Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20605 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 31/07/2019), n.20605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4312/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle, Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente –

contro

C.M.R., G.P., G.A., tutte

eredi del defunto ing. G.D., con l’avv. prof. Giovanni

Puoti, nel domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla via

Panama, 68;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Lazio, sez. n. 29, n. 4077/29/14, depositata il 18 giugno 2014 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 marzo 2019

dal Co: Marcello M. Fracanzani.

Fatto

RILEVATO

In qualità di eredi dell’originario contribuente, le odierne controricorrenti impugnavano il silenzio rifiuto opposto all’istanza di rimborso per le trattenute alla fonte sul trattamento di fine rapporto, per la parte da considerarsi “trattamento assicurativo” previsto dal CCNL Dirigenti Aziende Industriali del 16 maggio 1985, art. 12, e istituito con accordo Enel – Fndai del 16 maggio 1986, al quale chiedeva fosse applicata l’aliquota del 12,50% limitatamente alla differenza fra il capitale erogato e i premi riscossi, ridotto del 2% per ogni anno successivo al decimo dall’accordo.

Nel corso del giudizio, la domanda era precisata con richiesta di applicazione dell’aliquota del 12,50% sulla sola componente della prestazione rappresentata dal rendimento da capitale.

La CTP accoglieva il ricorso, condannando l’Agenzia delle entrate al rimborso della differenza fra le trattenute operate dall’Enel e l’ammontare delle ritenute calcolate con l’aliquota del 12,50%, ritenendo la capitalizzazione della previdenza non equiparabile al reddito da lavoro dipendente, ma come derivante da un contratto gestito secondo i sistemi tecnico-finanziari retto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4, nel testo vigente all’epoca.

L’appello proposto dall’Ufficio era rigettato dalla CTR con sentenza n. 154/29/08.

Parimenti, questa Corte, a Sezioni Unite, rigettava il ricorso dell’Agenzia avverso la predetta sentenza di secondo grado, con pronuncia n. 13659/2011.

Nell’inerzia dell’Amministrazione, le contribuenti esperivano azione di ottemperanza ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, chiedendo adottarsi i provvedimenti necessari per il recupero della somma loro spettante.

Si costitutiva l’Ufficio, nella sostanza contestando l’immediata esecutività della sentenza, che necessita di ulteriori calcoli ed indagini per essere adempiuta, quale l’effettiva parte dell’investimento di capitale, l’attualizzazione, l’incremento annuo costo della vita, la conversione degli interessi di resa in capitale ed altro.

Con la sentenza qui all’esame la CTR ha ripercorso la vicenda processuale, evidenziando i profili passati in giudicato e da eseguirsi ed ha preso atto della natura “chiusa” del giudizio di ottemperanza, concludendo con l’ordine all’Agenzia delle entrate di dare puntuale esecuzione alla sentenza divenuta definitiva CTR Lazio n. 154/29/08.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, con unico motivo, cui replica la parte contribuente con tempestivo controricorso. In prossimità dell’udienza la parte contribuente ha depositato memoria, evidenziando che nelle more del giudizio è stata data attuazione alla sentenza da ottemperare, le somme sono state corrisposte alle originarie ricorrenti, sicchè concludeva in subordine per l’inammissibilità per sopravvenuta cessazione della materia del contendere. Anche il patrono pubblico ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Con l’unico motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, e art. 115, in parametro al cit. art. 360 codice di rito civile, comma 1, n. 4.

Più specificamente, il patrono erariale premette essere questione di diritto (e non inammissibile profilo di fatto) il contestare l’attività interpretativa del giudicato svolta dal giudice dell’ottemperanza, rilevando la natura meramente dichiarativa ed interpretativa della sentenza da ottemperare, per cui il giudice dell’ottemperanza – nella sentenza qui gravata – era tenuto a verificare “se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo, sul mercato, del capitale accantonato, e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego”.

In verità, dall’esame della sentenza da eseguirsi (n. 154/29/08) e dell’ottemperanza (n. 4077/29/14) emerge chiaramente come sia stato impartito un ordine di rimborso da liquidarsi in base ad un calcolo indicato precisamente nelle sue modalità di esecuzione. Ed in questo senso, il giudice dell’ottemperanza era chiamato a verificare se tale precetto fosse stato o meno eseguito, profilo cui si è regolarmente attenuta la sentenza qui scrutinata. Solo all’esito di tale adempimento, in base ad un provvedimento di liquidazione, sorge l’interesse processuale e possono trovare cittadinanza le osservazioni del patrono erariale circa l’attività interpretativa del giudicato che spetta al giudice dell’ottemperanza (come quaestio juris) evocato dalla parte (o da entrambe le parti) che ritenga il provvedimento attuativo non corrispondente al precipitato dispositivo della sentenza. In altri termini, le doglianze di parte ricorrente presuppongono che vi sia stata già esecuzione della sentenza e che sia avvenuta in modo difforme dalla sentenza. Per contro, la sentenza qui gravata era chiamata a decidere solamente se vi fosse stata o meno esecuzione e, ove non vi fosse stata, adottare i provvedimenti per darvi concreta attuazione, cosa che è stata fatta mediante ordine di esecuzione entro un termine e con nomina di commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia dell’Amministrazione finanziaria. Tale, in fatti, è lo scopo ed il senso del giudizio di ottemperanza nel processo tributario (cfr. Cass. n. 646/2012).

Preme ricordare che – anche recentissimamente – questa Corte ha conosciuto di identico affare, statuendo l’inammissibilità del ricorso erariale.

Ed invero a fronte di tale interpretazione del giudicato, appare evidente che il motivo di ricorso è palesemente inammissibile giacchè, attraverso l’asserita violazione del procedimento di ottemperanza tributaria, pretende in realtà di sindacare ex novo la correttezza della sentenza passata in giudicato. Il motivo attinge infatti alla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 13659/2011 che ha rigettato il ricorso avverso la CTR di rigetto dell’appello della pronuncia della CTP, dove – sul punto – si è quindi formato il giudicato, deducendo da un passo della medesima la necessità di un ulteriore accertamento di fatto (l’impiego del capitale accantonato) (cfr. Cass. V, n. 5120/2019).

Il ricorso è quindi inammissibile e tale va dichiarato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio a favore della parte contribuente che liquida in Euro cinquemila/00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15% oltre ad Iva e cpa, come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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