Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20624 del 09/09/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 20624 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 22468-2012 proposto da:
MORGAN FLEGO MARIJA MRGMRJ53M07Z118T, in proprio e
quale erede di Flego Anton, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STANISCIA
NICOLA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrent contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 09/09/2013

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente avverso il decreto n. 238/2012 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito l’Avvocato Staniscia Nicola difensore della ricorrente che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Ric. 2012 n. 22468 sez. M2 – ud. 24-05-2013
-2-

PERUGIA del 12/12/2011, depositato il 13/03/2012;

IN FATTO
Marija Morgan Flego, sia in proprio che quale erede di Anton Flego, adiva
la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero della
Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art.2 della legge

europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge
n.848/55, per la durata irragionevole di una causa civile promossa con ricorso
del 29.11.1996 contro l’INPS da Anton Flego e che ella aveva proseguito
dopo la morte di lui, causa svoltasi innanzi alla Pretura circondariale, poi al
Tribunale e alla Corte d’appello di Roma, e conclusasi innanzi a questa Corte
di cassazione con sentenza pubblicata il 26.6.2009.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 13.3.2012 la Corte d’appello riconosceva in favore della
ricorrente, per il titolo anzi detto, la somma di 1.500,00 (in realtà, in
motivazione E 438,00), oltre interessi dalla domanda al saldo. Per quanto
ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale osservava che Anton Flego,
dante causa della ricorrente ed originario attore nel giudizio presupposto, era
deceduto 1’11.9.1997, mentre la Morgan era divenuta parte di tale processo il
7.6.2001. PoichA i due periodi in questione non erano cumulabili fra loro,
precisava che la durata del processo relativamente al de cuius era stata di
appena dieci mesi, mentre quella riferibile alla Morgan era stata, al netto degli
intervalli di tempo trascorsi per l’impugnazione delle sentenze di primo e
secondo grado, di circa sei anni e sette mesi, con un’eccedenza, dunque,
valevole per la Morgan iure proprio, di appena sette mesi.
Per la cassazione di tale decreto ricorre Marija Morgan Flego.
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24 marzo 2001, n.89, in relazione all’art.6, paragrafo 1 della Convenzione

Scaduto il termine per proporre controricorso, il Ministero della Giustizia
ha depositato, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, un “atto di
costituzione”.
Il Collegio ha disposto la redazione della sentenza in forma semplificata.

1.

Con l’unico motivo di ricorso Marija Morgan Flego deduce la

violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 110 c.p.c. e 2 legge n. 89/01.
Riportando con adeguati omissis una sola frase del decreto impugnato,
parte ricorrente lamenta che, in buona sostanza, la Corte territoriale avrebbe
ritenuto che l’avente diritto non possa agire anche per il risarcimento del
danno connesso al periodo in cui il dante causa era parte del processo. E di
conseguenza richiama cospicua giurisprudenza di questa Corte in senso
contrario.
1.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile, perché stravolge la ratio
decidendi del provvedimento impugnato, nel tentativo di attribuire ad esso
l’esatto contrario di quanto in realtà vi si affermi. Tutto ciò — evidentemente —
nella (irriguardosa) aspettativa di una disattenzione di questa Corte Suprema.
Ed infatti, questa è la frase intera che si legge a pag. 6 del decreto
impugnato, e che nel ricorso è stata invece mutilata della parte più
significativa ai fini in esame (in corsivo le parole che la ricorrente ha omesso
a pag. 2 del ricorso per cassazione): “I due periodi (fase del processo di cui fu
protagonista il de cuius, fase del processo di cui fu protagonista l’erede, che
abbia assunto la qualità di parte) non sono cumulabili. In realtà, se è
trasmissibile agli eredi il diritto all’indennizzo acquisito dal dante causa,non
rientra certamente nel compendio ereditario il paterna d’animo da lui sofferto,
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MOTIVI DELLA DECISIONE

che, dunque, non può aggiungersi a quello sofferto dagli eredi per l’eventuale
ulteriore e autonoma eccedenza di durata del processo, che va calcolata ex
novo, ovverosia dal momento in cui abbiano assunto formalmente la qualità
di parti…” (le ultime tre parole “dal … dante causa…” che così testualmente

identificabili peliudi successivi della motivazione del decreto impugnato).
Per contro, molto chiaramente la Corte perugina ha premesso ner due volte
(a pag. 6) il principio per cui il diritto all’equo indennizzo per la durata
irragionevole del processo è trasmissibile agli eredi; ma ha poi escluso nella
fattispecie che tale diritto sia sorto nel patrimonio di Anton Flego, perché

“non vi fu alcuna eccedenza nella durata del processo, dal momento che egli
decedette quando erano trascorsi meno di dieci mesi dal suo inizio” (v. pag.
7); e precisato, infine, che il paterna d’animo del de cuius non può sommarsi a
quello dell’erede divenuto parte (v. pag. 7).
In altri termini, la Corte territoriale ha chiaramente escluso che nel caso
specifico tale diritto sia mai sorto iure hereditatis; ha affermato che ciò che
entra nel patrimonio ereditario è solo il diritto all’indennizzo in quanto sia già
maturato in favore del de cuius, lui vivente; ed ha coerentemente concluso che
il lasso di tempo inidoneo a costituire tale diritto non può essere sommato a
quello che riguarda gli eredi divenuti parte, richiamando correttamente a tale
proposito il costante indirizzo espresso da questa Corte (Cass. nn. 15013/05,
23055/06, 26686/06 e 26931/06).
2. – In conclusione il ricorso va respinto.
3. – Nulla per le spese, essendosi l’Avvocatura generale dello Stato limitata
ad una difesa irrituale.
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si leggono invece a pag. 2 del ricorso sono state estrapolate da non meglio

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –

2 della Corte Suprema di Cassazione, il 24.5.2013.

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