Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2064 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.27/01/2017),  n. 2064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ISA Claudio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14848-2012 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DEL

VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI QUERCIA giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 130/2011 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 20/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La C.T.R. di Bari con sentenza del sette ottobre – venti dicembre 2011 rigettava l’appello proposto da C.G. avverso la pronuncia della locale C.T.P. in data 9 giugno – 14 luglio 2010, che aveva respinto il ricorso dello stesso contribuente contro l’avviso di accertamento notificatogli il 24 luglio 2009 dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio dei Goia del Colle, inerente alla rettifica, con procedimento sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38 (commi da 4 a 7), del reddito complessivo dichiarato per l’anno d’imposta 2004, tenendo conto delle spese per incrementi patrimoniali sostenute con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno accertato e nei quattro anni precedenti. L’Ufficio, a fronte di un reddito complessivo netto dichiarato a fini IRPEF, pari a zero, accertava redditi per complessivi 78.299,80 (quota di pertinenza annuale per incrementi patrimoniali pari a 15.118,00 Euro, più 63.181,80 Euro quale totale delle quote di partecipazione).

L’accertamento aveva, quindi, comportato la richiesta di pagamento di Euro 26.947,00 per IRPEF, oltre a euro 861,00 per addizionale regionale, oltre interessi e sanzioni come per legge. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, secondo la C.T.R., l’accertamento non era fondato sul c.d. studio di settore, ma in base a procedimento sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, poichè gli elementi all’uopo considerati riguardavano soltanto l’incremento patrimoniale conseguente agli acquisti, analiticamente indicati nell’avviso di accertamento opposto dal C., a mezzo di somme di cui il contribuente non aveva fornito documentazione della provenienza. Il riferimento – al pari degli altri indici richiamati nell’avviso – allo studio di settore concorreva a supportare il quadro complessivo degli elementi, che conducevano a ritenere gravi, precisi e concordanti le presunzioni dell’Ufficio.

Erano, pertanto, inconferenti i rilievi mossi dall’appellante riguardo alla pretesa inosservanza delle procedure prescritte per l’applicazione degli studi di settore. Per contro, risultavano puntualmente rispettate le prescrizioni richieste per l’accertamento sintetico ex cit. art. 38.

Altresì, infondato era il secondo motivo di gravame – in considerazione della puntuale argomentazione del collegio di prima istanza – che non offriva alcuno spunto di censura, in quanto l’opposto avviso indicava in maniera precisa il presupposto della maggiore imposta e la fonte normativa alla base della rettifica, come riportati al punti 4 e 5.

Infondato era pure il terzo motivo di appello, perchè il contribuente si era limitato a ribadire le eccezioni sollevate con il ricorso introduttivo, già esaminate dal giudice di primo grado, contestandone genericamente le argomentazioni contenute nell’impugnata sentenza.

Riguardo alla infondatezza e all’errata determinazione del reddito complessivo, secondo la Commissione regionale, apparivano insussistenti i motivi di doglianza, in quanto l’Ufficio, in assenza di comunicazione da parte del contribuente dell’esistenza del contratto di leasing, aveva correttamente preso in considerazione il costo complessivo dell’autovettura. Al riguardo, per contro, non risultava dimostrato che il coniuge del contribuente avesse effettivamente sostenuto il 50% delle spese riferite al possesso dell’auto, nonostante dalla scheda contabile in atti risultasse l’assunzione dell’onere da parte dell’appellante, senza che ciò fosse stato contrastato neanche in sede di gravame.

Infine, secondo la Commissione regionale, relativamente all’ultimo motivo di appello, riguardante l’applicazione delle sanzioni, l’atto opposto conteneva a pagina nove espresso provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative, con la specifica indicazione delle motivazioni strettamente collegate all’accertamento del maggior reddito sinteticamente accertato.

Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione C.G., con atto di cui è stata chiesta la notifica il 18 giugno 2012, eseguita il giorno successivo, affidato a sei motivi.

L’AGENZIA delle ENTRATE ha resistito al ricorso avversario mediante controricorso notificato a mezzo posta spedita il 24 luglio 2012, pervenuta il successivo 25.

Non risultano depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il C. ha denunciato ex art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5 insufficiente motivazione con riferimento all’atto di accertamento notificato dall’ufficio finanziario che si fondava sulle risultanze dello studio di settore, ancorchè per la determinazione reddituale finale lo stesso ufficio avesse per fatto riferimento al metodo sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38. A tal riguardo la motivazione della sentenza impugnata insufficiente e come tale inidonea a giustificare la decisione impugnata, avendo il giudice di appello ingiustificatamente omesso di considerare valutare in relazione a suddetto fatto controverso, gli elementi conoscitivi richiamati o prodotti dall’appellante.

Con il secondo motivo è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5 nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38. Il giudice di appello aveva violato il falsamente applicato il combinato disposto di cui alle anzidette disposizioni di legge, con riferimento poi anche della L. n. 212 del 2000, art. 12 avendo ritenuto legittimo l’avviso di accertamento opposto, nel quale la determinazione del reddito era stata incardinata sostanzialmente, non solo sull’accertamento sintetico, ma anche soprattutto sulla risultanze di studi di settore pur se tale avviso è stato notificato al contribuente senza il preliminare invito a comparire previsto per legge. In realtà, l’accertamento impugnato era in effetti fondato anche sulle risultanze dello studio di settore così determinando di per sè la violazione delle anzidette norme, in difformità dal orientamento ormai pacifico della giurisprudenza, secondo cui occorreva l’attivazione del contraddittorio nella procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore. Di conseguenza, a norma del citato art. 10, comma 3 bis, relativamente agli studi di settore, l’Ufficio era tenuto, prima della notifica dell’avviso di accertamento, ad invitare il contribuente a comparire, ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5. Gli studi di settore avevano rappresentato il punto di partenza dell’accertamento in questione, poichè l’Ufficio si era determinato a procedere sinteticamente in base al citato art. 38, avendo constatato proprio dall’esame dello studio di settore che sussisteva una non congruità dei ricavi dichiarati, rafforzata dalla presenza di indicatori non coerenti con il risultato dell’attività di impresa palesemente antieconomico, di modo che il reddito d’impresa dichiarato era deficitario, inattendibile e non remunerativo dell’attività di impresa esercitata. Tale constatazione era per avvenuta senza il previo obbligatorio contraddittorio con il contribuente, necessario quindi secondo gli insegnamenti della citata giurisprudenza per adeguare e confrontare il dato statistico con la concreta realtà aziendale.

Pur diversamente opinando, con riferimento al procedimento sintetico di cui all’art. 38, occorreva ad ogni modo per le annualità successive all’anno 2008 l’obbligo di far precedere l’accertamento dal redditometro dal cosiddetto invito al contraddittorio. Infatti, le presunzioni derivanti dalla mera applicazione di tale strumento accertativo dovevano ritenersi presunzioni semplici, e perciò obbligavano sempre l’Ufficio a ricorrere al contraddittorio preventivo con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento stesso. Inoltre, in forza del principio di prevalenza del diritto comunitario sulla legge nazionale, il preventivo contraddittorio con il contribuente non poteva più considerarsi una mera facoltà dell’amministrazione finanziaria, dovendo invece ritenersi un passaggio necessario ai fini dello sviluppo di un corretto iter procedimentale. D’altro canto, nella specie era altresì applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, così come novellato dal D.L. n. 78 del 2010, ancorchè applicabile a decorrere dall’anno d’imposta 2009, in quanto come chiarito da dottrina e giurisprudenza la modifica normativa aveva natura procedimentale e quindi l’efficacia retroattiva. Peraltro, a pagina 6 dell’avviso di accertamento si chiariva che lo stesso non era stato preceduto dall’invito a comparire di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5 sicchè al fine della definizione stesso D.Lgs. n. 218, ex art. 15 si applicava il combinato disposto dell’art. 15, commi 1 e 2 bis perchè in effetti dimostrava che tale omissione influendo negativamente sul diritto di difesa del contribuente determinava l’applicabilità di un regime di favore con riferimento all’applicazione delle sanzioni.

Con il 3^ motivo di ricorso è stata dedotta la nullità della sentenza per insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 riguardo al fatto controverso decisivo del giudizio costituito dal fatto che l’avviso di accertamento era illegittimo in quanto viziato da carenza motivazionale. La motivazione della sentenza gravata era da ritenersi insufficiente non essendo stati esplicitati criteri di valutazione degli elementi, anche probatori offerti dall’odierno ricorrente nel corso del giudizio e le modalità di costruzione dei presupposti posti a base della soluzione della controversia, che avevano portato il giudice a concludere per la conferma dell’operato dell’ufficio. Il giudice di appello aveva operato senza individuare le fonti del proprio convincimento, senza rappresentare perchè tra le complessive risultanze del processo, la scelta effettuata fosse stata quella di ritenere le argomentazioni del contribuente non rilevanti, senza indicare il motivo della prevalenza degli elementi offerti dall’ufficio, pur di fronte alle complesse ragioni alla documentazione prodotta dal ricorrente.

Con il 4^ motivo è stata denunciata nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115, in tema di disponibilità della prova, in quanto la commissione tributaria regionale aveva ritenuto di confermare validare l’operato dell’ufficio in ordine al recupero effettuato sull’erroneo presupposto dell’acquisto nell’anno 2004 di un’autovettura di lusso, benchè in giudizio fosse stata fornita la prova che tale vettura non era di sua proprietà, in quanto acquisita mediante contratto di leasing e perciò non utilizzabile quale presupposto per l’applicazione dell’accertamento da incrementi patrimoniali, circostanza confermata dallo stesso Ufficio in sede di controdeduzioni depositate avanti alla Commissione tributaria provinciale.

Con il 5^ motivo il ricorrente ha denunciato ancora la nullità della sentenza per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al fatto controverso e decisivo, rappresentato dal fatto che l’avviso di accertamento opposto era illegittimo ed infondato, non essendo stato considerato che il redito dichiarato si discostava per l’anno 2004 da quello risultante dal c.d. redditometro, solo perchè in quell’anno il C. aveva fatto concorrere alla determinazione del reddito complessivo le perdite dichiarate dalla s.n.c. F.lli C. di cui egli era socio. La motivazione della pronuncia de qua era carente, non essendo stati esplicitati i criteri di valutazione degli elementi, anche probatori, offerti dal ricorrente nel corso del giudizio e le modalità di ricostruzione dei presupposti a base della soluzione della controversia, che avevano portato a concludere per la conferma dell’operato dell’Ufficio. L’ufficio non aveva tenuto conto del reddito effettivamente prodotto, con riferimento all’attività di impresa esercitata, pari a Euro 54.990,00 che non avrebbe consentito di mantenere il tenore di vita presunto dall’ufficio sulla base del meccanismo di determinazione reddituale. Ufficio invece aveva rapportate reddito accertato con tale meccanismo con il reddito complessivo netto dichiarato nell’anno 2004, senza considerare che tale reddito risultava azzerato dalla contabilizzazione della perdite dichiarata dallo stesso quale socio della F.lli C. s.n.c. In definitiva il ricorrente aveva rilevato che nella valutazione della posizione contributiva d’ufficio non potevano considerare che al netto di tale perdita il reddito effettivamente prodotto era comunque in linea con quello risultante dal redditometro.

Con il 6^ motivo è stata, infine, denunciata la nullità della sentenza per insufficiente motivazione in relazione al fatto controverso decisivo costituito dall’atto di accertamento notificato laddove ufficio non aveva dimostrato che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dal cosiddetto redditometro si era realizzato, come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, per almeno un biennio (2003 e 2004). L’ufficio non poteva essere presentato dall’obbligo di fornire la prova dello scostamento del reddito dichiarato da quello accertato per almeno 2 periodi di imposta, non essendo appunto sufficienti ai sensi dell’articolo 38 i dati già in possesso del contribuente.

Tanto premesso, l’anzidetta prima doglianza è infondata alla stregua delle succitate ragioni svolte in proposito con la sentenza impugnata, da cui si evince chiaramente, alla stregua del delineato percorso logico-argomentativo ed in base a quanto appurato dai competenti giudici di merito, che il contestato accertamento non si riferiva a studi di settore.

Orbene, il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. lav. n. 17076 del 03/08/2007. Conformi, tra le altre, Cass. lav. n. 18709 del 06/09/2007 e n. 6064 del 06/03/2008. Cfr. altresì Cass. lav. n. 7394 del 26/03/2010, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione).

Ne deriva l’inconferenza anche del secondo motivo di ricorso, relativamente alla pretesa violazione delle norme ivi indicate, mancandone il presupposto, costituito dall’asserito accertamento sui cosiddetti studi di settore, circostanza però insindacabilmente esclusa dai competenti giudici di merito nell’accertamento dei fatti, dovendosi per il resto rinviare sul punto a quanto precedentemente osservato con il primo motivo.

Peraltro, la sentenza qui impugnata va letta nel suo complesso, laddove tra l’altro in narrativa risultano pure sintetizzate le ragioni in base alle quali la decisione di rigetto, pronunciata in primo grado, veniva confermata in appello (ma v. del resto le dettagliate ed articolate argomentazioni svolte dalla pronuncia della Comm.ne Tributaria Prov.le, riportate da pag. 2 a pag. 4 del ricorso qui in disamina, laddove tra l’altro si rappresentava che nell’anno 2004 il ricorrente aveva acquistato, quandanche in leasing, un’autovettura di lusso di KW pari o superiori a 21… del valore di Euro 75.590,00; che l’ufficio aveva applicato la metodologia sintetica… sicchè a fronte dell’eccezione di nullità opposta dal ricorrente, per la mancata ricezione dell’invito al contraddittorio, di contro si osservava che in materia di accertamento sintetico nessuna norma prevedeva che gli elementi e le circostanze di fatto, in forza delle quali il reddito viene determinato dall’ufficio, siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per questo ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria…; che nella specie in materia di accertamento sintetico non occorreva, quindi, il c.d. invito al contraddittorio, la cui omissione era stata eccepita dal ricorrente, ma il solo invio del questionario, con il quale il contribuente viene invitato dimostrare, prima della notifica dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile in modo sintetico sia costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Infatti, il ricorrente aveva ricevuto suddetto questionario (modello 55) con richiesta di fornire delucidazioni documentazione relazione al reddito dichiarato nell’anno 2004, con riferimento alla quota d’incremento patrimoniale derivante dalla immatricolazione avvenuta nell’anno 2004 dell’anzidetta autovettura, alla quota gestionale della stessa, riferita all’anno di acquisto e ai successivi fino alla dismissione della medesima, agli altri mezzi di trasporto posseduti, alle residenze principali e secondarie; incrociando le risposte inviate all’ufficio con gli elementi in possesso dello stesso era avvenuto l’accertamento sintetico opposto…

Cfr., d’altro canto, Cass. 5 civ. n. 27079 del 18/12/2006: l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi dell’artdel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per quest’ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicchè la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso.

V. pure Cass. 5 civ. n. 14367 del 20/06/2007, secondo cui il paradigma normativo del procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non prevede, quale suo presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica, l’invio del questionario di cui all’art. 32, n. 4, sicchè il mancato invio del medesimo non inficia la perfezione e la validità del procedimento di rettifica, che restano subordinati alla sola carenza dei presupposti di cui all’art. 38 del D.P.R. richiamato, e dunque l’omesso esame della relativa eccezione del contribuente non costituisce punto decisivo della controversia.

Più recentemente, cfr. ancora Cass. V n. 22126 del 27/09/2013, secondo cui, in tema di accertamento fiscale, l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. In senso analogo, id. n. 10489 del 14/05/2014). Inoltre, va pure richiamata la ancor più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, contrariamente alle tesi di parte ricorrente (v. da ultimo Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 11283 del 31/05/2016), in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta del D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (cfr. parimenti sent. Cass. sez. un. civ. n. 24823 del 6/10 – 9/12/2015, richiamata da Cass. n. 11283/16 cit.).

Secondo le Sezioni unite – n. 24823/15 cit. – non sussiste, infatti, per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini c.d. “a tavolino”: “…L’indicata divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione dei tributi c.d. “non armonizzati” (in particolare: quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell’Unione europea, e di quelli cd. “armonizzati” (in particolare: l’iva), in detta sfera rientranti…. Per i tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge.

Ai suddetti tributi, estranei alle competenze dell’Unione, non si applica, invero, il diritto europeo (v. Corte giust. 3.7.2014, in causa 0-129 e C/4130/13,…. I principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione operano, infatti, in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma (v. anche l’art. 5, p. 2, T.U.E.) non trovano applicazione al di fuori di esse. Coerentemente, in base alla previsione del relativo art. 51, le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si applicano agli Stati membri (a decorrere dall’1.12.2009) esclusivamente ai fini dell’attuazione del diritto dell’Unione, atteso che la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle sue competenze, nè introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, nè modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati (C.G. 8.5.14, in causa C-483/12, Pelckmans;…”).

Pertanto, trattandosi nella specie di IRPEF per l’anno 2004, accertata sinteticamente con atto notificato il 24 luglio 2009, non occorreva alcuna previa instaurazione del contraddittorio, nei sensi pretesi dal ricorrente, sicchè non sussistono le violazioni di legge ipotizzate con il secondo motivo. Per il resto, vanno qui ripetute le osservazioni in precedenza svolte, con riferimento al primo motivo, laddove con gli asseriti vizi di motivazione (motivi terzo, quinto e sesto), denunciati impropriamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del codice di rito, il C. in effetti pretende inammissibilmente di rivalutare in punto di fatto quanto insindacabilmente già esaminato e diversamente apprezzato dai giudici di merito nel corso del primo e del secondo grado del giudizio. Ed analoghe considerazioni ben possono valere riguardo al quarto motivo del ricorso circa la pretesa violazione dell’art. 115 c.p.c., atteso che in proposito non appare di certo violato il principio affermato da tale norma in ordine alla disponibilità delle prove, con riferimento all’autovettura acquisita dal ricorrente mediante leasing nell’anno 2004, atteso che tale circostanza, peraltro pacifica nella sua oggettività, risulta essere stata valutata specificamente dalla sentenza della Comm.ne Tributaria Prov.le, poi confermata in appello, sebbene traendone convincimenti sul punto ben diversi da quelli auspicati e dedotti da parte ricorrente. Ne deriva l’inconferente denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., non essendo invero al riguardo ipotizzabile alcun error in procedendo, nè altrimenti ravvisabile alcun error in judicando, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) e nemmeno ex n. 5 della stessa norma di rito (cfr., d’altro canto, Cass. 3 civ. n. 15107 del 17/06/2013, secondo cui, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la censura che investe la valutazione – attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c. – può essere fatta valere ai sensi del medesimo art. 360, n. 5.

V. pure Cass. n. 11892 del 10/06/2016: la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre).

Pertanto, il ricorso va respinto. Tenuto conto della non poca complessità delle questioni tratte, alcune delle quali peraltro recentemente risolte grazie pure dall’intervento nomofilattico di questa Corte, in epoca successiva sia al ricorso che al controricorso, si ravvisano validi motivi per compensare anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso e dichiara compensate tra le parti le relative spese.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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