Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2063 del 28/01/2011

Cassazione civile sez. un., 28/01/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 28/01/2011), n.2063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

COSTABILE BUS S.R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO

10, presso lo studio dell’avvocato BEI ANNA – STUDIO ROSATI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FALCONE GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

per revocazione della sentenza n. 21749/2009 della CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, depositata il 14/10/2009;

udito l’avvocato Giuseppe FALCONE;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE.

Fatto

La Costabile Bus srl, esercente una impresa di servizi di trasporto, chiede la revocazione, per errore di fatto, della sentenza indicata in epigrafe, pronunciata da queste SS.UU. a conclusione della controversia relativa alla impugnazione di una cartella di pagamento dell’IRAP dovuta sui contributi erogati dalla Regione Calabria a ripiano del disavanzo di bilancio per l’anno 1998. La parte intimata, l’Agenzia delle Entrate, resiste con controricorso.

Il relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., comma 1, ha depositato la relazione in atti, redatta ai sensi del primo comma dell’art. 380 bis c.p.c.. La relazione è stata poi comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti unitamente al decreto di fissazione della data dell’odierna adunanza.

La difesa della parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

Il ricorso è inammissibile.

Come si legge nella relazione depositata in atti, totalmente condivisa dal Collegio, “La ricorrente assume che il Collegio giudicante avrebbe affermato un principio di diritto in base al quale i contributi in questione sarebbero tassabili soltanto a partire dal 1999, per effetto del D.Lgs. n. 176 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b), n. 2, il quale per la prima volta ha previsto che entrano nella base imponibile IRAP anche “i contributi erogati in base a norma di legge, con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione” (norma innovativa). Infatti, rileva ancora l’odierna ricorrente, la normativa successiva (vale a dire, il D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, aggiunto dalla Legge di Conversione n. 265 del 2002, che ha stabilito che a partire dal 2003 rientrano nella base imponibile anche i contributi esclusi dalla base imponibile delle imposte sui redditi, e la L. n. 289 del 2002, art. 5, che, sostituendo il citato del D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, ha fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3) non può incidere sul fatto che soltanto a partire dal 1999 è stata ampliata la base imponibile, con la conseguenza che l’intervento di interpretazione autentica non può avere efficacia se non dal momento in cui la norma innovativa è entrata in vigore. In altri termini, il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, che è stato introdotto dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1 e poi modificato dal D.Lgs. n. 176 del 1999, art. 1, non può che avere efficacia retroattiva (attesa la riconosciuta natura innovativa), nemmeno in forza di una norma di interpretazione autentica.

A conclusione del suo argomentare, la difesa della ricorrente prospetta, in forma sillogistica, il seguente quesito di diritto:

a) premesso in fatto che “oggetto del giudizio è stato ed è l’obbligo di pagare l’Irap per il 1998”;

b) premesso in diritto che, secondo quanto argomentato dalle SS.UU., l’interpretazione autentica fornita dalla L. n. 289 del 2002, art. 5, comma 3, ha “preso come punto di riferimento il D.Lgs. n. 176/1999, che si applica a partire dal 1999”;

c) ne deriva (sintesi) che erroneamente (mero errore di fatto) la norma interpretativa è stata applicata alla vicenda in esame che sfugge ai limiti temporali di efficacia della normativa di riferimento, così come ricostruita dalle SS.UU..

In realtà, dalla lettura della sentenza di cui si chiede la revocazione si rileva che la premessa in diritto non è quella ipotizzata dalla ricorrente. La difesa di quest’ultima giunge alla individuazione e alla formulazione della “premessa in diritto” del sillogismo, non sulla scorta della analisi delle argomentazioni contenute nella sentenza della quale si chiede la revocazione, bensì sulla base di un autonomo percorso argomentativo ed ermeneutico che, giusto o sbagliato che sia, non è quello seguito dal Collegio giudicante (che, ovviamente, resta immodificabile in questa sede).

Infatti, per giungere alla conclusione che la sentenza impugnata ha affermato un principio di diritto che non sarebbe applicabile per l’anno 1998, la difesa della ricorrente si cimenta in un pregevole riesame della normativa di riferimento (che resta però una quaestio juris), concludendo che la statuizione di questa Corte non può non essere quella “sperata” dalla stessa ricorrente, perchè è l’unica conforme alla corretta applicazione delle regole interpretative.

Sostanzialmente, viene proposta una inammissibile reinterpretazione emendatrice della sentenza revocanda, per renderla conforme a diritto, secondo le tesi della ricorrente.

Anche le citazioni dottrinali tendono ad avallare questa tesi (della valenza della normativa in questione a partire dal 1999), che però non è quella sposata dalla Corte. Questa Corte, infatti, ha ritenuto nella sentenza di cui si chiede la revocazione, sulla base di argomenti testuali e sistematici, che l’interpretazione autentica fornita dal D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, come sostituito dalla L. n. 289 del 2002, art. 5 (finanziaria del 2003), debba essere innestata già nel contesto del tessuto originario della legge istitutiva dell’IRAP. Aderendo ad un indirizzo giurisprudenziale già emerso in seno alla quinta sezione civile, le SS.UU. scrivono nella sentenza oggetto della odierna richiesta di revocazione che i precedenti sono fondati, “in estrema sintesi, su argomenti non solo testuali – derivanti dall’inequivoco tenore letterale del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 3, comma 2 quinquies, come sostituito dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, comma 3, – ma soprattutto sistematici, incentrati sull’assunto che l’interpretazione dettata dalla disposizione della legge finanziaria 2003 esplicitava in realtà l’unico contenuto possibile della norma interpretata, stante l’affermazione in essa rinvenibile anche nel testo anteriore al D.Lgs. n. 506 del 1999, sopra riportato – secondo cui sono “in ogni caso” ricompresi nella base imponibile IRAP i contributi erogati a norma di legge” (pp. 10/11).

Infatti, la massima ufficiate tratta dalla sentenza impugnata evidenzia che i contributi in questione devono essere sempre inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile IRAP. La Corte ha effettuato una consapevole scelta interpretativa (che non può essere censurata o rivisitata in questa sede) ritenendo che l’erogazione dei contributi in questione debba rientrare nella base imponibile IRAP per tutti i periodi di imposta.

Quindi, non sussiste il denunciato errore di fatto ed il ricorso è inammissibile. La ricorrente parte dalla errata premessa che il Collegio abbia fatto una differente scelta interpretativa che terrebbe i contributi in questione fuori dalla tassazione per il solo anno 1998, con la conseguenza che, nella specie, sarebbe stato erroneamente applicato un principio non valido per tale annualità.

Le valutazioni emergenti in alcuni passaggi della motivazione della sentenza 21749/09, che, secondo la ricorrente sarebbero indicative di una differente scelta interpretativa (v. p. 3 e 4, dell’odierna richiesta di revocazione, che richiamano la “pag. 7, rigo 15 e seguenti della sentenza”), vanno coordinate con le inequivocabili conclusioni assunte dalle SS.UU., contenute nel determinante passaggio già sopra riportato.

Ne deriva che la censura in base alla quale si chiede la revocazione non riguarda un errore di fatto ma, eventualmente, un preteso errore di diritto, o, addirittura, un ipotetico vizio di motivazione, e quindi la richiesta è inammissibile”.

Con la memoria depositata dopo la notifica della relazione, la difesa della ricorrente non apporta argomenti idonei a superare le ragioni di inammissibilità del ricorso. Infatti, insiste nel sostenere la tesi che la Corte non si sarebbe accorta che la controversia riguarda esclusivamente l’anno 1998; anno che secondo la stessa amministrazione finanziaria sarebbe fuori dalla applicazione della norma innovativa, vigente soltanto a partire dall’1.1.1999.

Non è vero che la Corte non abbia tenuto conto del fatto che la ricorrente volesse una pronuncia specificamente riferita all’anno 1998. A p. 15 della sentenza di cui si chiede la revocazione, si legge testualmente “Priva di rilievo, in quanto non dedotta dalla società ricorrente, è infine la circostanza che nella specie si verta su redditi relativi all’anno di imposta 1998, nel quale era in vigore l’originaria formulazione dell’art. 11” (punto 9.6.). Inoltre, se è vero, come assume la ricorrente, che la stessa amministrazione finanziaria sia del parere che i contributi in questione non fossero imponibili nell’anno 1998, non si comprende perchè l’Agenzia delle Entrate abbia resistito, e continui a resistere, alla azione della società contribuente. Ma anche questo rilievo attiene alla quaestio iuris e non ad un errore di fatto.

Infine, la difesa della società evidenzia che la sentenza impugnata avrebbe recepito la tesi che nel 1998 i contributi in questione erano esclusi dal prelievo IRAP e, quindi, la conclusione non sarebbe coerente. Se così fosse saremmo in presenza di un vizio della motivazione incensurabile in questa sede. In realtà, il Collegio ha chiarito che i sistema normativo si è evoluto nel senso che il prelievo IRAP sui contributi non lascia scoperta alcuna annualità, quale che fosse il regime impositivo originario.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro duemiladuecento, di cui Euro duemila per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2011

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