Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20625 del 30/09/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20625 Anno 2014
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 18964-2008 proposto da:
VANNINI EDDA C.F.VNNDDE40E70L386U, MORUZZO SABRINA
C.F.MRZSRN69E50A496N, LA PRIMA IN PROPRIO E QUALE
EREDE DI MORUZZO EZIO, LA SECONDA QUALE EREDE DI
QUEST’ULTIMO, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA
VITTORIO VENETO 96, presso lo studio dell’avvocato
2014
433

LUCENTE GIOVANNI, che le rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CRICCA GIAN CARLO;
– ricorrenti contro

INGHIRAMI GIOVANNA C.F.NGHGNN2OR67Z326L, E QUALI

Data pubblicazione: 30/09/2014

EREDI SUCCESSORI A TITOLO UNIVERSALE DI SILVIO
INGHIRAMI, I FIGLI INGHIRAMI PAOLO
C.F.NGHPLA63R31E463N, INGHIRAMUI ANDREA ANGELO MARIA
C.F.NGHNRN65A14F023T, INGHIRAMI LORENZO
C.F.NGHLNZ69L02F023R, elettivamente domiciliati in

dell’avvocato GRAZIANI ALESSANDRO, che li rappresenta
e difende unitamente all’avvocato GALEAZZI
ELISABETTA;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1122/2007 della CORTE
D’APPELLO di GENOVA, depositata il 05/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/02/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l’Avvocato Graziani Alessandro difensore dei
controricorrenti che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per

ROMA, VIA MONTEZEBIO 37, presso lo studio

l’inammissibilità, in subordine, il rigetto del
ricorso.

z,

Svolgimento del processo
1. – I fratelli Silvio e Giovanna Inghirami si rivolsero al Tribunale di
Massa chiedendo che

si procedesse alla definizione dei confini tra i

mappali 155-157, entrambi a foglio 31 del Comune di Tresana, di loro

Tannini, in quanto la posizione dei paletti apposti

in

loco

si

manifestava, secondo gli attori, diversa dalle risultanze di diritto.
Il Tribunale adìto rigettò la domanda con sentenza del 15 maggio 2002,
impugnata dai soccombenti.
2. – La Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 5 novembre
2007, accolse il gravame, osservando anzitutto che l’espletata c.t.u.
aveva affermato

che

il confine tra i mappali 155 e 561 era quello

rappresentato dalla mappa catastale a foglio 31 del Comune di Tresana,
che coincideva con la “linea formata dalla siepe verde discontinua _fino
ai vecchi ganci infissi nel muro del fabbricato degli attori, mentre
quello tra i mappali 157 e 561 non è più quello rappresentato in mappa
catastale in quanto il fabbricato degli attori risulta di fatto plani
metricamente più grande della sua raffigurazione in mappa”.
Ricordò poi la Corte di merito il giudice, nel regolare la materia, in
assenza di titoli comprovati, può far ricorso ai più disparati elementi
di prova,
riferimento

ed osservò che, esaminando le deposizioni raccolte, nessun
emergeva

testimonianze

alla esistenza di reti di confine. Inoltre, le

raccolte muovevano in sensi del tutto divergenti, ma i

maniera equilibrata in un senso o nell’altro, sicchè risultava disagevole
propendere fondatamente per una delle due tesi sulla base di tali

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proprietà, ed il mappale 561 di proprietà dei coniugi Ezio Moruzzo e Edda

risultanze.
Pertanto, ai fini della decisione, occorreva fare riferimento a
considerazioni logiche. In tale ottica, era plausibile, secondo la Corte
di merito, ritenere che l’antica siepe di bosso fosse stata posta a

avesse, cioè, una funzione di demarcazione, mentre ritenere che essa si
dipartisse da circa mt. 1,30 all’interno dello spigolo sinistro del
fabbricato Inghirami sembrava poco verosimile e funzionale.
Conclusivamente, apparve alla Corte ligure più convincente far partire il
confine dallo spigolo sinistro del fabbricato Inghirami, secondo la linea
che da lì si dipartiva. Furono, pertanto, giudicati superflui i mezzi
istruttori richiesti.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Edda Vannini e Sabrina
Moruzzo, la prima in proprio e quale erede di Ezio Moruzzo, la seconda
quale erede di quest’ultimo, sulla base di due motivi. Resistono con
controricorso Giovanna Inghirami e, quali eredi di Silvio Inghirami,
paolo, Andrea Angelo Maria e Lorenzo Inghirami.
Motivi della decisione

delimitazione del giardino padronale della proprietà Inghirami, che

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 cod.civ., 115 cod.proc.civ. e 950 cod.civ.
La sentenza impugnata contravverrebbe ai principi inerenti all’onere ed
alla disponibilità delle prove contenuti nelle norme invocate. Pur
ammettendo che le risultanze istruttorie non fossero del tutto
risolutive, la carenza probatoria sarebbe dovuta ridondare a danno di chi
aveva l’obbligo di allegazione, comportando la reiezione della domanda.

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1-2

Il giudice di appello, invece, avrebbe risolto la controversia in favore
degli originari attori sulla base di meri elementi probabilistici,
anziché applicare la norma di cui all’art. 950 cod.civ.
La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del

nella specie ratione temporis: .
2. – La censura è inammissibile ai sensi dell’art. 366-bis cod.proc.civ.
per inidoneità del quesito di diritto proposto.
2.1. – Nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che il quesito
di diritto

previsto

compendiare:

a) la

dall’art. 366-bis cod. proc. civ. civ. deve
riassuntiva esposizione degli elementi di fatto

sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola
di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto
che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie. Esso non può essere desunto dal contenuto del motivo, poiché in
un sistema processuale,

che già prevedeva la redazione del motivo con

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seguente quesito di diritto ex art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile

l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di
cui all’art.

366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio

2006, n. 40, art. 6, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante
che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della
violazione stessa,

del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione
nomofilattica della Corte di legittimità (v., tra le altre, Cass., sent.
n. 2833 del 2013; ord. n. 20409 del 2008).
2.2. – Nella specie,

il quesito di diritto formulato non risponde ai

requisiti prima indicati, il che ne comporta la inammissibilità.
3.

– Con il secondo motivo si denuncia . La

grado disancorando, però, da prove obiettive i propri assunti. Dopo aver
osservato che le emergenze istruttorie non apparivano risolutive, senza
motivare sulla ragione per la quale ciò non comportasse il rigetto della
domanda, essa
asseritamente

si

sarebbe indirizzata verso una serie di congetture

basate

su deduzioni di carattere logico, in assenza di

alcuna indicazione della ratio alla stregua della quale i deboli elementi
valorizzati

nella

sentenza impugnata sarebbero da preferire alla

ricostruzione operata dal primo giudice.
4. – Anche tale doglianza si rivela inammissibile ai sensi dell’art.

366-

bis cod.proc.civ. per l’omessa formulazione del cd. quesito di fatto,
cioè di un

momento

di sintesi delle censure analogo al quesito di

diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in

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funzionalizzata alla formazione immediata e diretta

relazione al quale la motivazione sarebbe da ritenere omessa,
insufficiente o contraddittoria ovvero delle ragioni per cui essa è da
ritenere inidonea a giustificare la soluzione adottata (v., tra le tante,
Cass. civ. Sez. Un. l ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258;

5. – In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In
applicazione del principio della soccombenza le spese del giudizio, che
vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico delle
ricorrenti in solido.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti in
solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi
euro 2700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di
legge.
Così deciso in Roma,

nella camera di consiglio della Seconda Sezione

civile, il 7 febbraio 2014.

Cass. Civ. Sez. 3, 14 maggio 2013, n. 11542).

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