Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20624 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. I, 29/09/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 29/09/2020), n.20624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 15796-2016 r.g. proposto da:

Z.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli

Avvocati Giorgio Cugola e Paolo Panariti, elettivamente domiciliato

in Roma, alla Via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’Avvocato

Panariti.

– ricorrente –

contro

STUDIO 3/98 s.r.l. (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore D.C., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Maurizio Tolentinati e dall’Avvocato Anna Chiozza, elettivamente

domiciliata in Roma, Via dei Savorelli n. 11, presso lo studio

dell’Avvocato Chiozza.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata in

data 6.5.2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Capasso Lucio, che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento di quello incidentale;

udito, per il controricorrente, l’Avv. Tolentinati in sostituzione,

che ha chiesto respingersi l’avverso ricorso e l’accoglimento del

ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia ha accolto l’appello principale proposto dalla società STUDIO 3/98 s.r.l. nei confronti di Z.S., avverso la sentenza emessa in data 21.12.2010 dal Tribunale di Verona, rigettando pertanto la domanda dello Z. diretta a far dichiarare la invalidità della perizia contrattuale del 21.10.2005, concordata tra le parti per la valutazione del valore di liquidazione della quota di partecipazione dello Z., socio receduto dalla compagine sociale.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda processuale oggi di nuovo in esame, evidenziando che: i) il tribunale aveva affermato la legittimazione passiva della società e non già dei singoli soci, rispetto alla domanda avanzata dall’attore, in quanto era stato impugnato l’elaborato del 21.10.2005 che era stato il risultato dell’attività prevista nella clausola 9 dell’accordo transattivo raggiunto dalle parti con la scrittura del 16.3.2005; il) era stata ritenuta, nella sentenza del primo giudice, correttamente avanzata la domanda innanzi al giudice ordinario, poichè con l’accordo del 16.3.2005, le parti avevano definitivamente optato per una modalità negoziale di definizione della controversia, alternativa a quella contenziosa, anche di carattere arbitrale; iii) il tribunale aveva ritenuto infondata la violazione del diritto al contraddittorio poichè la perizia contrattuale non soggiaceva ai principi e alle norme proprie della giurisdizione e perchè, nel corso della perizia, era stata sempre garantita la partecipazione a tutte le attività peritali; iv) il giudice di prima istanza aveva riscontrato che i dedotti errori di valutazione della componente avviamento e software erano stati la conseguenza diretta di distinti errori di fatto, come tali rilevanti ai sensi dell’art. 1428 c.c., compiuti dal perito in ordine alla possibilità di rinnovo del contratto con l’Ospedale di Negrar ed in relazione alla proprietà del software utilizzato nella struttura ospedaliera, oltre che in riferimento alla valutazione del cd. costo figurativo del lavoro dei soci; v) era stato affermato sempre nella sentenza di primo grado che l’annullamento della perizia contrattuale non determinava invero la caducazione dell’intera transazione del 16.3.2005, non essendo stata dimostrata l’essenzialità della clausola che aveva previsto la soluzione della perizia contrattuale e che l’annullamento di quest’ultima comportava la redazione di altra perizia per la valutazione della quota.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: a) al di là del profilo riguardante la correttezza giuridica dell’assunto – secondo cui con la sottoscrizione dell’accordo transattivo del 16.3.2005 si sarebbe comunque superata la clausola compromissoria contenuta nell’art. 15 dell’atto costitutivo della società (profilo che implicherebbe lo scrutinio della natura novativa o meno dell’accordo) – la nullità della predetta clausola arbitrale, per la violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 per la prevista possibilità della nomina degli arbitri da parte degli stessi soci anzichè da parte di terzi estranei, comportava comunque l’inapplicabilità della clausola derogativa della competenza del giudice ordinario e dunque della eccepita competenza arbitrale, dovendosi concludere per la natura di arbitrato irrituale di quello previsto nella predetta clausola, contenuta nell’atto di costituzione della società; b) occorreva affermare la nullità parziale della clausola arbitrale e comunque l’esclusione del meccanismo di sostituzione della clausola nulla; c) fosse fondato il secondo motivo dell’appello principale (da esaminarsi unitamente al primo motivo di appello incidentale), doglianza per la quale occorreva in primis dichiarare la natura di perizia contrattuale e non già di arbitraggio in ordine all’elaborato volto ad accertare il valore della quota di partecipazione del socio receduto, come dettato dalla clausola contenuta nell’art. 7 dell’accordo transattivo concluso tra le parti il 16.3.2005, posto che le parti dell’accordo avevano previsto la soluzione della questione riguardante la determinazione di valore della quota non già facendo riferimento all’equità mercantile, quanto piuttosto a criteri obiettivi estraibili da norme tecniche della scienza contabile; d) la natura di perizia contrattuale era resa altresì evidente, oltre che dal tenore letterale della clausola contrattuale contenuta nell’accordo, anche dal riferimento di quest’ultimo all’art. 9 dello statuto societario ove, per il rimborso della quota, era stabilito che occorreva far riferimento alla situazione patrimoniale al momento della data di cessazione del rapporto e dunque, nel caso in esame, alla situazione patrimoniale cristallizzata alla data convenzionale del 31.3.2005, con ciò evidenziando come fosse comune volontà delle parti contraenti l’accordo transattivo quella di far ricorso a norme tecniche e ai criteri disciplinanti la scienza contabile per la determinazione del valore della quota e come, al contrario, fosse estraneo a tale volontà negoziale l’intento di cercare un equilibrio economico secondo un criterio di equità mercantile; e) lo Z. aveva, in realtà, dedotto e prospettato errori non qualificabili come errori di fatto, bensì come errori di valutazione e che il giudice di prime cure aveva errato nella qualificazione degli stessi come errori di fatto, dovendosi considerare pacifica la premessa secondo cui, nella perizia contrattuale, la decisione dei periti è impugnabile soltanto attraverso le tipiche azioni di annullamento per eventuali vizi del negozio e di risoluzione per inadempimento dei contratti; f) dovevano considerarsi, pertanto, meri errori di valutazione, come tali non rilevanti, sia le determinazioni del valore dell’azienda e dell’avviamento, sulla base del presunto errore del criterio patrimoniale-reddituale non applicato e sulla previsione di vigenza del contratto con l’Ospedale del Negrar, sia la valutazione del costo figurativo del lavoro dei soci e sia, infine, la valutazione della proprietà del software; g) non rilevavano neanche i presunti errori “in procedendo” ovvero “in iudicando”, comprensivi della violazione dei principi di collegialità e del contraddittorio, trattandosi della impugnazione di una perizia contrattuale i cui vizi potevano venire in rilievo solo attraverso le tipiche azioni di annullamento per vizi del consenso; h) non era rintracciabile neanche la violazione da parte del perito delle norme sul mandato, essendosi quest’ultimo attenuto a quanto contrattualmente stabilito tra le parti.

2. La sentenza, pubblicata il 6.5.2016, è stata impugnata da Z.S. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui STUDIO 3/98 s.r.l. ha resistito con controricorso, con il quale ha anche proposto ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., in relazione alla qualificazione giuridica della perizia del 21.10.2005, come perizia contrattuale. Si evidenzia che una corretta esegesi del contenuto dell’art. 7 dell’accordo transattivo del 16.3.2005 porterebbe a far considerare la predetta perizia come un arbitraggio, regolato dall’art. 1349 c.c., piuttosto che come una perizia contrattuale, proprio perchè tale perizia era stata frutto di un accordo negoziale e perche l’accordo transattivo del 16.3.2005 non aveva fatto venir meno le previsioni statutarie che prevedevano un arbitrato equo, tipico dell’arbitraggio e non già della perizia contrattuale. Osserva, pertanto, il ricorrente che l’arbitraggio così concluso doveva essere annullato per manifesta iniquità, essendo evidente l’arbitrarietà e l’ingiustizia di una valutazione così modesta del valore della quota di partecipazione.

2. Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1703 e seg. c.c. e comunque, in relazione alla violazione del contratto di mandato, omesso esame di un fatto decisivo. Si osserva la mancata valutazione da parte del perito del valore della quota societaria sulla base della situazione patrimoniale della società alla data convenzionale del 31.3.2005, come stabilito nel mandato conferito al perito.

3. Con il terzo motivo si articola violazione e falsa applicazione dell’art. 1427 c.c. in relazione all’annullabilità della perizia contrattuale. Il ricorrente evidenzia che, come correttamente rilevato dal primo giudice, i denunciati vizi integravano errori di fatto, rilevanti sul piano della corretta manifestazione della volontà negoziale delle parti per l’annullamento della perizia per vizio del consenso. Si osserva ancora che la determinazione del valore della quota da parte del perito poggiava su presupposti fattuali inesistenti, e ciò con particolare riferimento alla previsione della risoluzione del contratto di servizi con l’Ospedale del 30.9.2006, all’inserimento del costo figurativo del lavoro dei soci e alla questione della proprietà del software.

4. Il quarto mezzo declina vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al denunciato profilo della violazione del contraddittorio.

5. Il ricorso principale è infondato e va pertanto rigettato.

5.1 Il primo motivo è, in parte, inammissibile e, in altra parte, infondato.

5.1.1 Sotto il primo profilo, occorre premettere che l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto di una clausola contrattuale costituisce indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione non consenta la ricostruzione dell’iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire alla clausola un determinato significato, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 cod. civ. e segg..

Quest’ultima violazione deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per Cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, perchè altrimenti la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella proposta di una diversa interpretazione, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 12486 del 07/07/2004; Sez. 3, Sentenza n. 20593

del 22/10/2004).

3.2.2 Ciò posto, osserva la Corte come non sia in alcun modo riscontrabile, nella motivazione impugnata, il denunciato discostamento da parte della corte di merito dai canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., dettati in materia di interpretazione del contratto, in relazione al contenuto della clausola contrattuale contenuta nell’art. 7 del negozio transattivo, posto che la corte territoriale ha evidentemente privilegiato la concorde manifestazione di volontà comune ad entrambe le parti, che hanno espressamente fatto riferimento alla perizia contrattuale come strumento per la quantificazione del valore della quota di partecipazione e alla necessità che tale valutazione fosse improntata a canoni di valutazione tecnica, ispirati alla scienza contabile.

3.2.3 Senza contare che il ricorrente non ha neanche specificato in alcun modo quali canoni interpretativi sarebbero stati asseritamente violati dalla Corte di merito, limitandosi, al contrario, ad un astratto quanto generico riferimento alle regole generali di interpretazione, non precisando neanche il modo e le considerazioni attraverso le quali il giudice del gravame si sarebbe discostato da tali principi esegetici normativamente fissati.

Risulta, pertanto, evidente che il ricorrente si sia limitato a costruire autonomamente una diversa e più favorevole versione interpretativa dell’originaria transazione del 16.3.2005, quale negozio di arbitraggio, contrapposta a quella contenuta nella sentenza impugnata, ma senza alcun legame critico con quest’ultima.

3.2.4 Orbene, proseguire oltre nella valutazione del contenuto della volontà negoziale delle parti, con criteri scollegati dai canoni legali di esegesi del contratto dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c. (come pretende, ora, parte ricorrente), significherebbe scivolare sull’inaccessibile terreno delle valutazioni di merito rimesse all’esclusivo scrutinio dei giudici delle precedenti fasi del giudizio, atteso che, come già sopra ricordato, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto di una clausola contrattuale, costituisce indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito.

3.2.5 Sotto altro profilo non è comunque riscontrabile alcun discostamento della motivazione impugnata dai principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte, in ordine alla differente qualificazione della perizia contrattuale dall’arbitraggio.

3.2.5.1 Sul punto, è utile ricordare che, secondo gli insegnamenti di questa Corte, con la clausola di arbitraggio, inserita in un negozio incompleto in uno dei suoi elementi, le parti demandano ad un terzo arbitratore la determinazione della prestazione, impegnandosi ad accettarla. Il terzo arbitratore, a meno che le parti si siano affidate al suo “mero arbitrio”, deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, adottando cioè un criterio di valutazione ispirato all’equità contrattuale, che in questo caso svolge una funzione di ricerca in via preventiva dell’equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte e di perequazione degli interessi economici in gioco. Pertanto l’equo apprezzamento si risolve in valutazioni che, pur ammettendo un certo margine di soggettività, sono ancorate a criteri obbiettivi, desumibili dal settore economico nel quale il contratto incompleto si iscrive, in quanto tali suscettibili di dare luogo ad un controllo in sede giudiziale circa la loro applicazione nel caso in cui la determinazione dell’arbitro sia viziata da iniquità o erroneità manifesta, il che si verifica quando sia ravvisabile una rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte, determinate attraverso l’attività dell’arbitratore. Anche la perizia contrattuale, che ricorre quando le parti deferiscono ad uno o più soggetti, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un accertamento tecnico che esse preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà contrattuale, costituisce fonte di integrazione del contratto, ma essa di distingue dall’arbitraggio perchè l’arbitro-perito non deve ispirarsi alla ricerca di un equilibrio economico secondo un criterio di equità mercantile, ma deve attenersi a norme tecniche ed ai criteri tecnico-scientifici propri della scienza, arte, tecnica o disciplina nel cui ambito si iscrive la valutazione che è stato incaricato di compiere. Ne consegue che nel caso di perizia contrattuale va esclusa l’esperibilità della tutela tipica prevista dall’art. 1349 c.c. per manifesta erroneità o iniquità della determinazione del terzo, trattandosi di rimedio circoscritto all’arbitraggio, in quanto presuppone l’esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità mercantile, inconciliabili con l’attività strettamente tecnica dell’arbitro-perito (così, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 30/06/2005; Sez. 3, Ordinanza n. 28511 del 08/11/2018; Sez. 3, Sentenza n. 9996 del 24/05/2004).

3.2.5.2 Ciò posto, occorre evidenziare che la corte meritale, con valutazione scevra da criticità argomentative e giuridicamente corretta, ha qualificato l’elaborato peritale, anche sulla scorta dell’insuperabile manifestazione di volontà negoziale delle parti espressa nella clausola di cui all’art. 7 dell’accordo transattivo, come perizia contrattuale, proprio perchè la stessa avrebbe dovuto svolgersi non già secondo criteri di equità mercantile, quanto piuttosto seguendo criteri di valutazione tecnica ispirati dalla scienza contabile, con ciò rendendo evidente l’aderenza della impugnata sentenza ai principi di diritto sopra ricordati e qui di nuovo riaffermati.

3.3 Il secondo motivo presenta anch’esso profili di inammissibilità e di infondatezza.

3.3.1 Partendo da quest’ultimo profilo, occorre evidenziare come non sia riscontrabile, nella motivazione impugnata, il denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo riferito alla violazione del contratto di mandato, atteso che è la stessa parte ricorrente ad ammettere, nella argomentazione della censura (cfr. pag. 10 del ricorso principale), che la Corte di merito si era pronunciata sul punto, sebbene in modo ritenuto insoddisfacente da parte del ricorrente.

3.3.2 In relazione al primo profilo di osservazione, non può essere dimenticato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

3.3.2.1 Ne consegue che la ulteriore doglianza, declinata da parte del ricorrente, come violazione dell’art. 1703 c.c., si rivolge, all’evidenza, non a sollecitare la corte di legittimità ad un controllo sulla legittimità dell’operazione di ricognizione della norma da parte della corte meritale, ma al contrario alla rivisitazione della fattispecie concreta che, invece, sfugge allo scrutinio del giudice di legittimità.

Detto altrimenti, il ricorrente richiede alla corte di cassazione una nuova valutazione della fattispecie per accreditare, tramite la lettura della documentazione allegata, un diverso giudizio sulla sussistenza di errori di fatto nelle determinazioni peritali, rilevanti per un eventuale giudizio di annullamento della perizia contrattuale.

3.3.2.2 Senza contare che non rilevano in alcun modo, a tal fine, eventuali errori di valutazione, come correttamente evidenziato nella motivazione impugnata, sicchè le doglianze così prospettate non riescono ad intercettare neanche la ratio decidendi posta a sostegno della decisione della corte territoriale e si pongono su un terreno di inevitabile inammissibilità della censura. E senza neanche dover evidenziare come eventuali errori di valutazione non sarebbero stati, invero, neanche rilevabili dai giudici del merito, trattandosi di errori non determinanti per la verifica di un possibile vizio del consenso negozialmente accertabile per invalidare l’accordo transattivo tra le parti.

Quelli impugnati da parte del ricorrente sono, in realtà, profili di valutazioni di merito compiuti dal perito per il giudizio di quantificazione del valore della quota, come tali non censurabili neanche dai giudici del merito.

Del resto, risulta essere stata una precisa e concorde manifestazione di volontà negoziale della parti quella che ha determinato il mandato ai periti per la determinazione del predetto valore, secondo una valutazione tecnica rimessa alle determinazioni del collegio peritale.

3.4 Il terzo motivo presenta, al solito, profili di inammissibilità e di infondatezza.

3.4.1 Come già sopra riscontrato, si ha perizia contrattuale quando le parti deferiscano ad uno o più terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito, non di risolvere una controversia giuridica, bensì di formulare un apprezzamento tecnico che esse parti si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volonta negoziale.

Detto altrimenti, una volta che le parti demandano ai periti un determinato apprezzamento tecnico, non è poi possibile dolersi, nella seguente sede impugnatoria giudiziale, della ingiustizia della decisione perchè ritenuta iniqua ovvero non corrispondente alla volontà delle parti.

Sul punto, giova ripetere che la perizia contrattuale è impugnabile per vizi del consenso con le consuete e tipiche azioni di annullamento ovvero di risoluzione per inadempimento.

Orbene, va subito osservato come il ricorrente non abbia impugnato la perizia contrattuale con azione di risoluzione per inadempimento, sicchè tutte le doglianze sollevate in questa sede in relazione ad un presunto inadempimento al contratto di mandato devono ritenersi inammissibili per novità.

Sotto altro profilo di indagine, non può neanche essere dimenticato che l’indagine sulla sussistenza in concreto di un vizio di consenso, determinato da errore essenziale quale causa di annullamento di un contratto, si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 11853 del 26/11/1997; Sez. 2, Sentenza n. 2340 del 01/03/1995).

Da ultimo, va posto in rilievo che, nella perizia contrattuale, la decisione dei periti è impugnabile (analogamente a quanto previsto per l’arbitrato irrituale) soltanto attraverso le tipiche azioni di annullamento e di risoluzione per inadempimento dei contratti, e non anche attraverso gli strumenti previsti dal codice di rito civile per i lodi rituali, con la conseguenza che eventuali errori “in procedendo” o “in iudicando”, comprensivi della violazione dei principi della collegialità e del contraddittorio, rilevano soltanto se siano sfociati in cause di invalidità (incapacità o vizi del consenso) o di risoluzione della perizia stessa (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 5678 del 16/03/2005).

In conclusione, va pertanto precisato che, da un lato, le doglianze sollevate in relazione ad un presunto inadempimento del mandato devono ritenersi inammissibili perchè nuove e comunque rivolte ad un nuovo scrutinio di merito sulla esistenza o meno dei presunti errori di fatto da cui sarebbe inficiata la perizia contrattuale e che, dall’altro, tutte del doglianze articolate in relazione al denunciato vizio del contraddittorio devono ritenersi infondate, riguardando vizio non rilevante ai fini che qui interessano.

3.5 Il quarto motivo è invece infondato, posto che, per un verso, non è riscontrabile il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, per aver invece il giudice del gravame ritenuto non fondata la doglianza relativa alla violazione del principio del contraddittorio, rispondendo al secondo motivo di appello incidentale; e che, per altro verso, la violazione del principio contraddittorio non può certo definirsi come un “fatto” il cui omesso esame legittima la impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto, il vizio denunciato deve ritenersi non rilevante se non ha determinato una causa di invalidità (incapacità o vizi del consenso) o di risoluzione della perizia stessa.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso principale.

4. Il ricorso incidentale è invece fondato, in quanto la sentenza impugnata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., non si è pronunciata effettivamente sulla domanda di restituzione della condanna delle spese del giudizio di primo in favore dell’appellante.

Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata e la decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non richiedendosi – in punto di restituzione delle spese del giudizio di primo grado – ulteriori accertamenti.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo, mentre la regolamentazione di quelle di appello devono essere confermate secondo le statuizioni del giudice di appello, avendo avuto la soccombenza sulle spese di lite di primo grado una rilevanza minimale rispetto all’esito della complessiva controversia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e accoglie quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo la causa nel merito, condanna Z.S. a restituire a Studio 3/98 s.r.l. quanto pagato a titolo di spese processuali nel giudizio di primo grado; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge e conferma il regolamento delle spese del giudizio di appello.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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