Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2064 del 29/01/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 2064 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA

sul ricorso 28426-2014 proposto da:
VITELLI CLAUDIO, domiciliato ex lege in ROMA, presso
la

CANCELLERIA

DELLA

CORTE

DI

CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato AMBROGIO NOVELLI
giusta procura speciale a margine del ricorso;

ricorrente-

contro

EUROCAP SPA in persona del legale rappresentante
2017
2256

LUCIANO TERZONI, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAllA DEL POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato
MARIA ELENA RIBALDONE, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANNA PEGORETTI giusta procura
speciale a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 29/01/2018

MAESTRELLO

S.R.L.

persona

in

del

suo

legale

rappresentante pro tempore, MAESTRELLO FRANCO in
proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CELIMONTANA 38 presso lo studio dell’avvocato PAOLO
PANARITI che la rappresenta e difende unitamente

in calce al controricorso;
– controricorrente
avverso

la

sentenza

n.

1980/2013

della

CORTE

D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del

22/11/2017

dal

RAFFAELE FRASCA;

2

Consigliere

Dott.

all’avvocato AGOSTINO GOGLINO giusta procura speciale

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2017)

Rilevato che:
1. Claudio Vitelli ha proposto ricorso per cassazione contro la S.p.A.
Eurocap e contro la S.r.l. Maistrello (già Maestrello Franco e C. s.n.c.) e
Franco Maestrello, avverso la sentenza del 3 ottobre 2013, con la quale
la Corte d’Appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza resa
in primo grado inter partes dal Tribunale di Alessandria.
Quel Tribunale era stato investito dal Vitelli nel maggio del 2000 di

una domanda intesa ad ottenere in via solidale – nei confronti delle parti
intimate, di Giovanni Rcaldone, sia in qualità di legale rappresentante
della Eurocap, sia in proprio, di Luciano Terzoni, in proprio e quale
amministratore della medesima società, dell’allora s.nc. Maestrello e di
Franco Maestrello e di Pier Luigi Sguotti, direttore di stabilimento – il
risarcimento dei danni sofferti a causa dell’infortunio sul lavoro
verificatosi il 9 ottobre 1989, allorquando una bombola di gas ad aria
compressa che egli stava spostando presso la Eurocap, di cui era
dipendente, era scoppiata colpendolo al volto.
Il tribunale, all’esito dell’istruzione, riteneva la responsabilità della
Eurocap, escludeva quella dei convenuti Ricaldone, Terzoni e Sguotti,
riconosceva la responsabilità della s.n.c. Maestrello, ma non
direttamente verso l’attore, bensì in manleva nei confronti della
Maestrello. Liquidava, inoltre, il danno, riconoscendolo esistente per il
solo profilo non patrimoniale ed escludendolo per quello patrimoniale.
2.

Sull’appello del Vitelli, che involgeva sia l’esattezza della

liquidazione del danno non patrimoniale, conseguente all’invalidità
permanente e temporanea, sia il mancato riconoscimento del danno
patrimoniale, la sentenza qui impugnata (pronunciata nei confronti degli
eredi di Giovanni Ricaldone, Stefania Costanzo e Paolo Ricaldone), ha
riformato la sentenza di primo grado solo parzialmente, riconoscendo
una somma a titolo di danno ulteriore per danno non patrimoniale sia da
invalidità permanente, sia da invalidità temporanea.
3. Al ricorso per cassazione hanno resistito con separati controricorsi
la Eurocap da un lato e la Maestrello e Franco Maestrello in proprio.
2H
Est. Cons. a tfaéle Frasca

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2017)

3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai
sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ. e non sono state depositate
conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre è stata depositata una
memoria dal ricorrente.
Considerato che:
1. In via preliminare si deve rilevare che la memoria depositata a
mezzo posta dal ricorrente è irrituale, in quanto il deposito è avvenuto a

mezzo posta, modalità che non è prevista (Cass. n. 182 del 2011; n.
7704 del 2016).
Tanto esime dal dover prendere posizione sulla ritualità del deposito
con essa di documenti, che nella specie — in disparte ogni questione
sull’ammissibilità della loro produzione – sarebbe stato fatto senza il
rispetto dell’onere di notificazione del relativo elenco, di cui all’art. 372,
secondo comma, cod. proc. civ.
2. Il primo motivo deduce letteralmente: “Sul danno non
patrimoniale relativo al solo danno biologico da invalidità permanente.
Violazione degli artt. 99-100-101-112-113 c.p.c. in c.d. con l’art. 195 c.
3 c.p.c. per mancata osservanza del contraddittorio tecnico e
conseguente violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. ed
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5
c.p.c.”.
Il motivo, illustrato dalla pagina 22 sino alla pagina 34, si duole della
liquidazione del danno non patrimoniale da invalidità permanente, che la
corte territoriale, all’esito delle risultanze della nuova c.t.u. espletata nel
grado ha elevato dal 35% riconosciuto in primo grado, in forza della
c.t.u. in esso espletata, al 38%.
2.1. L’illustrazione non contiene alcuna attività assertiva espressa e
nemmeno chiaramente riconoscibile come tale quanto alla denunciata
violazione delle norme, di cui agli artt. 99, 100, 101, 112 e 113 del
codice di procedura civile. Lo si rileva non senza che si debba pure
rimarcare che la relativa denuncia è fatta ai sensi del n. 3 anziché del n.
4 dell’art. 360 cod. proc. civ., che doveva essere evocato, trattandosi di
3
Est. Cons. R, Taele Frasca

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2(117)

norme processuali, e che non è dato comprendere che relazione si
volesse ipotizzare con la questione posta dal motivo quanto all’art. 99,
che concerne il principio della domanda, all’art. 100, che riguarda
l’interesse ad agire, all’art. 112 che concerne l’omissione di esame di
domande o eccezioni e non di emergenze istruttorie.
Peraltro, le stesse notazioni valgono per l’evocazione dell’art. 195,
comma terzo, cod. proc. civ.: difetta qualsiasi attività assertiva

descrittiva, per via espressa o implicita, ma chiaramente riconoscibile,
del modo in cui detto paradigma normativo sarebbe stato violato.
2.2. La lettura dell’illustrazione, ferma l’assorbenza del rilievo svolto,
evidenzia che – dopo un iniziale anodino rilievo che la sentenza
impugnata, avendo dichiarato di condividere sul punto della
individuazione del danno non patrimoniale da invalidità permanente la
c.t.u. espletata in appello, presenterebbe gli stessi vizi di essa – si
sostiene che la sentenza non avrebbe considerato che vi sarebbe stato
un omesso contraddittorio tecnico da parte di quella c.t.u. «per non
avere [essa] replicato alle giuste osservazioni tecniche dei CC.TT.PP.
dell’esponente». Prova ne sarebbe il fatto che la sentenza, alla pagina
11, evocherebbe la c.t.p. della Eurocap.
2.2.1. L’assunto è, tuttavia, palesemente non correlato alla
motivazione della sentenza impugnata: essa, infatti, a pagina 9, nel
riferire dello svolgimento del giudizio di appello, asserisce
espressamente che i c.t.u. di appello «hanno valutato analiticamente
le osservazioni effettuate, nel corso e all’esito delle operazioni peritali,
dai nominati consulenti di parte», così riferendosi a tutti i consulenti di
parte, compreso quello del Vitelli. A pagina 10, nell’esordio della
motivazione, la sentenza così si esprime: «la Corte ritiene di fare
proprie le considerazioni e conclusioni dei dott. Fiorentino e Gilli,
accuratamente motivate dal punto di vista tecnico, puntuali nel dare
conto delle critiche rivolte dai consulenti di parte e nell’argomentare per
superarle – cfr. l’elaborato tecnico, alle pagg. da 21 a 24 – e, congruenti
con le emergenze probatorie di causa».
4
Est. Cons. Ra faele Frasca

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2017)

Il riferimento alle osservazioni Bonziglia è fatto successivamente
solo per quanto attiene ad un argomento espressamente da quel c.t.p.
prospettato.
Il motivo, dunque, muove da un assunto privo di fondamento e in
ragione del tenore della sentenza avrebbe dovuto farsi carico
dell’affermazione, da essa fatta in due punti, circa l’espressa ed analitica

La censura risulta, dunque, inammissibile, perché non è parametrata
all’effettiva motivazione della sentenza impugnata, che occorreva
criticare sul punto (Cass., Sez. Un. n. 7074 del 2017, da ultimo).
2.2.2. Inoltre, nella illustrazione si omette anche di individuare,
riproducendolo direttamente oppure riproducendolo indirettamente, con
precisazione della parte del documento in cui l’indiretta riproduzione
troverebbe corrispondenza, il contenuto delle osservazioni dei c.t.p.
(note critiche del 20 giugno 2012). Ancora: tali note critiche nemmeno
vengono localizzate in questo giudizio di legittimità.
Tutte tali carenza evidenziano ulteriore profilo di inammissibilità per
inosservanza dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., cioè del requisito della
c.d. indicazione specifica dei documenti e degli atti su cui il ricorso si
fonda (Cass., Sez. Un., nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2010; per gli atti
processuali: Cass., Sez. Un. n. 22726 del 2011, la quale ammette che
l’onere di localizzazione, per gli atti processuali, possa essere assolto
facendo riferimento alla loro presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice a

quo, riferimento che qui non è stato fatto).
2.3.

L’illustrazione del

motivo si dilunga,

poi,

ponendosi,

evidentemente sul piano dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. a svolgere una
serie di considerazioni tecniche che ineriscono, fino all’inizio della pagina
27, alla valutazione delle affermazioni e alle conclusioni della c.t.u.,
prospettando che sarebbero state preferibili quelle della c.t.p., e, quindi,
successivamente, prospettando anche una serie di critiche di natura
tecnica alla c.t.u.

Est. Cons. affaele Frasca

considerazione della c.t.p.

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2017)

Ma, in tal modo, ci si pone del tutto al di fuori della logica assegnata
dal nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. ai limiti del sindacato della
Corte di Cassazione sulla ricostruzione della quaestio facti e, dunque
anche alla ricostruzione della quaestio facti sulla base delle risultanze
dell’espletamento di una c.t.u. Limiti che si basano sull’omissione
dell’esame di un fatto principale o secondario da parte del giudice di
merito, che deve essere chiaramente individuato ed indicato, mentre

nella specie la struttura espositiva non si connota in alcun modo con una
siffatta individuazione, se del caso fatta per il tramite di un riferimento
all’emersione di fatti del genere dagli elaborati tecnici o da altre
risultanze istruttorie. Detta struttura si sostanzia in una dissertazione di
natura tecnica, che si spinge a criticare la sentenza impugnata per non
avere fatto determinate valutazioni tecniche ed avere aderito a quelle
della c.t.u. adesive alla c.t.u., sicché ci si pone su un piano che si
colloca al di fuori del nuovo n. 5, dovendosi tenere conto che
«l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra
l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il
fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie astrattamente rilevanti>> (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054
del 2014) e tanto comportando che una critica alla sentenza di merito
per avere ritenuto condivisibili le valutazioni tecniche della c.t.u. non
possa qualificarsi come idoneo motivo ai sensi del n. 5 se si risolva nella
contrapposizione come più adeguata sotto il profilo tecnico della
valutazione di una c.t.p., in quanto in tal modo si solleciterebbe la Corte
di Cassazione ad effettuare un controllo estraneo a quel paradigma.
2.4. Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile per le plurime
ragioni indicate.
3. Il secondo motivo deduce letteralmente: “Sulla riqualificazione del
danno non patrimoniale da inabilità temporanea. Violazione degli artt.
112 e 115 c.p.c. in c.d. art. 2697 ex art. 360 c.1. n. 3 c.p.c.”.

6
Est. Cons. R ffaele Frasca

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2017)

Vi si sostiene, in modo del tutto assertorio, che la corte territoriale
avrebbe errato nel valutare in giorni 250 i giorni di invalidità
temporanea del ricorrente (aumentandone il numero rispetto ai 100
ritenui dal primo giudice), anziché in giorni 467, come invece risultava
aver fatto l’I.N.A.I.L.
Nessuna spiegazione è data, nel sostenere la violazione di legge,
delle ragioni per le quali la valutazione avrebbe dovuto adagiarsi sul

numero di giorni, ritenuto in sede amministrativa davanti all’I.N.A.I.L.,
sicché il motivo è inammissibile, perché assolutamente generico (Cass.,
Sez. Un. n. 7074 del 2017).
3.1. In ogni caso, nel merito il motivo sarebbe stato privo di
fondamento

in thesi,

per l’assorbente ragione che, non solo la

valutazione in sede amministrativa fatta dall’I.N.A.I.L. è ridiscutibile in
sede di eventuale giudizio previdenziale, ma, inoltre, non è stabilito da
alcuna norma un effetto di vincolo nel giudizio sul danno introdotto dal
danneggiato contro i terzi responsabili.
4. Il terzo motivo deduce letteralmente: “Sulla riqualificazione del
danno relativo alla perdita della capacità lavorativa specifica con
riguardo alla perdita di chance e di progressione di carriera. Violazione
degli artt. 112 e 115 c.p.c. in c.d. art. 2697 e 2729 c.c. ex art. 360 c.l.
n. 3 c.p.c.”.
Il motivo concerne il punto della sentenza impugnata, in cui essa,
rigettando l’appello, ha confermato l’avviso già espresso dal primo
giudice circa la mancata dimostrazione dell’esistenza di un danno da
perdita della capacità di lavoro specifica, adducendo, quanto al profilo di
danno da perdita della possibilità di esercitare il mestiere di agente di
commercio, per cui il ricorrente aveva frequentato un corso di
formazione, che non era stato dimostrato che il Vitelli, ove avesse
potuto svolgere quell’attività, avrebbe guadagnato più di quanto aveva
continuato a guadagnare continuando a lavorare con le stesse mansioni
eserciate al tempo dell’infortunio; e, quanto al profilo del danno da

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Est. Con Raffaele Frasca

R.g.n. 28426-14 (c.c. 22.11.2017)

mancata progressione nella carriera, che non erano stati dedotti
elementi specifici idonei a giustificarne l’esistenza.
4.1. Il motivo non denuncia la violazione delle norme degli art. 115
e 2697 cod. civ. nei sensi in cui è possibile farlo secondo Cass. Sez. Un.
n. 16598 del 2016, che ha statuito, riprendendo Cass. n. 11892 del
2016, che: <

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