Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2061 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. III, 29/01/2010, (ud. 14/12/2009, dep. 29/01/2010), n.2061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15918/2005 proposto da:

EMANUELE MASCHERPA SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente

del Consiglio di Amministrazione M.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA E. GIANTURCO 5, presso lo studio

dell’avvocato CARBONI SANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati LEONINI ANTONIO, LEONINI FERNANDO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMMERCIAL UNION ITALIA SPA;

– intimata –

sul ricorso 20869/2005 proposto da:

COMMERCIAL UNION ITALIA SPA, C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27, presso lo studio

dell’avvocato ROMAGNOLI MAURIZIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MORELLI ADRIANA giusta delega in calce al

controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– ricorrente –

contro

EMANUELE MASCHERPA SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA E. GIANTURCO 5, presso lo studio dell’avvocato CARBONI

SANDRO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LEONINI

ANTONIO, LEONINI FERNANDO con procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3157/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Quarta Civile, emessa il 28/09/2004, depositata il

10/12/2004; R.G.N. 3635/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato Antonio LEONINI;

udito l’Avvocato Maurizio ROMAGNOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 14 ottobre 1999 la Emanuele Mascherpa s.p.a., ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Milano, la propria assicuratrice Compagnia di Assicurazioni Norwich Unione Assicurazioni s.p.a.

chiedendone la condanna al pagamento – a titolo di indennizzo per un furto subito da essa attrice il 6 e il 7 settembre 1997 – della complessiva somma di L. 125.523.600, di cui L. 125.000.000 per merci sottratte, come da verbale di accertamento conservativo, e L. 523.600 per spese ripristino del sistema di allarme, nonchè al risarcimento de il danno conseguente al mancato puntuale adempimento, danno da quantificarsi nella rivalutazione monetaria della somma di cui alla condanna.

Ha esposto la attrice di essere proprietaria di uno stabile in (OMISSIS), adibito a deposito di materiale industriale di cui faceva commercio, che aveva provveduto a delimitare l’area di cui era proprietaria con una recinzione costituita da una parte in muratura ed altra in ferro, dell’altezza di circa due metri, e a proteggere sia il vialetto di accesso ed il perimetro del proprio capannone con un sistema di allarme a raggi infrarossi attivabile mediante chiave magnetica, sia l’interno del capannone con un sistema di allarme volumetrico a raggi infrarossi, sistemi di allarme collegati con l’istituto di vigilanza privata IVRI. La notte del (OMISSIS) (sabato) e la notte del (OMISSIS) (domenica) peraltro – ha riferito ancora l’attrice – ignoti ladri dopo essere penetrati nel magazzino adiacente a quello di sua proprietà, approfittando del fatto che era sfitto, vi avevano parcheggiato un grosso camion, indi avevano tagliato la recinzione perimetrale del suo capannone in una zona con visibilità limitata e, dopo avere neutralizzato i sistemi di allarme, erano penetrati nel capannone asportando materiale vario per un valore complessivo che in sede di accertamento conservativo il tecnico della Compagnia di assicurazioni convenuta aveva stimato in L. 125 milioni.

Avendo la Compagnia Norwich rifiutato il pagamento dell’indennizzo previsto dalla polizza in corso tra loro, negando l’operatività della copertura assicurativa, ha concluso l’attrice, si rendeva necessario il presente giudizio.

Costituitasi in giudizio la Compagnia Norwich Union Assicurazioni s.p.a. ha resistito a tale domanda, eccependo sotto vari profili la non operatività della garanzia assicurativa.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito Tribunale con sentenza 17 settembre – 12 novembre 2001, ha rigettato la domanda attrice.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla Emanuele Mascherpa s.p.a. e in via incidentale dalla Commercial Union Italia s.p.a.

(incorporante per fusione la Norwich Union Assicurazioni s.p.a.) la Corte di appello di Milano con sentenza 28 settembre – 10 dicembre 2004 ha rigettato l’appello principale con assorbimento di quello incidentale condizionato della appellata e condanna della appellante principale al pagamento delle spese di lite del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso con atto 16 giugno 2005 la Emanuele Mascherpa s.p.a.

affidato a due motivi e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale condizionato e illustrato da memoria, affidato a un unico motivo, la Commercial Union Italia s.p.a., con atto 22 luglio 2005.

La Emanuele Mascherpa s.p.a. resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Ha evidenziato la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione – per quanto ancora rilevante al fine del decidere – che con il secondo motivo la società Mascherpa sostiene che a torto il Tribunale ha concluso che la copertura assicurativa non è operante ai sensi dell’art. 4, lett. b) delle condizioni di polizza per essere stato il furto agevolato dal comportamento degli incaricati dell’Istituto di Vigilanza.

Assume l’appellante che il primo giudice ha affermato la sussistenza di un comportamento negligente, imprudente ed imperito del personale di vigilanza senza considerare che per la esclusione della garanzia ai sensi della clausola citata sono necessari il dolo o la colpa grave del personale di sorveglianza, di cui l’assicurato si avvale.

Aggiunge che gli stessi verbali avanti le autorità di polizia (allegati agli atti) dimostrano, che in merito ai fatti nessuno dei dipendenti o degli incaricati della sorveglianza è stato sospettato di avere posto in essere un comportamento complice o solo connivente, e che la conclusione cui il primo giudice è pervenuto non appare suffragata dal benchè minimo indizio probatorio e conclude, pertanto, che poichè l’onus probandi incombe su colui che ritiene che detta circostanza si sia verificata, l’eccezione avversaria dovrebbe essere respinta perchè la convenuta Norwich Union Assicurazioni, unico soggetto cui incombeva detto onere, non è riuscita a provare non solo in cosa si sostanziasse il comportamento colpevole degli incaricati della sorveglianza, ma anche e soprattutto in cosa detto comportamento sia da considerare grave.

L’esposto motivo – hanno affermato i giudici di secondo grado non merita accoglimento, atteso che non è vero che non siano stati forniti dalla Compagnia di assicurazioni e che non siano stati acquisiti al giudizio elementi di prova concernenti il comportamento tenuto nella circostanza dal personale incaricato della sorveglianza.

Vero è, invece, che dal tabulato dell’Istituto di Vigilanza, prodotto in primo grado dalla Compagnia assicuratrice si desume, come ha posto in risalto il primo giudice, che l’impianto d’allarme fu avviato alle ore 17,37 del (OMISSIS) e che già alle ore 22,16 dello stesso giorno scattò il primo di una serie di numerosissimi allarmi, che segnalavano una intrusione in atto. La suoneria dell’impianto continuò a segnalare la intrusione per tutta la notte del (OMISSIS) e proseguì durante l’intera giornata del (OMISSIS) ed anche nella mattinata del (OMISSIS) fino alle ore 14,54; a quest’ora, infatti, il tabulato prodotto dalla Compagnia assicuratrice registra l’ultimo segnale di allarme. A fronte di questi reiterati allarmi, che avvisavano l’intrusione in corso, il personale dell’Istituto di Vigilanza tenne un comportamento gravemente censurabile perchè, per quanto, consta in giudizio, non intervenne in luogo per eseguire i necessari controlli, ma restò inerte e si limitò a qualificare quei ripetuti segnali quali falsi allarmi.

Il primo giudice ha bensì affermato che gli incaricati dell’Istituto di Vigilanza si recarono in luogo, ma, per la verità, non vi è alcuna prova che il personale dell’Istituto di Vigilanza sia intervenuto ad ispezionare i luoghi. Da nulla risulta che gli incaricati della sorveglianza abbiano compiuto un qualche controllo sul luogo, nè il primo giudice ha indicato su quali elementi probatori ha basato l’anzidetta affermazione.

Il comportamento del personale incaricato della vigilanza fu, dunque, gravemente negligente ed imprudente, ed integra incontestabilmente gli estremi della colpa grave, come ha esattamente affermato il primo giudice, pure senza esplicitamente enunciare simile qualificazione.

Siffatto comportamento ha sicuramente agevolato la condotta degli ignoti ladri, i quali hanno potuto agire indisturbati per un tempo presumibilmente assai lungo (risulta che furono caricati su un grosso automezzo – che lasciò sul suolo le impronte dei propri pneumatici – ben cinquanta “bancali di merce” presumibilmente mediante la utilizzazione di un “muletto” ed un “trasporta bancali”).

Alla stregua della clausola 4 lettera b) delle condizioni di polizza, a mente della quale “sono esclusi dall’assicurazione i danni…

agevolati con dolo o colpa grave.. da incaricò della sorveglianza delle cose stesse o dei locali che le contengono” – hanno concluso i giudici di appello – il furto in questione risulta escluso dalla copertura assicurativa.

3. La ricorrente principale censura la sentenza impugnata denunziando, con il primo motivo, “omessa motivazione sulla clausola n. 4 delle condizioni generali di polizza, sulla nozione di sorveglianza e segnatamente d’incaricato della sorveglianza delle cose e dei locali che le contengono, per violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c. non avendo la Corte rilevato la nullità della condizione predisposta dalla Norwich Union Assicurazioni sulla esclusione della garanzia assicurativa in caso di danni commessi o agevolati con dolo o colpa grave da incaricati della sorveglianza delle cose assicurate o dei locali che le contengono (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

4. Il motivo è inammissibile.

Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente – nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 26 febbraio 2007,n. 4391; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270; Cass. 12 luglio 2005, nn. 14599 e 14590, tra le altre).

Contemporaneamente, non può tacersi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

E’ evidente, facendo applicazione dei principi in questione la inammissibilità delle censure svolte con il primo motivo.

Nè, al riguardo, è pertinente, al fine del decidere, la giurisprudenza richiamata dalla difesa della ricorrente principale, sulla rilevabilità, ex officio, della nullità di eventuali clausole contrattuali.

Come pacifico – infatti – la questione specifica era stata già sollevata innanzi al tribunale dalla difesa della odierna ricorrente principale.

Avendo il tribunale rigettato la domanda attrice sul presupposto della operatività e, quindi, la validità della clausola in questione è palese che era onere della soccombente Emanuele Mascherpa s.p.a. riproporre la eccezione all’attenzione del giudice di appello e censurare anche sul punto la sentenza di primo grado.

Posto che con l’atto di appello la sentenza del primo giudice non è stata censurata per avere ritenuto eventualmente implicitamente – la validità della clausola in discussione è palese che sulla questione specifica si è formato il giudicato.

Irrilevante, al fine del decidere, e di pervenire a una diversa soluzione della lite, da ultimo, è la circostanza che il tribunale non si sia pronunciato espressamente sulla validità della clausola.

Almeno sotto due – concorrenti – profili.

In primis si osserva – alla luce di una giurisprudenza più che consolidata – che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (in termini, ad esempio, Cass. 9 maggio 2007, n. 10636; Cass. 10 maggio 2007, n. 10696; Cass. 1 aprile 2003, n. 4972).

Come osservato sopra il tribunale ha rigettato la domanda attrice proprio sul presupposto della validità della clausola di cui si discute, per cui è palese che non si è a fronte a una omessa pronunzia ma un rigetto della eccezione in questione.

In secondo luogo, anche a prescindere da quanto precede, è palese che la omessa pronunzia sulla eccezione se del caso doveva essere fatta valere dalla parte soccombente in primo grado con l’atto di appello e non certamente con il ricorso per cassazione.

E’ noto, infatti, che sebbene sia consentito al giudice rilevare d’ufficio la nullità del contratto o di una sua clausola, tale rilievo resta precluso quando sulla questione della validità del contratto si sia formato il giudicato, anche implicito e quest’ultimo, a sua volta, si forma in tutti i casi in cui il giudice di primo grado, accogliendo (o rigettando) la domanda abbia dimostrato di ritenere valido il contratto o una sua clausola, e le parti in sede di appello non abbiano mosso alcuna censura inerente la validità del contratto (cfr. Cass. 20 agosto 2009, n. 18540).

5. Con il secondo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata lamentando “omesso esame di documenti decisivi:

contraddittorietà di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5); violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

6. Il motivo è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondato.

6.1. Quanto al primo profilo inammissibilità del motivo si osserva che giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui – ancora una volta senza alcuna motivazione – totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Contemporaneamente, sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 c.p.c.) – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parete ricorrente pur denunziando nella intestazione del motivo in esame “contraddittorietà di motivazione” si è astenuta, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

6.2. Sotto il secondo manifesta infondatezza della censura si osserva che il giudice di appello ha espressamente escluso che esistesse in atti una idonea prova “che gli incaricati della sorveglianza abbiano compiuto un qualche controllo sul luogo” evidenziando – altresì – che il “il primo giudice non ha indicato su quali elementi probatori ha basato l’anzidetta affermazione”.

In un tale contesto è palese che del tutto correttamente i giudici del merito hanno escluso che la prova dei detti interventi potesse essere tratta dalla relazione del perito incaricato dalla società assicuratrice dell’accertamento del danno.

Lo stesso – infatti – si è limitato e non poteva, del resto essere altrimenti, certo essendo che è intervenuto solo in un secondo momento, dopo che il furto era stato già portato a compimento e denunciato a esporre, nella propria relazione, quanto riferitogli dalla parte assicurata.

Al riguardo, del resto, non può tacersi che non solo la ricorrente non ha dato alcuna prova degli interventi del personale di sorveglianza con la indicazione del personale intervenuto, delle ore del sopralluogo, della descrizione dei luoghi compiuta dal detto personale, ma è pacifico in causa, altresì, che detto personale aveva ritenuto trattarsi di falsi allarmi (e, quindi, tali da non giustificare alcun intervento) tanto da chiedere a M. L. istruzioni per la disattivazione dell’allarme.

7. Risultato infondato in ogni sua parte il ricorso principale deve – in conclusione – rigettarsi, con assorbimento di quello incidentale espressamente condizionato all’eventuale accoglimento di quello incidentale, e condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

riunisce i ricorsi;

rigetta il ricorso principale;

dichiara assorbito quello incidentale;

condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione in favore della contro ricorrente – ricorrente incidentale liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 6.000,00 per onorari, e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione 3^ civile della Corte di cassazione, il 14 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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