Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20624 del 13/10/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. III, 13/10/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 13/10/2016), n.20624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24647-2013 proposto da:

P.G.S.J., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, V.ALTAVILLA IRPINA 8, presso lo studio

dell’avvocato DIANA LAMANNA, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati LUIGI MASSIMILIANO LENZI, FRANCESCO LENZI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SANTA LUCIA SRL, in persona del legale rappresentante sig.ra

PA.AN., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. CHINOTTO 1,

presso lo studio dell’avvocato ROMANA MAJONICA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO AVAGNINA giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.M.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2279/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato FRANCESCO LENZI;

udito l’Avvocato PAOLO AVAGNINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La questione di cui si controverte trae origine dalla valutazione ed interpretazione di una clausola, la n. 20, di un contratto di affitto stipulato tra la Santa Lucia S.r.l. e la Manarait Restaurant s.r.l. 2003.

Nel 2005 la Santa Lucia convenne in giudizio per il pagamento di canoni e spese condominiali, la Manarait Restaurant, nonchè i soci P.G.S.J. e M.M.E. garanti personali ai sensi della predetta clausola, in solido ma nel rispetto delle quote societarie.

Il Tribunale di Milano respinse la domanda dell’attrice Santa Lucia ritenendo che il contratto in esame recasse la sottoscrizione del P. e della M. comparsi davanti al notaio nella loro predetta qualità di rappresentanti della Manarait e non risultando da nessuna parte del contratto che avessero apposto la loro sottoscrizione a titolo di condebitori.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2279 del 6 agosto 2012. La Corte ha ritenuto, a differenza del giudice di prime cure, che la clausola secondo cui le obbligazioni assunte con il presente atto dalla società Manarait restaurant S.r.l. sono garantite personalmente e pro quota dei relativi soci che lo sottoscrivono a conferma di tale impegnò carente di doppia sottoscrizione (sia come componenti del Cda sia come garanti) non priverebbe di efficacia la clausola di garanzia contenuta nel contratto.

3. Avverso tale decisione, P.G.S.J. propone ricorso in Cassazione sulla base di 2 motivi, illustrati da memoria.

3.1 Resiste con controricorso Santa Lucia S.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1937 c.c.”. Lamenta che la Corte d’Appello ha errato perchè ha rilevato che l’inserimento della clausola fideiussoria all’interno di un contesto contrattuale, così come la previsione della sottoscrizione dei soci a conferma dell’impegno attesterebbero la volontà espressa ed univoca degli stessi a prestare garanzia per le obbligazioni assunte dalla società con il contratto di affitto di ramo d’azienda. Secondo il ricorrente tale argomentazione viola il dettato dell’art. 1937 c.c. secondo cui la volontà di prestare fideiussione deve essere espressa con la conseguenza che la manifestazione di volontà del garante debba connotarsi del duplice carattere della chiarezza da un lato, e dell’inequivocità dall’altro.

Il motivo è infondato. Innanzitutto deve rilevarsi che la censura di violazione dell’art. 1937 c.c. sembra doversi cogliere nella supposta, mancata espressa manifestazione della volontà di prestare fideiussione a titolo personale da parte dei soci.

E’ indubbio che la volontà di prestare fideiussione deve essere manifestata in modo chiaro ed inequivocabile, e qualora la dichiarazione sia inserita in un atto posto in essere allo scopo della conclusione di un diverso negozio, per stabilire se la dichiarazione integri anche l’assunzione delle obbligazioni conseguenti alla fideiussione è necessario valutare se essa possa essere interpretata solo in questo modo, o se essa piuttosto non abbia un contenuto congruente con il negozio per cui l’atto è stato formato ed esaurisca in esso il suo significato (Cass. n. 26064/2008). Nella specie, nel contratto di affitto di azienda era stato inserita la clausola del seguente tenore letterale le obbligazioni assunte con il presente atto dalla società Manarait Restaurant sono garantite personalmente e pro-quota dei relativi soci che lo sottoscrivono a conferma di tale impegno. Il giudice di merito ha ritenuto che tale clausola andasse interpretata nel senso che la fideiussione fosse valida anche per i soci a titolo personale. E ciò ha fatto correttamente, interpretando la volontà delle parti secondo i comuni canoni ermeneutici, il contratto nel suo insieme ed in linea con i principi di questa Corte. Tra l’altro si evidenzia che su quest’ultima possibilità sono sorte questioni giurisprudenziali recentemente risolte. Infatti, nel caso in cui il socio di una società di capitali, come ad esempio una s.r.l., garantisca per le obbligazioni contratte dalla stessa società, non sorgono dubbi sulla legittimità di tale garanzia, in quanto i due soggetti sono indubbiamente distinti e autonomi; la società di capitali dispone, infatti, di un patrimonio distinto da quello dei singoli soci. Come appunto nel caso di cui si discute.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1367 c.c.”.

Si duole il ricorrente che il giudice dell’appello ha errato perchè ha ritenuto che anche a prescindere dall’irrilevanza della mancata doppia sottoscrizione, sia quale legale rappresentante sia quale socio, la clausola contrattuale de qua dovrebbe, in ogni caso,essere interpretata nel senso di prestare effetti quale garanzia personale; ciò, poichè, in assenza di possibili interpretazioni alternative ai sensi del disposto dell’art. 1367 c.c. le clausole devono essere interpretate nel senso in cui possono avere effetto anzichè in quello in cui non avrebbero alcuno. Ma la corte territoriale non considera che il criterio dell’art. 1367 c.c., si qualifica come residuale rispetto agli altri criteri interpretativi delineati dagli artt. 1362 c.c. e segg..

Il motivo è infondato.

E’ fuori di dubbio che il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall’art. 1367 cod. civ., ha carattere sussidiario, può e deve trovare applicazione solo quando siano stati utilizzati i criteri letterale, logico e sistematico di indagine e, nonostante ciò, il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo Ne consegue che il giudice di merito una volta ritenute oscure ed inidonee a consentire un’inequivoca interpretazione le espressioni contenute nel contratto, deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, nonchè verificare, all’esito di eventuale istruttoria, quali effetti la scrittura produca per le parti, anzichè ritenere tali espressioni prive di ogni effetto. (Cass. 27564/2011). Ciò è quanto fatto dal giudice del merito che ha interpretato il contratto sulla base: della qualificazione dell’atto (scrittura privata), del tenore testuale della clausola, interpretata sia singolarmente che nell’insieme del contratto, della volontà delle parti e, solo in via residuale, ha fatto riferimento all’art. 1367 c.c..

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.800,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA