Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20625 del 09/09/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 20625 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 23046-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
ARGENTINO MARGHERT TA
ARGENTINO VINCENZO;

,

ARGENTINO ASSUNTINA,

Data pubblicazione: 09/09/2013

- intimati avverso il decreto nel procedimento R.G. 7882/08 della CORTE
D’APPELLO di ROMA del 27.9.2010, depositato l’11/07/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

CAPASSO che ha concluso per il rigetto del 10 e del 4° motivo e per
l’accoglimento del 2°, 3° e 5°.

Ric. 2012 n. 23046 sez. M2 – ud. 24-05-2013
-2-

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LUCIO

IN FA TTO
Margherita, Assuntina e Vincenzo Argentino, in proprio e quali eredi di
Tullio Argentino, adivano la Corte d’appello di Roma per ottenere la
condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo,

paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del
4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55. Giudizio presupposto una causa
civile instaurata presso la Pretura circondariale di Nola, sezione distaccata di
S. Anastasia, contro il de cuius nel 1997, riassunta contro gli eredi di lui e
conclusasi davanti al Tribunale di Nola nel 2007.
Resisteva il Ministero.
Con decreto dell’11.7.2011 la Corte d’appello di Roma accoglieva il
ricorso liquidando in favore di ciascun ricorrente la somma di 2.500,00, in
ragione del parametro di E 1.000,00 per ogni anno di ritardo, oltre interessi
legali dalla domanda. Interpretata quest’ultima come volta ad ottenere un
indennizzo sia iure hereditatis, sia iure proprio, la Corte territoriale
distingueva la durata del giudizio presupposto in due periodi, il primo fino
alla riassunzione contro gli eredi, il secondo da tale momento fino alla
sentenza.
Per la cassazione di tale decreto ricorre l’Avvocatura generale dello Stato
per il Ministero della Giustizia.
Margherita, Assuntina e Vincenzo Argentino sono rimasti inti-nti.
Il Collegio ha disposto la redazione della sentenza in forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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ai sensi dell’art.2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6,

1. – Col primo mezzo d’impugnazione l’Amministrazione ricorrente
deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360, n. 4 c.p.c., contestando l’esattezza dell’interpretazione della
domanda operata dal giudice di merito, nel senso, si afferma, che i ricorrenti

2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89/01 e dell’art. 75 c.p.c., in relazione all’art. 360, n.
3 c.p.c. Con riguardo alla richiesta dei ricorrenti di tutela del proprio diritto di
parti processuali, la Corte territoriale ha rapportato il periodo di durata
ragionevole, individuato in tre anni, su tutto l’arco del processo presupposto,
liquidando l’indennizzo sul restante periodo invece che su quello riferibile ai
diversi soggetti intervenuti nel processo. Periodo, quest’ultimo, che
isolatamente considerato e tenuto conto dei rinvii dettati dall’assenza del
c.t.u., non avrebbe superato la soglia di ragionevolezza.
3. – Il terzo, subordinato, motivo denuncia l’omessa o insufficiente
motivazione su di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, n.
5 c.p.c., costituito dall’indennizzabilità del pregiudizio per il periodo di
tempo, eccedente la durata ragionevole del processo, intercorso fra la data del
decesso della parte originaria e la costituzione degli eredi, periodo in cui
mancava nel giudizio una parte sostanziale cui riferire il danno
indennizzabile.
4. – Anche il quarto motivo denuncia l’omessa o insufficiente motivazione
su di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c. Nel
liquidare l’indernizzo la Corte territoriale non ha considerato, sostiene parte
ricorrente, la limitata entità della posta in gioco, né ha valutato il ridotto
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avrebbero agito soltanto iure proprio.

paterna d’animo riferibile agli eredi, per cui appare eccessiva la somma di E
1.000,00 quale moltiplicatore per ogni anno di durata irragionevole. In
subordine, parte ricorrente invoca l’applicazione della giurisprudenza di
questa Corte che prevede l’applicazione, di regola, del minor importo di E

5. – Con il quinto motivo è dedotta la violazione degli art. 112 c.p.c. e 2
legge n. 89/01, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. Parte ricorrente
denuncia, al riguardo, il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il
decreto impugnato, per aver riconosciuto gli interessi sulle somme liquidate a
decorrere dalla domanda di equa riparazione, in assenza di apposita richiesta
in tal senso.
6. – Il primo motivo è inammissibile perché generico e non autosufficiente,
non avendo parte ricorrente trascritto la domanda o comunque specificato gli
elementi di essa da cui si trarrebbe che i ricorrenti avrebbero agito unicamente

iure proprio e non anche iure hereditatis.
Ed infatti, se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato
un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione,
è anche giudice del fatto ed ha il potere – dovere di esaminare direttamente gli
atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere – dovere è necessario, non
essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli
elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il
riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga,
per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i
riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n.
1170/04; conformi, nn. 18715/04, 22298/04, 8575/05, 9275/05 e 16245/05).
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750,00 per i primi tre anni di ritardo.

7. – Il secondo motivo è infondato.
Contrariamente a quanto si assume nel ricorso, la Corte capitolina ha
giudicato irragionevole la durata del giudizio presupposto già durante la vita
del de cuius, a partire cioè dal 12.2.2001 (v. pag. 3 del decreto).

La giurisprudenza di questa Corte si è ormai consolidata nel senso che in
tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, qualora la
parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine
di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento
dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata
verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in
giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun
rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a
quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema
sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge
n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico
dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di
chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante
indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna subito, il quale
presuppone la .onoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida
conclusione (Cass. n. 23416/09; conformi, Cass. nn. 2983/08 1309/11 e
13803/11; contra, in precedenza, Cass. nn. 26931/06 e 22405/08).
Nella specie, la Corte territoriale, nel calcolare il lasso di tempo suscettivo
di fondare la domanda d’indennizzo proposta iure proprio dai ricorrenti, ha
considerato non la data della loro costituzione in giudizio, ma quella,
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8. – Il terzo motivo è fondato.

anteriore, in cui l’atto di riassunzione fu notificato loro, di guisa che risulta
incluso nel periodo in questione un margine di tempo in cui, deceduta la parte
originaria e non ancora intervenuti in giudizio gli eredi ai sensi dell’art. 110
c.p.c., non vi era una parte processuale cui potessero riferirsi, ai fini

lite.
9. – Il quarto motivo è fondato nei soli limiti che seguono.
Occorre considerare preliminarmente che: a) l’entità della posta in gioco
come non esclude il diritto all’indennizzo, così non impone neppure di
limitarlo in maniera significativa, salvo il giudizio presupposto abbia un
oggetto irrisorio o bagatellare, tale da rendere la riparazione ai valori
normalmente correnti del tutto sproporzionata rispetto al reale pregiudizio
subito (cfr. Caw. nn. 12937/12 e 15268/11); b) la successione a titolo
universale alla parte originaria deceduta, ripartendo tra gli eredi il rischio
economico connaturato alla lite ne riduce percentualmente l’incidenza su
ciascuno, ma non per questo altera, ai fini dell’equo indennizzo per la durata
irragionevole del processo, il nesso esistente tra la durata della controversia e
l’ansia che normalmente ne deriva, sicché si riproducono intatte le
considerazioni anzi dette, nel senso che l’indennizzo può essere ridotto solo
se, in ragione del numero degli eredi, la lite finisca per ciascuno di loro per
scadere ad un valore irrisorio o bagatellare; c) nella specie, parte ricorrente
non allega il carattere irrisorio dell’oggetto della lite per ciascun erede, né
dimostra di averlo allegato nel procedimento di merito dinnanzi alla Corte
distrettuale.

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applicativi della legge n. 89/01, le conseguenze derivanti dalla pendenza della

Ciò premesso, va osservato — passando ad esaminare la restante censura —
che sebbene i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo non possano essere ignorati dal giudice nazionale, questi può
tuttavia apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della

quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non
inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro i .000,ii per quelli
successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta
un evidente aggravamento del danno (così e per tutte, Cass. n. 8471/12).
Avendo la Corte capitolina applicato, invece, l’importo di 1.000,00 per
ogni anno di durata eccedente, il decreto incappa nella censura formulata.
10. – L’accoglimento del terzo e del quarto motivo assorbe l’esame del
quinto mezzo, inerente — sia pure sub specie del vizio di ultrapetizione — al

quantum debeatur.
11. – In conclusione, accolti il terz,, „d il quarto motivo, respinti il primo e
il secondo ed assorbito il quinto, il decreto impugnato va cassato in relazione
ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma,
che provvederà anche, ai sensi dell’art. 385, 3° comma c.p.c., sulle spese del
presente giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, respinti il primo e
il secondo ed assorbito il quinto, cassa il decreto impugnato in relazione ai
motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che
provvederà anche sulle spese di cassazione.
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singola vicenda, purché motivate e non irragionevoli. Pertanto la

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –

2 della Corte Suprema di Cassazione, il 24.5.2013.

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