Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20626 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. I, 19/07/2021, (ud. 02/07/2021, dep. 19/07/2021), n.20626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19658/2016 proposto da:

D.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.G. Belli n.

27, presso lo studio dell’avvocato Gentile Gian Michele, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Demuro Paolo Agostino,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Italfondiario S.p.a., in qualità di procuratrice mandataria di

INTESA SANPAOLO S.p.a., (già incorporante per fusione della Banca

di Credito Sardo S.p.a.), denominazione assunta a seguito di fusione

per incorporazione del Sanpaolo Imi S.p.a. in Banca Intesa S.p.a.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Vittorio Veneto n. 108, presso lo studio

dell’avvocato Malizia Roberto, che la rappresenta e difende, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

I.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 24/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

pubblicata il 18/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2021 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Lanusei, con sentenza n. 398/2013, nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo proposta da D.N. e I.R. contro l’Italfondiario s.p.a., nella qualità di mandatario del Credito Industriale, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, ha condannato gli opponenti in solido al pagamento della somma di Euro 33.952,08 a titolo di scoperto del conto corrente bancario, importo che è stato quantificato alla luce delle conclusioni di una consulenza tecnica contabile che ha depurato il saldo del conto dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi, dalla commissione di massimo scoperto e dagli interessi superiori al tasso-soglia anti usura.

La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza depositata il 18.01.2016, ha rigettato l’appello principale e l’appello incidentale proposti rispettivamente da D.N. e I.R..

Per quanto di interesse, la Corte d’Appello ha, preliminarmente, rigettato l’eccezione di difetto della legittimazione attiva di Italfondiario s.p.a. ad agire in via monitoria. Inoltre, sul rilievo dell’applicabilità, al caso di specie, della disciplina dell’art. 1854 c.c. sulla cointestazione del conto corrente bancario, il giudice di secondo grado ha rigettato la censura con cui il D. si doleva della condanna solidale con l’ I. nonostante che l’affidamento del 8 marzo 2002 fosse stato richiesto solo da quest’ultimo. Infine, sono state rigettate le censure svolte dal D. con riferimento al dedotto superamento del tasso – soglia antiusura.

Avverso la predetta sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione il solo D.N., affidandolo a tre motivi.

L’Italfondiario s.p.a., nella sua qualità di procuratrice mandatario di Intesa San Paolo s.p.a. (che ha incorporato per fusione la Banca di Credito Sardo) ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 13, 50, 106 e 107 degli artt. 81,99,112,633 e 634,638,641,645 e 653 c.p.c. nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente ha reiterato l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di Italfondiario s.p.a. ad agire in via monitoria, osservando che la particolare norma di favore dell’art. 50 TUB non consente agli intermediari finanziari, quale è Italfondiario s.p.a., di agire in via monitoria né direttamente e nemmeno in sostituzione di altri soggetti.

Il ricorrente allega, inoltre, di aver già censurato in sede di gravame (segnatamente alle pagine 7, 8, 9, 10 e 11 dell’atto di citazione in appello) il vizio di ultrapetizione e di violazione dell’art. 99 c.p.c. in cui è incorso il Tribunale, per avere emesso una pronuncia di condanna al pagamento della somma accertata come dovuta alla banca, nonostante il difetto di una esplicita domanda svolta dal creditore opposto affinché si procedesse ad un accertamento del suo credito a prescindere dalla validità e/invalidità del decreto ingiuntivo opposto. La banca, in sostanza, nelle proprie conclusioni, non aveva formalizzato una domanda di specifico riconoscimento del credito, limitandosi a chiedere il rigetto dell’opposizione, alias la conferma del decreto ingiuntivo.

Sul punto, la Corte d’Appello ha omesso l’esame (ex art. 360 c.p.c., n. 5) di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti che era stato portato alla sua attenzione con autonoma ed esplicita censura ed ha comunque, in violazione degli art. 99,112,645 e 653 c.p.c., confermato l’accoglimento di una domanda mai proposta.

2. Il motivo è infondato.

Va, in primo luogo, condivisa l’impostazione del giudice d’appello in ordine alla ritenuta legittimazione di Italfondiario s.p.a. ad agire in via monitoria.

Questa Corte (vedi Cass. n. 31577/2019) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui la natura speciale dell’art. 50 TUB non rappresenta in alcun modo un elemento ostativo all’esperimento dell’azione monitoria da parte di soggetti non aventi natura bancaria nell’ipotesi in cui questi si siano resi cessionari del credito derivanti da rapporti bancari in virtù di operazioni di cartolarizzazione disciplinate dalla L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 1 ovvero siano mandatari di tali cessionari.

A maggior ragione, nessun elemento ostativo si pone in un caso, come quello di specie, in cui la legittimazione ad agire del soggetto non bancario (Italfondiario s.p.a.) trova la propria fonte nel mandato con rappresentanza conferitogli dalla stessa banca e sulla base di una certificazione ex art. 50 TUB emessa, secondo la ricostruzione della Corte d’Appello, dall’istituto di credito presso cui era stato aperto il conto corrente.

Palesemente infondate sono, inoltre, le dedotte violazioni degli artt. 99 e 112 c.p.c..

E’ orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 14486/2019; vedi anche Cass. n. 22281/2013) che l’opposizione al decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall’opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che ha chiesto l’ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda di pronuncia sul merito della pretesa creditoria, essendo sufficiente che resista all’opposizione e chieda conferma del decreto opposto (esattamente come avvenuto nel caso di specie).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117,artt. 1832,1842 e 1854 c.c..

Il ricorrente ha reiterato la doglianza di essere stato chiamato a rispondere di un debito sorto in forza di un contratto di affidamento mai sottoscritto (quello del 8.3.2002), sulla base della sola cointestazione del conto corrente bancario, e senza, peraltro, che tali debiti fossero stati documentati da estratti conto che non gli sono mai stati inviati.

4. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 5071/2017) – proprio in un caso analogo in cui, in un conto corrente bancario cointestato a due soggetti, uno dei due cointestatari era stato chiamato a rispondere del saldo passivo del conto nonostante non avesse autorizzato l’apertura di credito, utilizzando le somme accreditate – ha enunciato il principio di diritto secondo cui “il contratto di conto corrente bancario svolge, a differenza di quello ordinario, una semplice funzione di servizio di cassa per il correntista, sicché, in caso di contestazione del conto, non rileva chi dei titolari sia beneficiario dell’accredito o chi abbia utilizzato la somma accreditata. Pertanto, quando una certa somma sia affluita sul conto, la stessa rientra nella disponibilità di tutti i correntisti, i quali, ex art. 1854 c.c., ne divengono condebitori, restando irrilevante che taluno dei cointestatari non abbia in concreto compiuto operazioni sul conto, atteso che è sufficiente, ai fini della norma suddetta, che avesse titolo per compierle”.

Tale principio trova applicazione nell’ipotesi in cui – come accertato, nel caso di specie, dalla Corte d’Appello e non censurato dal ricorrente – sia attribuita ad entrambi i cointestatari del conto la facoltà di compiere operazioni anche separatamente. In proposito, la riconducibilità dell’apertura di credito in conto corrente tra le operazioni bancarie che ciascuno dei cointestatari del conto può compiere separatamente emerge dalla lettura coordinata degli artt. 1852 e 1854 c.c. (in particolare, l’art. 1852 c.c. attribuisce al correntista il potere di disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito qualora il deposito, l’apertura di credito “o altre operazioni bancarie” siano regolate in conto corrente).

Infine, quanto alla doglianza del ricorrente secondo cui non avrebbe ricevuto dalla banca gli estratti conto relativi al periodo successivo alla concessione dell’affidamento dell’8.3.2002 (quello non sottoscritto), tale censura difetta di autosufficienza.

Infine, posto che nel provvedimento impugnato non vi è traccia della questione relativa al mancato invio dei predetti estratti conto, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione.

Infatti, mentre, da un lato, il ricorrente ha correttamente inserito nel ricorso per cassazione il passaggio argomentativo dell’atto di citazione di opposizione in cui si era specificamente lamentato del mancato invio degli estratti conto (vedi pag. 12), dall’altro, non altrettanto ha fatto quanto alle censure che avrebbe svolto sul punto in grado di appello, essendosi genericamente limitato, quanto alle modalità di formulazione delle medesime, ad indicare le pagine dell’atto di citazione in appello senza indicarne minimamente il contenuto, neppure in termini sintetici, così impedendo a questa Corte di poter cogliere il significato e la portata delle proprie doglianze senza dover esaminare direttamente gli atti processuali (vedi Cass. n. 23834 del 25/09/2019).

In conclusione, è priva di autosufficienza la deduzione secondo cui la doglianza relativa al mancato invio degli estratti conto (successivi all’affidamento non richiesto dal ricorrente) fosse stata reiterata anche in grado di appello.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, art. 644 c.p., comma 1 e 4, L. n. 108 del 1996, artt. 1, 2, e 4 nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta il ricorrente che il momento rilevante ai fini della valutazione dell’usurarietà degli interessi è quello della stipula del contratto e non quello della dazione, dovendosi tenere conto di ciò che è stato pattuito ab origine, indipendentemente dal tasso effettivamente applicato e dalla concreta evoluzione del rapporto.

Il ricorrente si duole, inoltre, che la Corte d’Appello ha determinato il TEG scorporando la commissione di massimo scoperto ed ha provveduto, relativamente agli interessi calcolati ultra soglia, alla illegittima applicazione degli artt. 1339 e 1419 c.c. con la sostituzione automatica dei tassi convenzionali con quelli soglia applicabili in relazione ai diversi periodi, così violando l’art. 1815 c.c. che sanziona il superamento del tasso soglia antiusura con la non debenza di alcun interesse.

6. Il motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

Va, in primo luogo, osservato che la deduzione del ricorrente secondo cui il tasso di interessi pattuito dalle parti, al momento dell’instaurazione del rapporto di conto corrente, sarebbe stato superiore al tasso soglia anti-usura è meramente assertiva e si configura quindi come una censura di merito.

In proposito, la sentenza impugnata non fornisce alcuna indicazione che confermi l’affermazione del ricorrente, avendo fatto riferimento al mero superamento del tasso soglia limitatamente al periodo 1 aprile/30 giugno 2003 (tasso applicato dalla banca 14,11 e tasso soglia 14,06) in relazione ad un rapporto di conto corrente iniziato anni prima.

Orbene, come sostenuto da questa Corte nella sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/2017 – pronunciata in tema di mutuo, ma i cui principi si applicano anche agli altri rapporti bancari – ove il tasso convenzionale fosse stato inferiore al tasso soglia dell’usura al momento della pattuizione, il superamento di tale soglia al momento del pagamento non comporta la nullità o l’inefficacia della corrispondente clausola contrattuale, né, peraltro, la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento della soglia dell’usura, illegittima e contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, salvo che ricorrano particolari modalità o circostanze – nel caso specie neppure dedotte – che rivelino come scorretta, ai sensi dell’art. 1375 c.c., la pretesa del pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia.

In ordine all’avvenuto scorporo della commissione di massimo scoperto (effettuato dal CTU sulla base del quesito formulatogli dal giudice) ai fini dell’accertamento dell’eventuale superamento del tasso soglia anti usura, se è pur vero che questa Corte, nella sentenza a Sezioni Unite n. 16303/2018, ha ritenuto che tale voce deve essere, invece, considerata nell’accertamento della natura usuraria o meno della pattuizione con la banca, tuttavia, la Corte d’Appello, nel precisare che, alla luce delle risultanze della CTU contabile, il tasso soglia era stato in concreto superato limitatamente al periodo 1 aprile/20 giugno 2003 – situazione in relazione alla quale trova, come detto, applicazione la citata sentenza delle S.U. n. 24675/2017 – ed era rimasto sotto soglia in tutti gli altri, ha evidenziato, altresì, che “non si giungerebbe a risultati differenti anche maggiorando gli interessi della commissione di massimo scoperto”. Tale valutazione di merito non è stata specificamente censurata dal ricorrente e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambe le parti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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