Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20616 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/07/2021, (ud. 23/06/2021, dep. 19/07/2021), n.20616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

B.S., già liquidatore della (cessata) (OMISSIS) s.r.l., in

liquidazione, nonché presidente del c.d.a. di (e dunque per

altresì) SBR s.r.l., socio unico della società (OMISSIS) s.r.l.,

rappr. e dif. dagli avv. Paolo Viezzi paolo.viezzi.avvocatiudine.it

e Pina Rifiorati pina.rifiorati.avvocatiudine.it, elett. dom. presso

lo studio degli stessi in Udine, via Roma n. 4, come da procura a

margine dell’atto;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, subentrante nei rapporti di

Equitalia servizi di riscossione s.p.a. (per tutti gli ambiti

nazionali), in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv.

Maurizio Cimetti avvmauriziocimetti.ordineavvocativrpec.it, elett.

dom. in Roma, presso lo studio Legalitax, via Flaminia n. 135, come

da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, in persona del curatore

fall. p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Venezia 23.5.2018, n.

1385/2018, in R.G. 696/2018, rep. 1419/2018.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.S., già liquidatore di (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, nonché presidente del c.d.a. di (e dunque altresì per) SBR s.r.l., socio unico della società (OMISSIS) s.r.l., impugna – nella duplice veste – la sentenza App. Venezia 23.5.2018, n. 1385/2018, in R.G. 696/2018, rep. 1419/2018, che ha rigettato il rispettivo reclamo, proposto ai sensi della L. Fall., art. 18, avverso la sentenza Trib. Treviso 1.2.2018 dichiarativa del fallimento della prima;

2. la corte ha premesso che: a) il tribunale, dichiarato inammissibile il concordato con riserva proposto dalla società, in pari data ne dichiarava il fallimento, per difetto di attivo; b) entrambi i provvedimenti erano impugnati da B. (quale liquidatore ed altresì L.R. del socio unico SBR), deducendosi b.1.) la mancata concessione di termine di almeno 60 giorni, dovuto nonostante la cancellazione della società; b.2.) la violazione dell’obbligo di audizione L. Fall. ex art. 162; b.3.) la violazione del principio di prevenzione del concordato rispetto al fallimento, dichiarato quando era ancora pendente la prima procedura; b.4.) la mancata riunione, benché richiesta, dei due procedimenti; b.5.) l’errata considerazione del credito fiscale, avendo la società presentato dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, ciò implicando la sospensione del procedimento di pagamento e la desistenza del creditore, per via della rottamazione delle cartelle;

3. la corte ha ritenuto che: a) sull’istanza di fallimento di Agenzia delle Entrate, per un credito di circa 650 mila Euro, proposta in data 28.11.2017, dopo che la società era stata cancellata (il 14.4.2017), era stata fissata la comparizione per il successivo 30.1.2018, cui la fallenda si presentava – in persona del liquidatore e con il legale – “dimettendo tra l’altro l’attestazione del deposito dell’istanza di concordato L. Fall. ex art. 161 comma 6, avvenuto lo stesso giorno”, a ciò seguendo – previa riserva di decisione – la coppia dei provvedimenti impugnati (depositati il 1.2.2018); b) non v’era prova che la decisione sull’inammissibilità del concordato fosse posteriore a quella del fallimento, posta la loro presumibile delibera lo stesso giorno e da parte del medesimo collegio; c) la cancellazione della società dal registro delle imprese era ragione sufficiente d’inammissibilità del concordato, altra essendo l’assoggettabilità ancora per un anno al solo fallimento; d) il deposito della proposta di concordato, nella specie, palesava altresì un abuso dell’istituto, essendo volto a differire la dichiarazione di fallimento; e) l’audizione, disposta nell’ambito dell’istruttoria prefallimentare, comunque assolveva altresì al contraddittorio sul concordato, espletato anche se i due procedimenti, chiamati all’udienza, non erano stati anche formalmente riuniti e in ogni caso il reclamante non aveva dedotto quale difesa in concreto sarebbe stata preclusa; d) la richiesta di adesione alla definizione agevolata, per quanto – asseritamente quasi del tutto accolta, non implicava l’abbandono della istanza di fallimento, difettando l’invocata sospensione di previsione normativa; e) i bilanci al 31.12.2014 e 31.12.2015, infine, registravano dati dell’attivo, dei ricavi e dell’indebitamento sopra i parametri della L. Fall., art. 1, comma 2;

4. la ricorrente deduce in quattro motivi: a) la violazione della L. Fall., art. 162, per omessa audizione del debitore sulla domanda di concordato, non riunita a quella di fallimento, né discussa dalla parte proponente in contraddittorio e su alcun vizio, non risultando alcuna riserva di relazione da parte del giudice delegato ed infine essendo stato prospettato dalla parte il danno difensivo occasionato dalla violazione procedimentale, imperniato sulla rottamazione delle cartelle e la legittimazione (anche al concordato) post cancellazione per tale evenienza; b) la violazione, sotto i profili dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, della L. Fall., artt. 162,173,169(179) e 180, per essere stata la dichiarazione di fallimento emessa quando ancora era pendente il concordato; c) la violazione della L. Fall., art. 161, comma 6, per errato diniego del termine di 60 giorni, trattandosi di provvedimento dovuto dal tribunale, senza margini di discrezionalità, apprezzabili solo per presupposti diversi da quello poi sancito nel decreto d’inammissibilità; d) il mancato rilievo del difetto di legittimazione di Agenzia delle Entrate a presentare istanza di fallimento, dopo l’accoglimento della rottamazione delle cartelle.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. i primi tre motivi, da riunire in trattazione perché connessi, sono inammissibili, in tutti i rispettivi profili e per plurime ragioni; osserva in primo luogo il Collegio che è censurabile la proposizione in un’unica censura di un cumulo indistinto di violazioni, che almeno per i motivi primo e secondo – confliggono con il principio per cui “e’ inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass.26874/2018);

2. né è possibile un alternativo discernimento dei vizi ascritti alla sentenza laddove il ricorso omette di trascrivere ovvero almeno riportare per punti essenziali le censure che la parte avrebbe introdotto avanti al giudice di merito; non risulta così comprovato con precisione – ai sensi del parallelo principio di necessaria specificità – come e se le rispettive questioni erano già appartenute al contraddittorio tempestivo e rituale e ove ne sia traccia (Cass. 28184/2020); con la conseguenza che, a prescindere dalla decisività, quanto a riunione, estremi della domanda di agevolata definizione delle cartelle e adempimenti svolti, nonché punti precisi delle due decisioni contestate con riguardo alla relazione tra concordato e fallimento, può ripetersi che “l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa” (Cass. s.u. 23745/2020);

3. non risulta poi idoneamente censurata un’autonoma ratio decidendi adottata in sentenza, ben possibile stante l’effetto devolutivo pieno restituito con il reclamo al relativo giudice, laddove la corte ha esplicitato il giudizio di abuso dell’istituto; da un lato, la pronuncia in sé è ben compatibile con l’indirizzo di legittimità che ne ha ravvisato la ricorrenza proprio nei casi di deposito della domanda di concordato in prossimità, come avvenuto nella specie, della decisione sulle previe istanze di fallimento, secondo un insindacabile apprezzamento di merito (Cass. 7117/2020), così che ne deriva altresì il giustificato travolgimento della dilazione temporale connessa alla concessione del termine; d’altronde, la pendenza dell’istruttoria prefallimentare già aveva radicato il rapporto processuale, ben declinabile – attraverso la convocazione e la presenza della debitrice – nel pieno esercizio della difesa anche quanto alla domanda di concordato ed a sostegno, in primo luogo, della sua preliminare ammissibilità, non risultando, già per questa via, sussistenti i rilevati vizi (Cass. 25587/2015, Cass. 12957/2016); dall’altro lato, il limite del ricorso determina ex se la non necessità di esame delle altre censure, posto che “quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse “rationes decidendi”, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame” (Cass. 13880/2020, 18815/2019, 6985/2019);

4. risulta poi inammissibile, ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1, la doglianza relativa alla legittimazione della società cancellata alla proposizione della domanda di concordato; la relativa preclusione, già affermata da Cass. 2186/2015, con non accolto dubbio di costituzionalità (cfr. Corte Cost. n. 9 del 2017), è stata anche di recente ribadita da Cass. 12045/2020; per essa, “e’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrarietà agli artt. 3 e 24 Cost., del combinato disposto dell’art. 2495 c.c. e della L. fall., art. 10, nella parte in cui impedisce al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere il concordato preventivo. Quest’ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima, che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude “ipso facto” l’utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare; né l’istanza concordataria può essere intesa come uno dei mezzi attraverso i quali si esplica il diritto di difesa del fallendo in sede di istruttoria prefallimentare”; affermazione ultima che determina l’assorbimento delle altre censure;

5. va infine aggiunto, come chiarito da Cass. 17532/2020, che nella citata sede di audizione “era compito del tribunale esercitare, in relazione (anche) alla domanda concordataria, un controllo quanto meno riguardante il riscontro della propria competenza e dell’esistenza dei requisiti soggettivi di accesso alla procedura, nonché l’assenza, almeno prima facie, di profili di abusività suscettibili di pregiudicare le ragioni dei creditori e dei terzi aventi diritto… eventuali ragioni di inammissibilità della domanda concordataria erano certamente rilevabili di ufficio, né sussisteva alcun obbligo, per il tribunale, di indicarli anticipatamente, rientrando nella propria sfera discrezionale lo stabilire su quali elementi chiedere, o meno, chiarimenti”;

6. il quarto motivo è inammissibile, per più profili; esso, in primo luogo, pecca di non specificità, omettendo di riportare la domanda di definizione agevolata dei debiti fiscali e gli adempimenti effettivamente svolti, in corredo e a completamento della stessa, così da poterne scrutinare la completezza, ove trascurata dal giudice di merito; inoltre, la censura omette di confrontarsi con la duplice ratio decidendi della sentenza, la quale con chiarezza ha circoscritto la portata del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 6, comma 5 (conv. nella L. 1 dicembre 2016, n. 225) ad un’incidenza propria delle sole attività di esecuzione o recupero coattivo del credito, cui è estraneo il procedimento per la dichiarazione di fallimento, secondo un’interpretazione che appare coerente con la specificità dei riferimenti normativi adottati, anche al confronto con l’omissione più puntuale, nel motivo, delle norme primarie asseritamente violate; inoltre, nemmeno è dato scorgere la disciplina per la quale siffatto creditore per debiti pubblicistici fosse tenuto a presentare la desistenza dall’istanza di fallimento, dovendo in realtà il giudice di merito prendere solo atto della circostanza oggettiva della persistenza dell’iniziativa e dell’impossibilità giuridica di affermare, come invero ritenuto, la sopravvenuta estinzione del debito;

il ricorso è dunque inammissibile; va disposta la condanna alle spese, secondo il criterio della soccombenza e come meglio indicato in dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente procedimento, liquidate in Euro 7.000, oltre ad Euro 100 per esborsi, nonché al rimborso forfettario nella misura del 15% in favore del controricorrente e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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