salvo tale ultimo errore, dette spese di ristrutturazioni non erano deducibili nè ai fini IRPEF, nè ai fini IVA;

che l’intimato non si è costituito;

che i due primi motivi di ricorso, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, sono fondati;

che, invero, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere non obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento agli accertamenti in materia di IRPEF, ritenendo che detto obbligo sussista solo con riferimento agli accertamenti in materia di tributi armonizzati, qual’è l’IVA, ponendosi tuttavia in tale ultimo caso a carico del contribuente l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr., in termini; Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 20267 del 2017);

che, nella specie, l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente aveva ad oggetto IRPEF ed IVA 2009;

che, con riferimento all’IRPEF, trattavasi di accertamento induttivo, da qualificare come “accertamento a tavolino”, per non avere esso comportato l’accesso del personale accertatore presso lo studio del contribuente, in quanto l’ufficio si era limitato a chiedere, tramite questionario, la documentazione necessaria per lo svolgimento della propria attività di controllo; che, pertanto, con riferimento al tributo in esame, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, mentre, con riferimento all’IVA, il contribuente ha omesso di indicare, com’era suo onere, le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato;

che, tuttavia, l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso in esame non esime questa Corte dall’esaminare i restanti due motivi, siccome riferiti ad argomenti, sui quali la CTR si è pur sempre pronunciato;

che il terzo motivo di ricorso, da qualificare come violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è fondato, atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 10914 del 2015), incombe sul contribuente l’onere di provare i presupposti dei costi ed oneri deducibili, che concorrono alla determinazione del reddito professionale; è il contribuente cioè tenuto a dimostrare il requisito dell’inerenza dei costi, riferita non solo alla loro congruità rispetto ai ricavi, ma altresì alla potenziale utilità che detti costi possono avere rispetto alla propria attività professionale ed alla loro idoneità di ampliare le prospettive di crescita nell’ambito territoriale beneficiato delle spese promozionali in esame (liberalità in occasione di feste patronali); che anche il quarto motivo di ricorso è fondato, atteso che la sentenza impugnata si è limitata a riconoscere un errore, peraltro ammesso dallo stesso ufficio, circa la deducibilità dei costi sostenuti per le spese di ristrutturazione, dovendo detta deducibilità, pari al 5%, essere parametrata non sull’ammontare dei costi, ma sul totale dei beni strumentali iscritti, si che i costi deducibili ammontavano non ad Euro 1.641,72, ma ad Euro 3.593,00; nulla tuttavia la CTR ha dedotto su quanto sostenuto dall’ufficio, circa l’indeducibilità ai fini IRPEF ed IVA dei costi di ristrutturazione residui, pari ad Euro 28.881,33;

che, pertanto, accolti i primi due motivi di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con riferimento ai restanti due motivi, con rimessione degli atti alla CTR della Puglia per nuovo esame, nonchè per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Puglia in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 30 gennaio 2020

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