Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20621 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. I, 19/07/2021, (ud. 02/07/2021, dep. 19/07/2021), n.20621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20476/2016 proposto da:

Cariti Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Barracco n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Manzione Massimo, che la rappresenta

e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BPER BANCA S.p.a., già Banca Popolare dell’Emilia Romagna società

Cooperativa, quale incorporante la Banca della Campania S.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via XX Settembre n. 3, presso lo studio

dell’avvocato Sandulli Federica, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale per Notaio S.F. di (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Cariti Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Barracco n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Manzione Massimo, che la rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso al ricorso

incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 87/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 05/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2021 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Sala Consilina, con sentenza n. 238/2012 – nelle cause riunite nn. 1032/2006 e 369/2007, nell’ambito delle quali la Cariti Immobiliare s.r.l. e G.A. hanno chiesto la condanna della Banca della Campania s.p.a. al pagamento delle somme dovute, da quantificarsi a seguito di espletanda consulenza tecnica d’ufficio, in conseguenza della illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici, dell’applicazione dei tassi d’uso su piazza e di valute e commissioni non dovute in relazione ai conti correnti bancari nn. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – ha condannato la banca convenuta al pagamento della somma di Euro 226.537,91, oltre accessori di legge.

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza depositata il 5.2.2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado:

– ha condannato la Banca Popolare dell’Emilia Romagna società cooperativa, quale società incorporante la Banca della Campania s.p.a., al pagamento della somma di Euro 82,65, oltre accessori di legge, rigettando, nel resto, le domande proposte dalla società correntista;

– ha rigettato l’appello incidentale proposto dalla Cariti Immobiliare s.r.l.;

– ha condannato quest’ultima società a restituire alla banca le somme che la medesima aveva percepito a seguito dell’esecuzione fondata sulla sentenza di primo grado, con detrazione della somma di Euro 82,65 e della somma maturata a titolo di interessi legali;

– ha disposto la compensazione tra le parti delle spese di lite del secondo grado del giudizio nella misura di tre quarti, ivi comprese le spese relative all’espletamento della c.t.u. nel grado d’appello, condannando la Banca della Campania s.p.a. al pagamento in favore della Cariti Immobiliare s.r.l. del residuo quarto delle spese di lite del medesimo grado del giudizio e del quarto delle spese di ctu del grado d’appello.

Il giudice di secondo grado, per quanto di interesse, ha evidenziato che gli accertamenti di carattere tecnico espletati dal CTU erano stati fondati su estratti conto bancari completi solo limitatamente al c/c n. (OMISSIS). Per quanto concerne, invece, i conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte d’Appello ha ritenuto che, in difetto degli estratti conto completi, la ricostruzione dei movimenti bancari contenuta nelle scritture contabili e nei “mastrini” della società correntista non fosse attendibile.

Avverso la predetta sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione la Cariti Immobiliare s.r.l., affidandolo a cinque motivi.

La Banca Popolare dell’Emilia Romagna si è costituita in in giudizio con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale, affidandolo a due motivi.

La società ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prima di esaminare il primo motivo della società ricorrente, deve rigettarsi l’eccezione sollevata dalla banca di inammissibilità del ricorso per l’assenza della procura speciale, sul rilievo che mancherebbe in quella conferita dalla Cariti Immobiliare s.r.l. al proprio legale qualsiasi richiamo alla sentenza impugnata ed al presente giudizio, facendosi riferimento ad un (imprecisato) giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione.

In proposito, questa Corte (Cass. n. 4171/2000; Cass. 12174/2000; vedi più recentemente Cass. n. 18468/2014) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui la procura speciale a margine del ricorso per cassazione è valida se, pur non contenendo specifici riferimenti al giudizio di legittimità, non rechi espressioni che univocamente conducano a ritenere che la parte abbia inteso riferirsi ad altro giudizio. Infatti, in caso di procura apposta a margine o in calce al ricorso o al controricorso, essa, facendo materialmente corpo con l’atto cui inerisce, esprime inequivocabilmente il necessario riferimento all’atto stesso, assumendo così il carattere di specialità, anche se formulata genericamente e senza uno specifico riferimento al giudizio di legittimità.

2. Con il primo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione dell’art. 83 c.p.c..

Lamenta la società ricorrente che la costituzione della Banca Popolare dell’Emilia Romagna nel giudizio d’appello (effettuata unitamente al deposito della comparsa conclusionale del 24.11.2015) non è validamente avvenuta, atteso che i legali della medesima hanno agito, anziché con un’apposita procura della incorporante, in virtù della procura loro conferita dalla Banca della Campania s.p.a. “a margine dell’atto di appello”. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata, essendo rimasta come controparte della società ricorrente la Banca della Campania s.p.a. in relazione al difetto di mandato conferito dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna.

3. Il motivo è infondato.

Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che, nel regime anteriore alla modificazione dell’art. 2504-bis c.c. (recata dal D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, art. 23, comma 1), realizzando l’incorporazione di una società una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale e producendo gli effetti, tra loro indipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della nuova persona giuridica, il difensore della società incorporata non poteva proporre impugnazione a nome della società incorporante, in difetto di un espresso mandato di quest’ultima, avvalendosi della procura conferita dalla società estinta; né poteva assumere rilievo il nuovo testo dell’art. 2504-bis c.c. – secondo cui la società che risulta dalla fusione o quella incorporante “assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione” – in conseguenza della natura innovativa, e non interpretativa della nuova disciplina (Cass. n. 4740 del 25/02/2011; vedi anche Cass. n. 2063/2015).

L’attuale formulazione dell’art. 2504 bis c.c.- che è applicabile al caso di specie per essere la fusione per incorporazione avvenuta nel suo vigore – avendo, invece, previsto la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, risolve la fusione in una vicenda non estintiva ma evolutivo-modificativa che comporta solo un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, ma anche non la creazione di un nuovo ente distinto dal vecchio (Cass. n. 4042/2019). Ne consegue che, non verificandosi alcun mutamento nei rapporti giuridici anche processuali che già facevano capo all’incorporata, che proseguono con la società risultante dalla incorporazione, l’originaria procura alle liti ex art. 83 c.p.c. conferita dall’organo della società incorporata rimane valida anche per il periodo successivo all’incorporazione ed il procuratore già designato è legittimato al compimento di tutti gli atti processuali occorrenti per la difesa della posizione giuridica della società, pur nella sua diversa organizzazione.

4. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 342 c.p.c.

Lamenta la società ricorrente che nei motivi d’appello la banca non ha censurato l’uso che il Tribunale ha fatto dell’art. 167 c.p.c. con riferimento alla scritture contabili.

In particolare, la banca, nel costituirsi in giudizio, non ha negato la veridicità delle operazioni bancarie riportate nel libro giornale e nei mastrini prodotti dalla parte attrice, avendo l’istituto di credito circoscritto ogni eccezione al piano dell’osservanza della forma e dei tempi per il deposito dei documenti.

Nell’atto di appello, la banca si è limitata a contestare la valenza probatoria delle scritture contabili, non considerando che le operazioni bancarie introdotte attraverso il libro giornale e i c.d. mastrini dovevano ritenersi provate per il principio di non contestazione. L’istituto di credito non aveva svolto argomentazioni specifiche e contrapposte a quelle contenute nella sentenza di primo grado, nella quale si era osservato che la parte convenuta aveva contestato” soltanto in sede di memoria di replica la rispondenza tra le scritture contabili e gli effettivi movimenti intercorsi di dare e avere”.

La sentenza di secondo grado aveva sovrapposto i fatti (cioè le operazioni bancarie fonte dell’indebito) al mezzo di prova di quei fatti (le scritture contabili) mentre avrebbe dovuto dichiarare il gravame perché privo di specificità a norma dell’art. 342 c.p.c..

5. Il motivo è infondato.

Va osservato che il giudice di secondo grado, nel riportare nella parte narrativa i motivi d’appello svolti dalla banca, con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 2214,2710,2733 e 2735 c.c. nonché della violazione dell’art. 116 c.p.c., ha evidenziato (pag. 7 della sentenza impugnata), come la banca avesse contestato l’equivalenza tra estratto conto proveniente dalla banca e documenti contabili confezionati dal cliente, valendo i primi come confessioni stragiudiziali, a norma dell’art. 2735 c.c., costituenti prova legale contro la banca, ed essendo, invece, i secondi soggetti alla disciplina di cui all’art. 2710 c.c., non potendo assurgere al rango di prova legale a favore dell’imprenditore che le aveva confezionate. L’istituto di credito aveva quindi chiesto che, in sede di rinnovo della CTU, fossero utilizzati i soli estratti conto, qualificati dalla continuità delle annotazioni.

Deve, pertanto, ritenersi che il giudice d’appello non sia incorso affatto nella violazione dell’art. 342 c.p.c. avendo la banca svolto motivi d’impugnazione dotati di specificità in ordine alla inidoneità delle scritture contabili della società ricorrente a rappresentare i movimenti dei conti correnti bancari nel periodo non coperto dagli estratti conto.

6. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 167 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che la banca avesse contestato tempestivamente, sin dal giudizio di primo grado, le circostanze riportate nel libro giornale e nei mastrini.

Espone che la Corte d’Appello ha confuso la contestazione dei fatti (nel caso di specie, i movimenti bancari) con il valore probatorio dei documenti che tali fatti riportano (il libro giornale e i mastrini).

7. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che, con riferimento al tema della dedotta tardività della contestazione da parte della banca delle scritture contabili della società ricorrente e, in particolare, dei mastrini, e della loro idoneità di documentare le operazioni bancarie nel periodo non coperto dagli estratti conto, va osservato che la Corte d’Appello ha evidenziato (pag. 11 della sentenza impugnata) “che la banca, costituendosi in primo grado, non ha accettato che si procedesse ad accertamento di carattere tecnico sulla base di tale materiale, ma si è espressamente opposta alla verifica – mediante c.t.u. – dell’esatta e precisa contabilità relativa ai conti correnti nn. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)…”. Inoltre, “non risulta poi che nel corso del primo grado di giudizio la banca abbia mai accettato che gli accertamenti di carattere tecnico disposti dal tribunale fossero svolti sulla base del materiale probatorio tempestivamente e correttamente allegato agli atti..”. Infine, il giudice di secondo grado, dopo aver riportato, virgolettando, dei passaggi delle contestazioni sollevate dalla banca nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Sala Consilina, ha concluso che “nel corso del giudizio di primo grado la banca non ha tenuto comportamenti che potessero implicare accettazione della ricostruzione dei conti in questione sulla base del materiale probatorio esistente in atti, pur in mancanza degli estratti conto relativi a taluni periodi, almeno per taluni dei conti in questione”.

In sostanza, il giudice d’appello, nell’evidenziare le contestazioni svolte dalla banca sia in sede di costituzione in giudizio che nel corso del giudizio di primo grado, ha inequivocabilmente confutato l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui l’istituto di credito aveva solo nella memoria di replica contestato la rispondenza tra le scritture contabili e i movimenti di dare e avere del conto corrente bancario.

Ne’ è condivisibile l’assunto secondo cui la Corte d’Appello avrebbe confuso la contestazione dei fatti (movimenti bancari) con il valore probatorio dei documenti che tali fatti riportano (il libro giornale e i mastrini), essendo evidente che la banca ha contestato il valore probatorio del libro giornale e dei mastrini proprio allo scopo di contestare che le predette scritture contabili documentassero delle operazioni bancarie nel periodo non coperto dagli estratti conto.

Di fronte a tale precisa ricostruzione, la società ricorrente, per provare la violazione da parte della Corte d’Appello dell’art. 167 c.p.c., avrebbe dovuto, in ossequio al principio di autosufficienza (vedi Cass. n. 20637/2016), indicare specificamente i punti salienti dell’atto di citazione e, in generale, dei propri atti processuali depositati in primo grado in cui aveva allegato che le movimentazioni contabili nel periodo non coperto dagli estratti conto fossero provate attraverso i mastrini ed il libro giornale, indicando altresì i precisi passaggi della comparsa di costituzione e risposta degli atti processuali della banca da cui – a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello – emergesse la non contestazione specifica, a norma dell’art. 167 c.p.c. (tale principio, anche prima che fosse formalmente codificato nel nostro ordinamento con la nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c., era già stato anche in precedenza elaborato da questa Corte proprio in relazione a previsto dall’art. 167 c.c., comma 1, vedi S.U. n. 761/2002, Cass. n. 12636/2005 recentemente n. 19896/2015).

La società ricorrente non ha assolto in alcun modo a tale onere di allegazione, non confrontandosi minimamente con i precisi rilievi, sul punto, del giudice di secondo grado.

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c..

Lamenta la società ricorrente che l’espunzione (operata, a suo avviso, ingiustamente dalla Corte d’appello) dal giudizio delle scritture contabili avrebbe dovuto solo comportare per i conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS) una rideterminazione del calcolo, non essendo corretto negare ogni credito nonostante fosse pacifico che alcuni periodi dei rapporti bancari in oggetto fossero regolarmente documentati dagli estratti conto senza soluzione di continuità.

In sostanza, una documentazione bancaria incompleta non era ostativa alla rideterminazione del saldo ai fini dell’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti della banca.

7. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che questa Corte, in un primo tempo, aveva enunciato il principio di diritto secondo cui, nei rapporti di conto corrente bancario, la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista non può essere accolta in caso di incompletezza degli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione, essendo costui onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto (Cass. n. 30822 del 28/11/2018).

Era stato, tuttavia, precisato che ove gli estratti conto bancari prodotti fossero comunque idonei ad attestare senza soluzione di continuità tutte le rimesse suscettibili di ripetizione verificatisi da un certo periodo in poi fino da all’estinzione del rapporto (rimanendo sprovvisto di documentazione solo il periodo iniziale), la domanda di ripetizione dell’indebito sarebbe stata parimenti accoglibile, previo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio che prendesse come punto di partenza, nell’elaborazione dei conteggi”, il saldo debitore del primo estratto conto disponibile (vedi Cass. n. 11543/2019).

In tempi più recenti, vi è stata, sul tema, un’ulteriore evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, essendo stato enunciato il principio di diritto che, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto rapporto (Cass. 2 maggio 2019, n. 11543; Cass. 4 aprile 2019, n. 9526). Dunque, la prova dei movimenti del conto può desumersi anche “aliunde” (Cass. n. 29190/2020), avvalendosi eventualmente dell’opera di un consulente d’ufficio che ridetermini il saldo del conto in base a quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio (che comunque devono fornire indicazioni certe e complete nei termini sopra illustrati).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha fatto buon uso dei principi di diritto sopra enunciati, non avendo, relativamente ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettato la domanda di ripetizione dell’indebito del correntista sulla base della mera constatazione dell’incompletezza degli estratti conto prodotti, essendo stata affermata l’inidoneità delle scritture contabili (e dei mastrini ad essa relativi) prodotte dalla società ricorrente principale ad essere utilmente adoperate per colmare le lacune nella sequenza degli estratti conto, non in linea di principio, ma solo relativamente al ” caso di specie”. In particolare, la Corte d’Appello ha affermato, da un lato, che le presunzioni alle quali la CTU contabile aveva fatto ricorso erano del tutto arbitrarie e svincolate da dati certi e reali, e, dall’altro, che non sussistevano elementi per poter adeguatamente verificare la veridicità e correttezza delle risultanze delle scritture contabili in questione e la loro idoneità a rappresentare i movimenti contabili con la banca non documentati dagli estratti conto.

Tenuto conto che il giudizio in ordine alla idoneità delle scritture contabili (pur se regolarmente tenute) a rappresentare i movimenti contabili con la banca è comunque rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 1, (vedi Cass. n. 26216/2011) – non avendo tali scritture valore di prova legale a favore dell’imprendire che le ha redatte – tale valutazione, essendo in punto di fatto, non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, secondo l’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretata da questa Corte con la sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014, ovvero in presenza di motivazione omessa o apparente o perplessa o frutto del contrasto irriducibile di affermazioni inconciliabili e come tali incomprensibili.

Nel caso di specie, la Cariti Immobiliare non ha minimamente censurato il profilo motivazionale nei termini sopra illustrati, limitandosi a reiterare l’affermazione – confutata in modo coerente dalla Corte d’Appello, come sopra già evidenziato – secondo cui la Banca non aveva mai contestato le operazioni bancarie indicate nelle scritture contabili e nei mastrini ad esse relativi.

Infine, priva di fondamento è l’ulteriore doglianza della società ricorrente secondo cui la Corte d’Appello, pur dopo aver espunto dal giudizio le scritture contabili, avrebbe, in ogni caso, dovuto provvedere alla rideterminazione del saldo del conto corrente, utilizzando quegli estratti (seppur parziali) comunque disponibili.

Se, da un lato, questo Collegio intende dare continuità al principio di diritto (sopra enunciato) secondo cui l’incompleta produzione degli estratti conto non è elemento ostativo alla rideterminazione del saldo del conto corrente, ove i movimenti contabili dello stesso possano comunque desumersi da altri elementi di prova parimenti idonei a fornire (anche eventualmente con l’ausilio di una consulenza tecnica contabile) indicazioni certe e complete che giustifichino il saldo maturato nel periodo privo degli estratti conto, dall’altro, non può pervenirsi alla stessa conclusione nel caso in cui – come quello di specie – la documentazione bancaria prodotta dal correntista sia frammentaria, in quanto caratterizzata da periodi “coperti” dagli estratti conto, intervallati da altri in cui non sono documentate le operazioni compiute, né le movimentazioni del conto corrente possano desumersi da altri elementi di prova (o risultino da elementi ritenuti non attendibili dal giudice di merito con motivazione immune da vizi logici).

In tale ipotesi utilizzando criteri presuntivi od approssimativi, come tali non ammissibili (vedi Cass. n. 20693 del 13/10/2016; Cass. n. 10/09/2013 n. 20688).

8. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 385 del 2983, art. 117.

Lamenta la società ricorrente che il giudice di secondo grado non aveva considerato, relativamente ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), che il CTU nominato in primo grado aveva applicato i tassi BOT in senso sfavorevole alla ricorrente, in violazione dell’art. 117 T.U.B., dovendo questa norma essere interpretata nel senso che, in caso di mancata pattuizione dei tassi creditori e debitori, a carico del cliente devono essere applicati i tassi minimi passivi e, invece, riconosciuti quelli massimi attivi.

9. Il motivo è assorbito.

E’ evidente che l’accertamento in questa sede della correttezza della decisione della Corte di merito di rigettare la pretesa del correntista relativamente ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS) (esaminati nel punto precedente) rende irrilevante la questione illustrata nel motivo.

10. Con il primo motivo del ricorso incidentale la banca ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c., per avere il giudice di secondo grado implicitamente respinto il proprio motivo d’appello con cui lo stesso istituto di credito aveva censurato l’irregolare modalità di acquisizione (da parte della correntista) della prova documentale durante il giudizio di primo grado.

11. Il motivo è assorbito in relazione al rigetto del ricorso principale.

12. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alle modalità con cui il giudice d’appello ha liquidato le spese di lite dei due precedenti gradi di giudizio.

Lamenta la banca che la Corte d’Appello ha accertato una sua soccombenza per soli Euro 82,65 a fronte di una pretesa elevatissima e di un’esecuzione in danno della banca per oltre Euro 270.000,00.

13. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che è orientamento costante di questa Corte che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. (Cass. n. 19613 del 04/08/2017).

Nel caso di specie, la banca non è risultata totalmente vittoriosa nel presente giudizio, con conseguente insindacabilità della statuizione sulle spese della Corte d’Appello.

In considerazione della prevalente soccombenza della parte ricorrente principale, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite per la metà, con condanna della ricorrente principale al pagamento della residua metà, che si liquida come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale.

Rigetta il ricorso incidentale.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida, previa compensazione nella misura della metà, in Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambe le parti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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