Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20612 del 31/08/2017
Cassazione civile, sez. II, 31/08/2017, (ud. 05/07/2017, dep.31/08/2017), n. 20612
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24476-2014 proposto da:
B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAETANO
DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE FRISINA, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
nonchè
sul ricorso 24476-2014 proposto da:
A.A.P., AM.LA., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA
GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato CATERINA
MERCURIO, che le rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CONDOMINIO VIA (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 4363/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 31/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL
CORE Sergio, il quale ha concluso per l’accoglimento dei motivi 1,
2, 4, 5 del ricorso principale e dei motivi 1, 2 e 3 del ricorso
incidentale, rigettati o assorbiti i restanti.
udito l’Avvocato Mercurio per delega dell’Avvocato Frisina.
Fatto
FATTI DI CAUSA
B.R. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 13 ottobre 2014 e articolato in otto motivi (pur essendone numerati per errore sette, in quanto vi sono due rubricati come “terzo motivo”) avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4363/2013, depositata il 31/07/2013. Contro la stessa sentenza hanno proposto distinto ricorso A.A.P. e Am.La., notificato sempre il 13 ottobre 2014 e articolato in cinque motivi (l’ultimo erroneamente rubricato “settimo”), di contenuto parzialmente identico a quello di B.R..
Il Condominio di via (OMISSIS), rimane intimato senza svolgere attività difensiva.
La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello formulato da B.R., A.A.P. e A.L. contro la sentenza n. 21405/2007 del Tribunale di Roma, la quale aveva rigettato l’impugnazione per nullità o annullabilità, dovuta ad eccesso di potere, della deliberazione assembleare del Condominio di via (OMISSIS), del 27 ottobre 2004, che aveva deciso di “assegnare nei cortili una autovettura per condomino, senza assegnazione specifica in modo precario e senza recare pregiudizio e/o intralcio ai proprietari dei box, ponendo tutti i condomini in condizione di esercitare la facoltà concessa dandone esecuzione”. Gli attori avevano sostenuto che tale delibera ledesse il loro diritto di proprietà e di uso esclusivo delle rampe carrabili che conducevano ai box, diritto già accertato da precedenti sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Roma, nonchè riconosciuto da un’anteriore deliberazione dell’assemblea del Condominio di (OMISSIS), approvata il 5 dicembre 1990 da otto condomini, e perciò in assenza dei soli due proprietari dei box, e da qualificare come negozio di accertamento.
La Corte di Roma, in ordine ai tre motivi di appello, rispondeva: 1) che nel verbale d’assemblea in data 5.12.1990 era stato attestato, e tanto faceva fede, come fossero “presenti o rappresentati n. 7 Condomini per complessivi mm. 764”, e che comunque l’assenza dei due titolari dei box non potesse ritenersi irrilevante, in quanta la pretesa non già di un mero riconoscimento di un diritto, quanto di un negozio di accertamento “implica la partecipazione di tutti i titolari delle posizioni soggettive da determinare”; 2) che l’art. 1 del regolamento di condominio comprendeva tra i beni comuni, con accollo della relativa manutenzione, “l’area che risulta compresa tra il fronte est del caseggiato.. il fronte dei garages e la via Donizetti destinata a passaggio comune a favore di tutti gli appartamenti”, senza frazionare il “fronte est” tra rampa carrabile e rampa pedonale ed indicando, piuttosto, il “fronte dei garages” quale limite dell’area di uso comune; di tal che, il riferimento contenuto nell’art. 6, lett. E) del regolamento ai “passaggi carrabili”, il cui onere di gestione era rimesso ai soli titolari dei box, doveva riferirsi non alle intere rampe di transito verso (OMISSIS), ma alle sole aperture sulla strada pubblica; 3) che le sentenze n. 3425/2004 della Corte d’Appello di Roma e n. 8309/2001 del Tribunale di Roma, nel rigettare l’impugnazione avanzata dalla Società Immobiliare Edilizia Laziale contro la Delib. assembleare 28 luglio 1999, non avevano accertato con efficacia di giudicato i presunti diritti reali spettanti in via esclusiva ai titolari dei box, ma solo verificato la compatibilità del contenuto di quella delibera con i diritti vantati dalla società. Mancando ogni pregiudizio ai diritti reali dei proprietari dei box, la Corte d’Appello negava pure il vizio di eccesso di potere.
I ricorrenti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da A.A.P. e Am.La., seppur presentato come ricorso principale, deve essere inteso come ricorso incidentale (essendone successiva la richiesta di notifica in base al numero cronologico rispetto a quello proposto da B.R.) e va riunito al primo ai sensi dell’art. 335 c.p.c. I. Il primo motivo del ricorso di B.R. deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1362, 1363 e 1333 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello di Roma ha escluso che potesse attribuirsi valenza di negozio di accertamento alla Delib. adottata in data 5 dicembre 1990 all’unanimità dei presenti ed aventi titolo. Si ribadisce che i condomini presenti e votanti a quella assemblea erano otto, e non sette, per complessivi millesimi 864,50, essendo assenti i soli due proprietari dei garages, e che il contenuto della delibera era di riconoscimento dell’esclusivo diritto di proprietà e di uso delle rampe di accesso ai garages in capo ai proprietari dei garages stessi.
1.1. Il primo motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. è di tenore identico al primo motivo del ricorso di B.R..
2. Il secondo motivo del ricorso di B.R. deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, , dell’art. 116 c.p.c., art. 2730, anche in relazione agli artt. 1362,1363 e 2732 c.c., per inosservanza del limite del libero convincimento dl giudice costituito dall’efficacia vincolante ed irrevocabile della prova legale della confessione, emergente dalla Delib. dell’assemblea 5 dicembre 1990.
2.1. Il secondo motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. è di tenore identico al secondo motivo del ricorso di B.R..
3. Il terzo motivo del ricorso di B.R. deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, , dell’art. 337 c.p.c., comma 2, per non aver la Corte d’Appello di Roma deciso in conformità al disposto della sentenza del Tribunale di Roma del 19 maggio 2011, n. 10602 (che si assume prodotta all’udienza di precisazione delle conclusioni del 24 aprile 2013), nè sospeso il processo, avendo quella sentenza deciso su causa pregiudiziale concernente l’accertamento dell’esclusiva proprietà della rampa in capo ai proprietari dei garages.
4. Il quarto motivo del ricorso di B.R. (rubricato di nuovo per errore come terzo motivo) deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione, stavolta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 337 c.p.c., comma 2, non avendo la Corte d’Appello di Roma deciso in conformità al disposto della sentenza del Tribunale di Roma del 19 maggio 2011, n. 10602, nè sospeso il processo.
5. Il quinto motivo del ricorso di B.R. deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, , degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369 e 1361 c.c., in relazione all’interpretazione degli artt. 1 e 6, lett. E, del regolamento condominiale, disposizioni in ordine alle quali mai si era dubitato circa la proprietà delle rampe carrabili da parte dei proprietari dei garages.
5.1. Il terzo motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. è di tenore identico al quinto motivo del ricorso di B.R..
6. Il sesto motivo del ricorso di B.R. deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, , dell’art. 2909 c.c., anche in relazione all’art. 1418 c.c. e ss. e art. 1136 c.c., per aver la Corte d’Appello erroneamente escluso l’illegittimità della delibera impugnata nonostante la palese contrarietà della stessa alle sentenze n. 3425/2004 della Corte d’Appello di Roma e n. 8309/2001 del Tribunale di Roma, le quali, pronunciando sull’impugnazione avanzata dalla Società Immobiliare Edilizia Laziale contro la deliberazione assembleare del 28 luglio 1999, avevano accertato con efficacia di giudicato i diritti reali esclusivi spettanti ai titolari dei box.
7. Il settimo motivo del ricorso di B.R. deduce la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo stata omessa ogni pronuncia sulla nullità della delibera impugnata, per essere stati con essa imposti, senza il consenso del ricorrente, pesi e vincoli alle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva.
7.1. Il quarto motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. è di tenore identico al settimo motivo del ricorso di B.R..
8. L’ottavo motivo del ricorso di B.R. deduce la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dovuta all’inesistenza della motivazione, in punto di rigetto del gravame concernente l’annullamento della delibera impugnata, giacchè viziata da eccesso di potere.
8.1. Il quinto motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. è di tenore identico all’ottavo motivo del ricorso di B.R..
9. Vanno esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi, il primo, il secondo ed il quinto motivo del ricorso di B.R., nonchè gli omologhi primo, secondo e terzo motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La., ed ancora il sesto motivo del ricorso di B.R..
La tesi che i ricorrenti B.R., A.A.P. e Am.La. intendono dimostrare conclude per la nullità (o per l’annullabilità dovuta ad eccesso di potere) della deliberazione assembleare del Condominio di via (OMISSIS), del 27 ottobre 2004, volta ad “assegnare nei cortili una autovettura per condomino, senza assegnazione specifica in modo precario e senza recare pregiudizio e/o intralcio ai proprietari dei box, ponendo tutti i condomini in condizione di esercitare la facoltà concessa dandone esecuzione”. L’invalidità della delibera discenderebbe dalla sua lesività per il diritto, spettante ai ricorrenti, di proprietà e di uso esclusivo delle rampe carrabili che conducono ai box.
Questa Corte, invero, ha più volte ribadito che la delibera dell’assemblea condominiale che assegna i singoli posti auto ricavati nell’area cortiliva comune, senza però attribuire agli assegnatari il possesso esclusivo della porzione loro assegnata, è validamente approvata a maggioranza, non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi, in quanto essa disciplina le modalità di uso del bene comune, e si limita a renderne più ordinato e razionale il godimento paritario (Cass. Sez. 2, 31/03/2015, n. 6573; Cass. Sez. 2, 19/07/2012, n. 12485; Cass. Sez. 2, 15/06/2012, n. 9877; Cass. Sez. 2, 22/01/2004, n. 1004).
Diversamente, peraltro, l’assemblea di condominio non può adottare delibere che, nel predeterminare ed assegnare le aree destinate a parcheggio delle automobili, incidano sui diritti individuali di proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, dovendosi tali delibere qualificare nulle (Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806).
Deve ulteriormente partirsi dalla premessa (ancora di recente ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte: Cass. Sez. 6 – 2, 08/03/2017, n. 5831) che l’area esterna di un edificio condominiale, della quale manchi un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio e sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, va ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c.
Sicchè, il condomino che impugni una deliberazione dell’assemblea, la quale abbia individuato ed assegnato gli spazi da adibire a parcheggio delle autovetture condominiali, deducendo che tale assegnazione abbia comportato un’indebita ingerenza in aree del cortile antistante il fabbricato di sua proprietà esclusiva, deve dimostrarne il relativo titolo costitutivo, in modo da superare la presunzione di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c.
Poichè, però, la legittimazione passiva nelle cause promosse da uno dei condomini per impugnare le deliberazioni assembleari spetta all’amministratore del condominio (rientrando il compito di difendere la validità delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini nel compito di eseguire le stesse, ex art. 1130 c.c., n. 1, per il cui espletamento nel successivo art. 1131 è riconosciuta all’aministratore la rappresentanza in giudizio del condominio), va sempre considerato che esula dai limiti della legittimazione passiva dell’amministratore medesimo una domanda che sia volta ad ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva di un singolo su un bene altrimenti compreso fra le parti comuni ex art. 1117 c.c., imponendo una tale domanda il contraddittorio processuale di tutti i restanti condomini (cfr. da ultimo Cass. Sez. 6 – 2, 15/03/2017, n. 6649).
Ne consegue che, nel giudizio di impugnazione di deliberazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1137 c.c., per il quale all’amministratore di condominio spetta la legittimazione passiva, l’eventuale allegazione della proprietà esclusiva di un bene, sul quale l’impugnata delibera abbia inciso, può essere oggetto di accertamento di carattere meramente incidentale, funzionale alla decisione della causa sulla validità dell’atto collegiale, ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli.
Ora, il primo ed il secondo motivo del ricorso di B.R. ed il primo ed il secondo motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. intendono che, a dimostrazione della loro proprietà esclusiva sulle rampe di accesso ai garages, si prestasse la delibera del Condominio di (OMISSIS) adottata in data 5 dicembre 1990, valendo questa quale negozio di accertamento o come confessione, facente prova legale.
Tali censure sono infondate per le seguenti ragioni.
L’art. 1117 c.c. attribuisce ai titolari delle singole unità immobiliari dell’edificio la comproprietà di beni, impianti e servizi – indicati espressamente o per relationem – in estrinsecazione del principio “accessorium sequitur principale”, per propagazione ad essi dell’effetto del trasferimento delle proprietà solitarie, sul presupposto del collegamento strumentale, materiale o funzionale, con queste, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo (cfr. ad esempio, Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948).
Secondo principi generali, ai fini dell’acquisto a titolo derivativo della proprietà di un bene immobile, non è mai da ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicchè è pure irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato (Cass. Sez. 2, 11/04/2016, n. 7055; Cass. Sez. 3, 18/06/2003, n. 9687). Ciò significa che, già in astratto, un negozio di accertamento non può rilevare come titolo traslativo contrario all’operatività della presunzione di condominio ex art. 1117 c.c.
E’ poi in ogni caso da negare che la Delib. 5 dicembre 1990 del Condominio di (OMISSIS) possa valere come negozio di accertamento o come confessione stragiudiziale.
Una deliberazione dell’assemblea dei condomini non può accertare l’estensione dei diritti di proprietà escusiva dei singoli in deroga alla presunzione di condominialità delle parti comuni posta dall’art. 1117 c.c., ciò richiedendo l’accordo di tutti i condomini (come ha spiegato pure la Corte d’Appello di Roma, rilevando l’assenza di alcuni partecipanti alla riunione del 5 dicembre 1990).
Questa Corte ha proprio affermato che non rientra nei poteri dell’assemblea condominiale la deliberazione che determini a maggioranza l’ambito dei beni comuni e delle proprietà esclusive, potendo ciascun condomino interessato far valere la conseguente nullità senza essere tenuto all’osservanza del termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c. (Cass. Sez. 2, 20/03/2015, n. 5657).
Nè la dichiarazione di scienza contenuta in un verbale di assemblea condominiale, qualora comporti, come si assume nel caso di specie, il riconoscimento della proprietà esclusiva di alcuni beni in favore di determinati condomini, può avere l’efficacia di una confessione stragiudiziale, quanto meno attribuibile ai condomini presenti all’assemblea, non rientrando, ai sensi dell’art. 1135 c.c., nei poteri dell’assemblea, come visto, quello di stabilire l’estensione dei beni comuni e delle proprietà esclusive (Cass. Sez. 2, 09/11/2009, n. 23687).
Il quinto motivo del ricorso di B.R. e il terzo motivo del ricorso censurano poi l’interpretazione degli artt. 1 e 6, lett. E, del regolamento condominiale, fatta dalla Corte d’Appello, potendosi da tali clausole trarre la prova, a dire dei ricorrenti, della loro proprietà delle rampe carrabili.
Ora, questa Corte ha spesso affermato in passato che il regolamento di condominio, che, come nella specie, individui i beni comuni ai fini della ripartizione delle spese tra i condomini, o includa un bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un condomino, non costituisce un titolo di proprietà, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012; Cass. Sez. 3, 13/03/2009, n. 6175; Cass. Sez. 2, 23/08/2007, n. 17928; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5633).
La Corte d’Appello di Roma, in ogni modo, ha accertato, sulla base di apprezzamento di fatto del testo negoziale, che l’art. 1 del regolamento di condominio comprendesse tra i beni comuni “l’area che risulta compresa tra il fronte est del caseggiato.. il fronte dei garages e la (OMISSIS) destinata a passaggio comune a favore di tutti gli appartamenti”, senza prevedere frazionamenti del “fronte est” tra rampa carrabile e rampa pedonale, ed anzi individuando il “fronte dei garages” come termine dell’area di uso comune; concludendo che il riferimento contenuto nell’art. 6, lett. E) del regolamento ai “passaggi carrabili”, il cui onere di gestione è rimesso ai soli titolari dei box, dovesse riferirsi non alle intere rampe di transito verso (OMISSIS), ma alle sole aperture sulla strada pubblica.
Poichè si tratta di interpretazione del regolamento di condominio da parte del giudice del merito, e dunque di un’indagine di fatto, che non rivela violazione dei canoni di ermeneutica nè vizi logici, essa è insindacabile in sede di legittimità, mentre i ricorrenti si limitano, nella sostanza, a criticare la ricostruzione della volontà negoziale operata dalla Corte d’Appello, prospettando una diversa e più favorevole valutazione degli stessi elementi da questa esaminati.
Il sesto motivo del ricorso di B.R. adduce che la deliberazione assembleare del 27 ottobre 1994 contrastasse col giudicato contenuto nelle sentenze n. 3425/2004 della Corte d’Appello di Roma e n. 8309/2001 del Tribunale di Roma, che, in relazione ad un precedente giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c., avevano accertato i diritti reali esclusivi spettanti ai titolari dei box.
Al riguardo, la Corte d’Appello ha tuttavia evidenziato come queste sentenze, nel rigettare l’impugnazione avanzata dalla Società Immobiliare Edilizia Laziale contro la deliberazione assembleare del 28 luglio 1999, non avevano accertato con efficacia di giudicato i presunti diritti reali spettanti in via esclusiva ai titolari dei box, ma solo verificato la compatibilità del contenuto di quella delibera con i diritti vantati dalla società. Questa interpretazione è corretta, in quanto, come già affermato in precedenza, la sentenza resa all’esito di un giudizio di impugnazione di una deliberazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1137 c.c., svoltosi nei confronti dell’amministratore di condominio, può contenere un accertamento meramente incidentale in ordine alla sussistenza, o meno, della proprietà esclusiva di un bene, sul quale l’impugnata delibera abbia inciso, senza rivestire efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli, in quanto enunciazione soltanto strumentale alla decisione sulla validità della delibera.
Può pure aggiungersi che se le sentenze n. 3425/2004 della Corte d’Appello di Roma e n. 8309/2001 del Tribunale di Roma, rivestissero quell’autorità di giudicato sulla proprietà delle rampe che il B. vi scorge, non avrebbe senso la proposizione di nuovo giudizio tendente ad un identico accertamento, giudizio culminato nella sentenza di primo grado del 19 maggio 2011, sulla quale si fondano poi il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
10. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso di B.R. vanno esaminati congiuntamente, in quanto entrambi relativi al mancato riconoscimento dell’autorità della sentenza del Tribunale di Roma del 19 maggio 2011, n. 10602, ovvero alla mancata sospensione ex art. 337 c.p.c., comma 2, del giudizio pendente davanti alla Corte d’Appello di Roma.
Lo stesso ricorrente (a pagina 59 di ricorso) allega di aver prodotto copia della sentenza del Tribunale di Roma del 19 maggio 2011, n. 10602, all’udienza di precisazione delle conclusioni del 24 aprile 2013, ed afferma (a pagina 42 di ricorso) che fosse pendente gravame avverso quella sentenza davanti alla medesima Corte d’Appello di Roma.
Nella specie, assumendosi dal ricorrente che nella causa pregiudicante, concernente l’accertamento della proprietà delle rampe, sia stata pronunciata sentenza del Tribunale di Roma n. 10602/2011, non passata in giudicato, in quanto impugnata davanti alla Corte d’Appello di Roma, si fa questione della mancata sospensione del giudizio pregiudicato ai sensi dell’art. 337 c.p.c., in attesa che nel giudizio pregiudicante si formi la cosa giudicata, sospensione che può essere disposta se il giudice del secondo giudizio non intenda riconoscere l’autorità, che è di mero fatto, dell’altra decisione (cfr. Cass. Sez. U, 19/06/2012, n. 10027).
Ora, secondo regola generale, ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l’onere di dimostrare che un’istanza in tal senso era stata avanzata in sede di merito (mentre il ricorrente qui deduce soltanto di aver prodotto all’udienza di conclusioni davanti alla Corte d’Appello copia della sentenza del Tribunale, e nulla dice in proposito il provvedimento impugnato), che quest’altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, dovendosi ritenere, in difetto, che manchi la prova dell’interesse concreto ed attuale che deve sorreggere il ricorso (cfr. Cass. Sez. 3, 10/11/2015, n. 22878; Cass. Sez. L, 19/10/2012, n. 18026; Cass. Sez. 1, 01/08/2007, n. 16992).
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso di B.R. non tengono comunque conto della costante interpretazione giurisprudenziale, secondo cui gli istituti della sospensione, di cui agli artt. 295 e 337 c.p.c., non operano ove la causa pregiudicante e quella pregiudicata pendano davanti allo stesso ufficio giudiziario (nel caso in esame, la Corte d’Appello di Roma), potendo in questa evenienza avvenire il coordinamento fra i due giudizi connessi tramite il meccanismo della riunione dei procedimenti, ex art. 274 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 17/10/2013, n. 23573; Cass. Sez. 6 – 1, 23/09/2013, n. 21761). Disposta la riunione delle cause pendenti davanti allo stesso ufficio nello stesso grado, la questione pregiudiziale viene, invero, decisa coevamente – e in via logicamente prioritaria – con la questione pregiudicata, venendo a costituire, nel corpo dell’unica decisione, una questione logicamente preliminare (Cass. Sez. 2, 19/01/1979, n. 402).
11. Il settimo motivo del ricorso di B.R. ed il quarto motivo del ricorso di A.A.P. e Am.La. vanno esaminati congiuntamente, in quanto di identico contenuto.
11.1. Tali motivi sono del tutto infondati. Essi censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo stata omessa ogni pronuncia sulla nullità della delibera impugnata, che avrebbe imposto pesi e vincoli alle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva. La lettura della decisione della Corte d’Appello di Roma contiene, invece, un’esplicita affermazione secondo cui non è stato “pregiudicato alcun diritto reale spettante in via esclusiva ai titolari dei box”. L’omessa pronuncia, di cui si dolgono i ricorrenti, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, da far valere in cassazione attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, – presuppone un difetto di attività del giudice di secondo grado, e non, come nel caso di specie, che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza ma l’abbia risolta in modo che alla parte sembri giuridicamente non corretto, o non adeguatamente giustificato.
12. L’ottavo motivo del ricorso di B.R. e il quinto motivo del ricorso di A.A.P. e A.L. sono da trattare unitamente, perchè omologhi, e sono anch’essi infondati. Queste censure prospettano la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dovuta ad inesistenza della motivazione sul rigetto del gravame concernente l’annullamento della delibera impugnata, in quanto viziata da eccesso di potere.
La sentenza impugnata ha invece affermato che “deve quindi escludersi anche il vizio di eccesso di potere riproposto come motivo 4) essendo la deliberazione del 27/10/2004 intervenuta a disciplinare un’area già destinata ad uso comune secondo il regolamento di condominio”.
Al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse. Per quanto sinteticamente, la Corte d’Appello di Roma ha perciò spiegato come, con riguardo ad una delibera volta ad assegnare i posti auto nel cortile condominiale, non è ravvisabile alcun eccesso di potere, ovvero alcuna falsa deviazione della deliberazione assembleare dal suo modo di essere, essendo tale delibera, piuttosto, il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’assemblea di regolamentazione dell’uso della cosa comune.
12. Il ricorso di B.R. ed il ricorso di A.A.P. e Am.La. vanno pertanto rigettati. Non occorre provvedere sulla regolazione delle spese processuali del giudizio di cassazione, in quanto il Condominio di via (OMISSIS), non ha svolto attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le impugnazioni integralmente rigettate.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale di B.R. ed il ricorso incidentale di A.A.P. e Am.La..
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2017