Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20623 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. III, 07/10/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 07/10/2011), n.20623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.R. (OMISSIS), P.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMEZIA

44, presso lo studio dell’avvocato FARALLO PIERO, rappresentati e

difesi dall’avvocato FRASCHETTI PAOLA giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

L.B. (OMISSIS), B.M.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GORIZIA,

22, presso lo studio dell’avvocato TOSCHI CRISTIANO, rappresentati e

difesi dall’avvocato MODENA LAURA, giusto mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 199/2008 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 22/05/2008; R.G.N. 89/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato FRASCHETTI PAOLA;

udito l’Avvocato MOTTI BARGINI GIUSEPPE per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 23-26 marzo 1987 L.B. e B.M.S. hanno convenuto davanti al Tribunale di Perugia B.L., costruttore, C.I., architetto e progettista, e P.I., direttore dei lavori, chiedendone la condanna in via solidale al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., in relazione ai gravi difetti costruttivi riscontrati nell’immobile di loro proprietà, sito in (OMISSIS).

I convenuti hanno resistito alle domande, respingendo ogni responsabilità.

Nelle more del processo è deceduto il P., a cui sono subentrati gli eredi, M. e P.R..

A seguito del decesso di B.L., dichiarato nell’udienza del 3.10.2001, il processo è stato interrotto e riassunto dagli attori con atto notificato in unica copia agli eredi P. presso il loro difensore costituito, avv. Paola Fraschetti.

I P. hanno eccepito l’estinzione del giudizio per irregolarità della riassunzione.

Esperita l’istruttoria anche tramite CTU, il Tribunale di Perugia, in composizione collegiale, ha respinto l’eccezione di estinzione ed ha condannato i P. al risarcimento dei danni in solido con l’impresa costruttrice, nella misura quantificata dal CTU di Euro 14.977,25.

Ha assolto il progettista, poichè i lavori erano stati realizzati in termini difformi dal progetto approvato.

Proposto appello dai soccombenti, a cui hanno resistito gli attori, con sentenza 24 aprile – 22 maggio 2008 n. 199 la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico degli appellanti le spese del giudizio.

Con atto notificato il 4 luglio 2009 i P. propongono sei motivi di ricorso per cassazione.

Resistono i L. – B. con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. 22 luglio 1997, n. 276, art. 1 in relazione agli art. 60 quater e 161 cod. proc. civ., e nullità della sentenza di primo grado, poichè la Corte di appello ha omesso di rilevare che la causa – iniziata nel 1987 avrebbe dovuto essere decisa in primo grado dalla Sezione Stralcio, istituita per la definizione dei procedimenti pendenti al 30 aprile 1995 e non ancora assunti in decisione, nè spettanti alla competenza collegiale. Nella specie la causa era già stata assegnata in decisione al 30 aprile 1995, ma era stata poi rimessa sul ruolo con ordinanza collegiale. La successiva decisione avrebbe dovuto essere quindi devoluta alla Sezione Stralcio e decisa dal giudice monocratico.

Assumono che la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di nullità con l’erronea motivazione che si tratta di nullità relativa, che avrebbe dovuto essere eccepita nella prima difesa successiva alla rimessione al Collegio. Questa Corte ha invece affermato che la predetta nullità è rilevabile di ufficio e può essere fatta valere in sede di impugnazione, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ.1.1.- Il motivo non è fondato.

I ricorrenti pongono e sovrappongono tre diverse questioni: a) se la competenza del giudice ordinario resti ferma, rispetto a quella della Sezione stralcio, qualora la causa – già assegnata al Collegio alla data dell’entrata in vigore della L. n. 276 del 1997 – sia stata rimessa in istruttoria, tornando quindi al Collegio dopo l’entrata in vigore della suddetta legge; b) in caso negativo, se sia valida la sentenza emessa dal giudice ordinario, qualora la decisione dovesse essere assegnata alla Sezione stralcio; c) se sia valida la sentenza emessa dal giudice collegiale, qualora si tratti di materia che l’art. 60 bis assegna al giudice monocratico, qual è quello appartenente alle Sezioni stralcio.

Solo in relazione alla terza questione è stato formulato il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., sicchè solo per questa parte il primo motivo è ammissibile.

Le prime due questioni sono inammissibili e vengono prese in esame in questa sede solo per chiarezza di esposizione ed al fine di definire i principi di diritto. Al primo problema va data risposta negativa, poichè per decidere in ordine alla competenza del giudice ordinario o della sezione stralcio, occorre avere riguardo alla data in cui la causa è stata effettivamente decisa con il provvedimento oggetto di esame (nella specie, con la sentenza impugnata in questa sede), restando irrilevante l’eventuale precedente rimessione al Collegio, con successiva prosecuzione dell’istruttoria.

Nella specie, la decisione della causa avrebbe dovuto essere effettivamente rimessa alla Sezione stralcio, contrariamente a quanto affermano i resistenti, poichè la sentenza impugnata è stata emessa a seguito di ordinanza di rimessione al Collegio successiva alla data dell’entrata in vigore della L. n. 276 del 1997.

L’inosservanza tuttavia non comporta nullità della sentenza, poichè la sezione stralcio non costituisce un diverso organo di giustizia all’interno dell’ufficio giudiziario, ma è stata istituita in vista di peculiari finalità di distribuzione degli affari nell’ambito del medesimo ufficio, per la sollecita definizione delle cause pendenti al 30 aprile 1995.

La mancata assegnazione alla sezione stralcio non configura, quindi, un problema di incompetenza funzionale, ma una mera irregolarità, sanabile entro i limiti di cui all’art. 157 cod. proc. civ. (Cass. civ. Sez. 1, 9 luglio 2004 n. 12663; Cass. civ. Sez. 3, 23 febbraio 2006 n. 4020; Cass. civ. Sez. 2^, 30 ottobre 2009 n. 23066).

La terza questione posta dai ricorrenti è in linea di principio fondata, poichè l’inosservanza delle norme sulla composizione, collegiale o monocratica, dell’organo giudicante non costituisce causa di nullità relativa, soggetta al regime di sanatoria implicita, come ha ritenuto la Corte di appello, ma comporta nullità della sentenza, che può essere fatta valere in sede di impugnazione, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ. (Cass. civ. S.U. 25 novembre 2008 n. 28040).

Ciò tuttavia non comporta l’annullamento della sentenza impugnata, poichè la suddetta causa di nullità non richiede la rimessione degli atti al primo giudice, nè provoca la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla; essa ha il solo effetto di imporre al giudice dell’impugnazione che sia competente anche per il merito, l’obbligo di esaminare e di decidere la causa nel merito, in ossequio al principio di cui all’art. 162 cod. proc. civ. ed al normale effetto devolutivo del giudizio di appello (Cass. civ. S.U. 25 novembre 2008 n. 28040; Cass. civ. Sez. 3, 9 marzo 2011 n. 5590).

La Corte di appello ha per l’appunto esaminato e deciso la causa nel merito, provvedendo così alla rinnovazione dell’attività riguardo alla quale la nullità si è verificata. L’eccepita nullità non produce quindi alcun effetto.

2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano nullità della sentenza di appello per violazione dell’art. 331 cod. proc. civ., sul rilievo che non hanno partecipato al giudizio di appello tutti i convenuti nel giudizio di primo grado, bensì solo gli odierni ricorrenti e gli attori in primo grado, sebbene il Tribunale abbia condannato al risarcimento dei danni, in solido con i P., anche gli eredi del costruttore, B.L., e sebbene nel giudizio fosse stato convenuto anche il progettista, arch.

C..

Assumono che le domande proposte contro più condebitori solidali sono inscindibili e danno luogo a litisconsorzio necessario processuale.

2.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

E’ principio consolidato che l’obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l’inscindibilita delle cause nei confronti dei condebitori e non da luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati.

Ne consegue che, qualora l’impugnazione sia stata proposta da uno solo degli obbligati in solido, la sentenza passa in giudicato nei confronti dei condebitori non impugnanti (Cass. civ. 22 maggio 1998 n. 5106; Cass. civ. Sez. 3, 29 gennaio 2003 n. 1273, fra le tante).

Del resto, il giudizio di appello è stato promosso dagli stessi ricorrenti, i quali non spiegano perchè essi stessi abbiano omesso di convenire in giudizio le parti che ritenevano essere litisconsorti necessarie del giudizio medesimo.

3.- Con il terzo ed il quarto motivo, denunciando violazione degli art. 170, 303 e 305 cod. proc. civ., dell’art. 175 disp. att. cod. proc. civ., i ricorrenti censurano il capo della sentenza impugnata che ha respinto la loro eccezione di estinzione del giudizio a causa della nullità della notificazione dell’atto di riassunzione, depositato dagli attori dopo la morte di B.L..

3.1.- I motivi sono inanimissibili ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, oltre che ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ,, per l’inidonea formulazione dei quesiti. I ricorrenti lamentano la nullità dell’atto di riassunzione e della sua notificazione, ma non specificano se tale atto, con la relazione di notifica, sia stato prodotto nel presente giudizio unitamente al ricorso; come sia contrassegnato e dove sia reperibile fra gli atti di causa, come disposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6 con riguardo ai documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547). E’ poi orientamento costante della Corte di cassazione (confronta di recente Cass. 25 marzo 2009, n. 7197) che il quesito di diritto debba essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione sottoposta all’esame della Corte, sì da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi la fattispecie concreta; poi la rapporti ad uno schema normativo tipico; infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione (cfr., per tutte, Cass. Civ. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420. Cass. Civ. Sez. 3^, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535).

Il quesito sul terzo motivo (“Dica la Suprema Corte se ai sensi degli artt. 303, 110 e 125 disp. att. cod. proc. civ. il ricorso in riassunzione possa essere notificato impersonalmente agli eredi di una parte non colpita dall’evento interruttivo e già individualmente costituiti in epoca antecedente alla declaratoria di interruzione che ha interessato altro convenuto”), e quello sul quarto motivo (“Dica la Suprema Corte se la notifica effettuata agli eredi impersonalmente presso il difensore possa ritenersi equivalente alla notifica al difensore della parte costituita e nominativamente individuata”) non specificano quale sia la fattispecie presa in esame; quale la ratio decidendi della sentenza impugnata; quale il principio che sarebbe stato erroneamente affermato e quello corretto che si chiede venga affermato.

4.- Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 1669 cod. civ. e di varie norme delle leggi urbanistiche, per avere la Corte di appello addebitato la responsabilità dei gravi difetti al direttore dei lavori, pur avendo rilevato che le opere sono state realizzate in difformità dal progetto approvato; tanto che per questa ragione è stato assolto da responsabilità il progettista.

Assumono che in questi casi il contratto di appalto è da ritenere nullo e pertanto inidoneo ad ingenerare responsabilità ex art. 1669 cod. civ. Con il sesto motivo lamentano che la Corte di appello non abbia addebitato la responsabilità anche ai committenti, in tutto od in parte, per avere essi commissionato l’esecuzione dì opere in difformità dal progetto approvato.

4.1.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, sono manifestamente infondati, se non inammissibili.

Le censure non investono la ratio decidendi della sentenza impugnata, nè valgono a disattendere le argomentazioni in base alle quali la Corte di appello ha emesso la sua decisione.

La Corte di appello ha ritenuto irrilevante la circostanza che le opere siano state realizzate in difformità dal progetto, per il fatto che la responsabilità ex art. 1669 cod. civ. ha natura extracontrattuale e pertanto non viene infirmata dall’ipotetica nullità del contratto di appalto. Contro questa specifica argomentazione non sono state sollevate censure di sorta, nè è stato formulato alcun quesito di diritto.

La Corte ha soggiunto che la responsabilità per i gravi difetti è stata imputata al direttore dei lavori anche in relazione a inadempimenti diversi da quelli afferenti alle opere realizzate in difformità dal progetto.

Quanto alle opere difformi, ha affermato che il direttore dei lavori si è reso inadempiente all’obbligo, su di lui gravante, di informare tempestivamente i committenti delle difformità che si andavano realizzando e dei rischi inerenti al mancato rispetto della progettazione.

Contro tali argomentazioni si sarebbero dovute indirizzare le censure dei ricorrenti, al fine di dimostrarne l’illogicità o l’insufficienza, alla luce delle risultanze probatorie acquisite agli atti.

Le censure concretamente proposte non sono congruenti con le ragioni della sentenza impugnata.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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