Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20623 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 31/07/2019), n.20623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29289/2015 R.G. proposto da:

Comune di Palermo, in persona del Sindaco p.t., elett.te domiciliato

in Palermo, alla P.zza Marina n. 39, presso l’Avvocatura Municipale,

unitamente all’avv. Roberta Cannarozzo, da cui è rapp.to e difeso,

come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.M.G., elett.te domiciliato in Roma, alla via Pompeo

Magno n. 23/a, presso lo studio dell’avv. Carlo Comandè, da cui è

rapp.to e difeso come da procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1711/30/15 della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, depositata il 24/4/2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 maggio 2019 dalla Dott.ssa d’Oriano Milena.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. con sentenza n. 1711/30/15, depositata il 24 aprile 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l’appello proposto dal Comune di Palermo avverso la sentenza n. 330/2/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento relativa all’omesso pagamento della TARSU per l’annualità 2008, di cui il contribuente aveva chiesto l’annullamento contestando la legittimità della delibera con cui erano stati disposti gli aumenti di tariffa per l’annualità;

3. la CTP aveva accolto il ricorso ritenendo inapplicabili gli aumenti di tariffa disposti sin dal 2006; la CTR aveva confermato la sentenza di primo grado rilevando che dall’annullamento della delibera di aumento tariffario del 2006 era conseguita l’illegittimità anche delle delibere successive, che presentavano in ogni caso lo stesso vizio in quanto adottate da organo incompetente;

4. avverso la sentenza di appello, il Comune di Palermo ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data 20 dicembre 2015, affidato ad un unico articolato motivo; il contribuente ha resistito con controricorso e depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il motivo di ricorso il Comune di Palermo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 58 e art. 64, comma 1, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed illogicità manifesta dell’atto, censurando la sentenza impugnata per aver individuato quale motivo di illegittimità delle tariffe TARSU per il 2008, fissate con successive ed autonome delibere, il precedente annullamento ad opera del TAR della delibera comunale con cui era stato disposto l’aumento delle tariffe per il 2006, e per aver ritenuto l’incompetenza della Giunta comunale a deliberare le variazioni di tariffa.

OSSERVA CHE:

1. preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto del requisito di specificità, formulata in sede di controricorso, in quanto l’unico motivo di doglianza è stato formulato in modo da rispettare i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, avendo il Comune ricorrente specificato il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, le norme violate, le ragioni giuridiche poste a fondamento della critica, e quindi tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo.

Del resto “In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (vedi Cass. n. 9100 del 2015; n. 7009 del 2017; n. 26790 del 2018).

2. Il motivo risulta poi meritevole di accoglimento, dovendosi dare continuità a quanto già affermato da questa stessa sezione della Corte, in analoga fattispecie, nella sentenza n. 28676 del 2018 alle cui motivazioni integralmente ci si riporta.

2.1. Nel presente giudizio si controverte dell’annualità Tarsu 2008, fondata sulla Delib. n. 120 del 2008, diversa da quella fatta oggetto dell’annullamento TAR Sicilia relativa al 2006; quest’ultimo annullamento, pur essendo definitivo e pur avendo indubbia efficacia erga omnes in relazione alla annualità da esso considerata, non si estende alle delibere Tarsu (non impugnate) concernenti le annualità successive, quand’anche meramente riproduttive della delibera annullata.

Va ribadito, infatti, l’orientamento prevalente di questa Corte che individua nella specie un’ipotesi di invalidità non caducante, atteso che la delibera Tarsu annullata non costituisce il presupposto delle delibere successive, sicchè queste ultime non vengono automaticamente travolte dall’annullamento giurisdizionale della prima, potendo venir meno solo all’esito di impugnativa, e di esplicita ed autonoma pronuncia giurisdizionale di annullamento. (Vedi Cass. ord. n. 15050 del 2017 e n. 1979 del 2018).

La conclusione (già recepita, proprio in materia di delibera Tarsu, anche dal giudice amministrativo: Tar Sicilia 130/2011; CGA Sicilia 420/2006) non muta in considerazione della ripetitività di contenuto delle delibere Tarsu successive, dal momento che questa stessa ripetitività costituisce espressione di una rinnovata ed autonoma volontà provvedimentale generale di conferma, e non rappresenta una conseguenza dipendente e necessitata della delibera annullata (il che, del resto, è conforme a quanto stabilito dalla legge in ordine all’esigenza che le tariffe Tarsu vengano deliberate dal Comune di anno in anno).

2.2 Escluso che la delibera successiva possa ritenersi invalida per derivazione dalla delibera antecedente annullata, ovvero per effetto di propagazione temporale del giudicato esterno di annullamento (vertendosi, nella specie, in tema di invalidità derivata dell’atto amministrativo generale e non di durevolezza pluriennale dei presupposti fattuali d’imposta relativi ad uno specifico rapporto giuridico tributario), resta da valutare se l’annullamento della delibera antecedente possa – o addirittura debba – rilevare sul diverso piano della disapplicazione della delibera successiva da parte del giudice tributario, D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 7, comma 5.

Si premette che il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto per l’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, art. 5 ed è dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se legittimi. Ne consegue che detto potere può, in effetti, essere esercitato – purchè gli atti in questione siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato – anche d’ufficio, ed indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto avanti al giudice amministrativo; trovando esso limite esclusivamente nell’eventuale giudicato amministrativo diretto di affermata legittimità dell’atto (SSUU 6265/06, proprio in materia di delibere comunali di approvazione di tariffe della TARSU, “presupposte” agli atti impositivi impugnati avanti al giudice tributario).

Ciò posto, la disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice tributario – disposta con effetto meramente incidentale è pur tuttavia anch’essa subordinata ad un vaglio originario ed autonomo della illegittimità dell’atto, facendo difetto, anche sotto questo profilo, qualsivoglia nesso di necessaria consequenzialità rispetto alla pronuncia già resa in riferimento ad altro atto, muovendo pur sempre da una delibazione autonoma da parte del giudice tributario, e non da un automatismo di derivazione.

2.3 Il problema si sposta dunque sul “merito incidentale” della dedotta illegittimità delle delibere tariffarie Tarsu successive; e l’orientamento di legittimità in materia (tra le altre, Cass. nn. 360/14, 8336/15, 913/16, 11959/16, 15150/17, 17497-8/17, 1979/18, 3187/18) è nel senso di attribuire alla giunta palermitana, e non al consiglio comunale, la competenza per l’emanazione di tali delibere.

Va premesso che, in base al D.Lgs. n. 267 del 2000 (TUEL), art. 42, lett. f), spetta al consiglio comunale (…) “f) l’istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, dal che si evince, a contrario, che la fissazione delle aliquote tributarie spetta invece alla giunta comunale in quanto organo di competenza residuale.

Tuttavia in Sicilia (regione in cui, tra l’altro, l’organo di competenza residuale non è la giunta TUEL ex art. 48, bensì il sindaco L.R. n. 7 del 1992 ex art. 13) il TUEL non si applica, in quanto regione a statuto speciale che non lo ha recepito (TUEL, art. 1, comma 2), ma continua ad applicarsi la L. sull’ordinamento delle autonomie locali n. 142 del 1990, come recepita con L.R. n. 48 del 1991 (art. 1, lett. a)).

In base allo statuto speciale della Regione Siciliana (approvato con R.D.Lgs. n. 455 del 1946, conv. dalla L. Cost. n. 2 del 1948) tale materia è infatti demandata alla potestà legislativa esclusiva della regione, con la conseguenza che le norme statuali hanno efficacia solo se richiamate con apposita legge regionale.

Ciò precisato, pur nella vigenza della L. n. 142 del 1990 cit. (art. 32, comma 2, lett. g)) – “la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione dei beni e servizi (nella specie tariffe di diversificazione tra esercizi alberghieri e locali adibiti ad uso abitazione) è di competenza della giunta e non del consiglio comunale poichè il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe” contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione e, inoltre, i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’ente, ma sono funzionali alla individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria” (così, tra le altre già cit., Cass. n. 1979/18).

2.4 Nè a diversa conclusione si perviene per la città di Palermo, in considerazione dello statuto comunale, art. 49, secondo il quale la giunta è competente, tra il resto, a procedere “a variazioni delle tariffe ed aliquote dei tributi comunali e dei corrispettivi dei servizi a domanda individuale entro i limiti indicati dalla legge o dal consiglio comunale”; nè del Regolamento Comunale Tarsu (adottato con Delib. consiliare n. 37 del 1997) art. 14, lett. d), il quale stabilisce che il consiglio fissi i “criteri di determinazione delle tariffe unitarie e relativi meccanismi di quantificazione”, prescrivendo in particolare che esso debba annualmente fissare, all’atto dell’approvazione delle tariffe unitarie della tassa da far valere per l’anno successivo, “il numero, compreso tra 0,5 ed 1, che esprime il grado di copertura del costo del servizio”.

I limiti entro i quali deve estrinsecarsi l’attività determinativa della tariffa annuale trovano fondamento normativo statuale nel D.Lgs. Tarsu n. 507 del 1993, art. 65, comma 2, secondo cui le tariffe, per ogni categoria o sottocategoria omogenea, sono determinate “dal comune” secondo “il rapporto di copertura del costo prescelto entro i limiti di legge”.

Ciò posto, non si ritiene che la mancata fissazione di tali “limiti” da parte del consiglio sia di per sè dirimente nel senso della incompetenza della giunta in materia tariffaria, nè può rilevare la circostanza meramente contingente che, successivamente alla delibera Tarsu in discussione, il consiglio comunale di Palermo sia poi effettivamente intervenuto (Delib. n. 342 del 2010) – al solo fine di far cessare ogni residuo contenzioso su questo punto – nella indicazione del fattore di copertura.

2.5 Non va infine taciuto che l’indicazione del legislatore nazionale in materia è comunque radicalmente mutata mediante l’adozione di un opposto principio ispiratore dell’imposizione sui rifiuti, volto a far sì che la tariffa in materia consenta la integrale copertura dei costi di investimento e di esercizio del servizio di gestione dei rifiuti urbani (criterio introdotto nell’ordinamento dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, abolitivo della Tarsu, ancorchè quest’ultimo tributo, come noto, abbia poi trovato ulteriore applicazione fin vista l’emanazione della disciplina esecutiva della TIA.

Dal che si evince una chiara linea evolutiva della legislazione statuale nel senso del superamento del previgente sistema di copertura discrezionale dei costi del servizio (rispondente anche a scelte di indirizzo politico dell’ente locale demandate, in quanto tali, al consiglio comunale) a favore di un sistema tariffario più rigido, perchè sempre improntato (per ragioni di interesse generale connesse al governo della fiscalità locale) a copertura integrale (fattore 1/1).

3. Per le suesposte considerazioni, accolto l’unico motivo di ricorso, segue la cassazione della sentenza impugnata, e, con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il rigetto del ricorso introduttivo.

4. In considerazione dell’esito finale della lite, tenuto conto che le questioni giuridiche oggetto di causa hanno trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali complessi, va disposta la compensazione delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente;

compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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