Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20623 del 09/09/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 20623 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 21326-2012 proposto da:
MERCALDO CARMINE MRCCMN73R24A7830,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo studio
dell’avvocato BOZZI SILVIO, rappresentato e difeso
dagli avvocati NAZZARO FRANCESCO, GIORDANO FABRIZIO;
– ricorrenti 2013
5005

nonchè contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
8018440587, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,
che lo rappresenta e difende;
– resistenti –

Data pubblicazione: 09/09/2013

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 16/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/05/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO

udito l’Avvocato;

IN FATTO
Con ricorso del 19.11.2007 Carmine Mercaldo, in proprio e quale erede di
Luigi Mercaldo, a sua volta erede di Domenico Mercaldo, adiva la Corte
d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al

2001, n.89, in relazione all’art.6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n.848155, per
l’eccessiva durata di un giudizio civile instaurato il 21.10.1992 innanzi al
Tribunale di Benevento e in allora ancora pendente in grado d’appello.
Resisteva il Ministero tramite l’Avvocatura generale dello Stato.
Con decreto del 16.11.2011 la Corte capitolina rigettava il ricorso.
Osservava che il giudizio presupposto pendeva ormai da oltre quattordici
anni, ma che detraendo da tale lasso di tempo le stasi processuali imputabili
ad attività delle parti volte consapevolmente ad ottenere rinvii istruttori, per
un totale di cinque anni e due mesi, si otteneva una durata eccedente di circa
cinque anni. Ciò posto, rilevava che Domenico Mercaldo era deceduto il
5.7.1995, e dunque a distanza di meno di tre anni dall’inizio del processo; che
suo figlio Luigi aveva assunto la qualità di parte solo il 7.12.2001 e che, a sua
volta, era deceduto il 26.2.2002; e che soltanto il 2.12.2005 Carmine
Mercaldo, erede di Luigi, si era costituito nel medesimo giudizio. Di
conseguenza, concludeva la Corte romana, la domanda non poteva essere
accolta in quanto la ragionevole durata del processo non era stata superata nei
confronti di nessuno dei predetti tre soggetti, sicché al ricorrente non spettava
alcun equo indennizzo né iure proprio, né iure hereditatis.

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pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art.2 della legge 24 marzo

Per la cassazione di tale decreto ricorre Carmine Mercaldo, in base a due
motivi d’impugnazione.
Scaduto il termine per proporre controricorso, il Ministero della Giustizia
ha depositato, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, un “atto di

Il Collegio ha disposto la redazione della sentenza in forma semplificata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo mezzo d’annullamento parte ricorrente deduce la violazione

e/o falsa applicazione dell’art. 110 c.p.c. in connessione col vizio di
contraddittorietà della motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Sostiene al riguardo a) che la contraddittorietà della motivazione
deriva dal fatto che la stessa Corte capitolina, prima, e questa Corte di
Cassazione, poi, hanno diversamente deciso nel caso del ricorso proposto da
Angela Perone, moglie di Luigi Mercaldo, cui è stato invece riconosciuto il
diritto all’equo indennizzo in relazione al medesimo processo presupposto; e
b) che il diritto all’equa riparazione compete anche agli eredi della parte che
abbia iniziato il giudizio prima dell’entrata in vigore della legge n. 89/01.
1.1. – Il motivo è inammissibile per un verso e infondato per l’altro.
1.1.1. – Inammissibile quanto alla dedotta violazione di legge, ché il
decreto impugnato non ha per nulla negato il diritto degli eredi a conseguire
l’indennizzo ex lege n. 89/01 iure hereditatis e iure proprio, secondo che la
durata eccedente del giudizio presupposto si sia verificata durante la vita del
de cuius ovvero nella frazione processuale in cui l’erede, intervenendo ai
sensi dell’art. 110 c.p.c., abbia assunto la qualità di parte; sicché, in definitiva,
il ricorso attribuisce alla Corte territoriale affermazioni che le sono estranee.
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costituzione”.

Il decreto impugnato, infatti, mostra di essersi adeguato al principio di
diritto espresso da questa Corte, secondo cui in tema di equa riparazione, ai
sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89, qualora la parte costituita sia deceduta
anteriormente 2 t decorso del termine di ragionevole durata del processo

dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a decorrere dalla sua
costituzione in giudizio; ne consegue che qualora l’erede agisca sia iure

hereditatis che iure proprio, non può assumersi come riferimento temporale
di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario
procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al
fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia,
escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante
causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel
processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure

proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro .,;ota e iure
successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa
(Cass. n. 21646/11).
1.1.2. – Il motivo è invece infondato lì dove ricerca ragioni di
contraddittorietà motivazionale non all’interno della trama argomentativa e
logica del medesimo provvedimento impugnato, ma nel raffronto tra questo e
altri precedenti della medesima Corte territoriale. E’ agevole ribattere, al
riguardo, che il n. 5 dell’art. 360 c.p.c. costituisce uno strumento di controllo
della legittimità del provvedimento in rapporto alla logicità intrinseca della
motivazione, non già un mezzo per assicurare l’uniformità dei giudicati su
cause connesse, ché a tale seconda esigenza provvedono, ove ciò sia reso
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presupposto, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio

possibile dalla coeva pendenza, le norme sulla connessione e sulla riunione
dei giudizi.
2. – Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2, comma 1 legge n. 89/01, con riferimento alla consolidata

dell’uomo.
Richiamata m generale la quale, il ricorrente sostiene che la Corte
d’appello di Roma, pur avendo accertato una durata irragionevol2 e 1 giudizio
presupposto, ha rigettato la domanda, non attenendosi così all’obbligo di
uniformasi alla giurisprudenza della Corte EDU e al principio di sussidiarietà
di cui all’art. 13 della Convenzione, in base al quale il sistema di garanzie
previsto dall’ordinamento interno deve assicurare una protezione effettiva e
non apparente.
2.1. – Il motivo è inammissibile, perché non coglie minimamente la ratio

decidendi del decreto impugnato, ma si limita a postularne in maniera
generica la contrarietà al diritto internA e a quello della Convenzione EDU,
diffondendosi su questioni generali nient’affatto implicate dalla fattispecie
concreta.
3. – In conclusione il ricorso va respinto.
4. – Nulla per le spese, essendosi l’Avvocatura generale dello Stato limitata
ad una difesa irrituale.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 24.5.2013.

giurisprudenza di questa Corte e di quella della Corte europea dei diritti

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