Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20619 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28293/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Cintio Auto srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Alessandra Coviello, con domicilio

eletto in Roma, via N. Fabrizi n. 11/A presso lo studio dell’avv.

Maria D’Alessandro;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 41/1/13 del 7 novembre 2012, depositata il 17 aprile

2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Manzon Enrico.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 41/1/13 del 7 novembre 2012, depositata il 17 aprile 2013, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 13/8/11 della Commissione provinciale tributaria di Perugia che aveva accolto i ricorsi della Cintio Auto srl e dei sua soci contro atti impositivi e riscossivi per Imposte dirette ed IVA riguardanti gli anni 2003/2005.

La CTR, per quanto in questo giudizio ancora rileva, osservava in particolare che, a fronte di una contabilità societaria regolarmente tenuta dalla società contribuente, era onere dell’Ente impositore provare l’asserita inesistenza soggettiva delle operazioni di cui alle fatture oggetto delle riprese fiscali e delle sanzioni portate dagli atti impugnati, ma che tale onere non era stato adeguatamente assolto, non potendosi a tal fine considerare sufficiente quanto attestato dal PVC basante detti atti, comunque carenti anche rispetto alla motivazione, come pure eccepito dalla società contribuente.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo sei motivi.

Resiste con controricorso la Cintio Auto srl.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Va in via preliminare preso atto che l’agenzia fiscale ricorrente ha espressamente delimitato il ricorso in esame ai rilievi IVA concernenti la sola società contribuente, escludendo pertanto l’impugnazione di altri capi decisionali della sentenza.

Ciò posto in premessa, con il primo motivo -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4- l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, poichè la CTR ha, tra l’altro, affermato l’invalidità degli avvisi di accertamento 2003/2004 per vizio motivazionale, trattandosi di eccezione implicitamente rigettata dalla CTP e non riproposta dalla società contribuente in grado di appello, in quanto non costituitasi. La censura è fondata.

Va rilevato che, come -per autosufficienza del ricorso- ritualmente espostosi nel mezzo in esame, i primi giudici hanno accolto il ricorso introduttivo della lite a causa della ritenuta fondatezza meritale dello stesso in ordine alla mancata prova della contestata esistenza soggettiva delle operazioni, affermando l’assorbimento degli altri motivi.

Pacifico che l’eccezione de qua non era stata dunque accolta, per evitare la “presunzione di rinuncia” di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, la ricorrente di primo grado avrebbe dovuto riproporla in grado di appello.

Tuttavia è altresì pacifico che ciò non è avvenuto, poichè la società contribuente non si è costituita nel giudizio avanti alla CTR umbra, sicchè va dato seguito al principio di diritto che “Nel processo tributario, l’art. 346 c.p.c., riprodotto, per il giudizio di appello davanti alla commissione tributaria regionale, dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56, per cui le questioni ed eccezioni dell’appellato non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate, si applica anche quando il contribuente non si sia costituito in giudizio, restando contumace, e va riferita a qualsiasi questione proposta dal ricorrente, a condizione che sia suscettibile di essere dedotta come autonomo motivo di ricorso o di impugnazione” (Cass., n. 20062 del 24/09/2014, Rv. 632654 – 01).

Dall’accoglimento del primo motivo deriva l’assorbimento del secondo, che censura nel merito detta statuizione del giudice tributario di appello, e del terzo (erroneamente indicato come secondo) che della statuizione medesima deduce il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il quarto motivo (erroneamente indicato come terzo) -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, art. 21, comma 7, artt. 2697-2727-2729 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, poichè la CTR ha ritenuto non assolto l’onere probatorio che le gravava circa l’inesistenza soggettiva delle operazioni IVA de quibus, nonostante i plurimi indizi rivenienti ed attestati nel PVC originante gli atti impositivi impugnati.

Con il quinto motivo -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5- la ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi appunto inerenti la sua allegazione che dette fatture fossero state emesse da società c.d. “cartiere”.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondate.

In ordine ai rispettivi profili concretizzanti tali critiche di diritto e motivazionali alla sentenza impugnata, va ribadito che:

-“In tema d’I.V.A., l’Amministrazione finanziaria, che contesti la cd. “frode carosello”, deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di “cartiera”, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’I.V.A.) e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l’I.V.A, la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti” (Cass. n. 17818 del 09/09/2016, Rv. 640767 – 01);

– “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass., n. 9851 del 20/04/2018);

– “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass., n. 5787 del 13/03/2014, Rv. 630512 – 01);

– “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Cass. n. 5374 del 02/03/2017);

-“La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Orbene, la sentenza impugnata collide con tutti i principi di diritto derivanti da tali arresti giurisprudenziali, in particolare non avendo adeguatamente valorizzato le circostanze accertate nel PVC basante gli avvisi di accertamento impugnati in ordine alla inesistenza soggettiva dei soggetti fatturanti, così violando specificamente la regola sull’onere probatorio e la disciplina della prova presuntiva, basandosi sulla mera regolarità contabile delle registrazioni operate dalla fatturata Cintio Auto srl, comunque, in ultima analisi, fornendo alla propria decisione sul punto un supporto motivazionale del tutto al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”.

La CTR umbra infatti si è limitata a considerare che “Ne segue che l’amministrazione finanziaria doveva fornire prova dell’inesistenza delle operazioni documentate dalle fatture. L’Amministrazione ha tentato di fornire tale prova attraverso la produzione del p. v. di constatazione redatto dalla G.D.F. di Perugia.. del quale è contenuto un sunto delle conclusioni cui le indagini -svolte dagli altri corpi territoriali- portarono circa le caratteristiche della società intermediarie. Peraltro tale documentazione.. non consente alla Commissione di valutare criticamente le indagini svolte e quindi di far propri o respingere gli assunti fatti propri dall’ufficio”, avendo dapprima rilevato che, di contro, “..la contabilità della Cintio srl era regolare”.

Da tale, assai esile, apparato motivazionale emergono con evidenza i vizi denunciati.

Con il sesto motivo (erroneamente indicato come quinto) -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4- la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sui motivi del gravame agenziale inerenti la cartella esattoriale recante una sanzione irrogata per omessi versamenti IVA (cartella di pagamento n. (OMISSIS), Euro 6.290,70), trattandosi di fattispecie del tutto estranea alla contestazione relativa alla asserita fatturazione soggeltivamente inesistente e altresì inerenti le cartelle esattoriali per ruoli straordinari D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 11.

Riportati per autosufficienza i relativi motivi di appello, la censura è palesemente fondata, non essendovi traccia nella motivazione della sentenza impugnata di alcuna considerazione al riguardo nè potendosi affatto ritenere che tali motivi di gravame siano stati implicitamente rigettati, riguardando la decisione del giudice tributario di appello esclusivamente le riprese per la fatturazione soggettivamente inesistente.

In conclusione, accolto il primo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR dell’Umbria per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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