Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20603 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 31/07/2019), n.20603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G. Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5001/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. in Concordato Preventivo.

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 3876/35/14, depositata l’11 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 marzo 2019

dal Cons. Dott. Nocella Luigi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In esito ad attività di controllo sia documentale che ispettiva eseguita ai sensi del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e conclusa con p.v. del 10.07.2012 l’Agenzia delle Dogane, Ufficio di Como procedeva alla revisione delle bollette di accertamento ed emetteva nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., quale importatrice, e della CAD Liguria s.r.l. quale rapp.te doganale della prima, avviso di rettifica N. (OMISSIS) e provvedimento di irrogazione sanzioni N. (OMISSIS), con i quali veniva contestata, per l’anno 2009, la mancata inclusione nel valore delle merci (articoli di cancelleria, oggetti da regalo e similari), acquistate da produttori operanti in paesi extra UE (Repubblica Popolare Cinese), dell’importo delle royalties dovute dalla società importatrice licenziataria alle numerose imprese licenzianti, ciascuna titolare di uno o più marchi relativi a diverse serie di prodotti), con conseguente applicazione delle sanzioni ex art. 303 TULD, comma 3.

La CTP di Como accoglieva il ricorso proposto dalla (OMISSIS) e dalla CAD Liguria, ed annullava entrambi i provvedimenti per la ritenuta illegittimità della notifica congiunta di avvisi di rettifica e p.v.c.. La decisione veniva poi confermata, in seguito ad appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, dalla CTR della Lombardia con la sentenza oggetto del presente giudizio. In particolare i Giudici d’appello, richiamate genericamente le norme regolatrici della fattispecie negli artt. 28-36 CDC e 141 e 181bis delle Disposizioni di Applicazione del Codice Doganale Comunitario (d’ora in avanti DAC e CDC), anche alla luce del Commento TAXUD 800/2002, hanno concluso che non sarebbero ravvisabili elementi integranti il controllo condizionante sul produttore cinese come inteso dalle menzionate TAXUD, in quanto “Mentre da un lato è emerso che il produttore cinese, sulla base delle indicazioni dei licenzianti, avrebbe dovuto rispettare un codice di natura etica sia per evitare lo sfruttamento di lavoratori minorenni e garantire la sicurezza degli impianti di produzione sia per un controllo di qualità dei marchi utilizzati non è stata fornita dall’Ufficio alcuna prova concreta dei legami cogenti in materia di controlli incisivi nell’ambito dell’organizzazione contabile, gestionale ed amministrativa nei confronti del produttore cinese”. Ne consegue, secondo la CTR, che le royalties pagate dalla licenziataria non potrebbero essere considerate condizioni imprescindibili di vendita e quindi non dovrebbero essere incluse nel valore di dogana.

Peraltro, rileva la CTR, non sussisterebbero nella specie “motivi di particolare urgenza” idonei a giustificare la notifica congiunta di p.v.c. ed avvisi di rettifica senza previa attivazione del contraddittorio preliminare ed il rispetto del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 come modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 92, comma 2; conseguendone anche sotto tale profilo l’illegittimità degli atti impugnati.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ricorre per cassazione sulla base di tre motivi.

L’intimata non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce violazione e

falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4-bis e L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per non avere la CTR, così come i primi Giudici, considerato che l’avvenuta proposizione da parte della (OMISSIS) s.r.l. di istanza a concordato preventivo, che poteva anche dar luogo, ove non accolta, a dichiarazione di fallimento, costituiva il requisito dell’urgenza così come richiesto da entrambe le norme che imponevano in via generale la concessione di un termine dilatorio alla società accertata.

Con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. degli artt. 29 e 32 p.1 lett. c e p.5 Reg. CEE n. 2913/1992 e degli artt. 160 e 143 DAC, nonchè dell’art. 2729 c.c. e dei principi in tema di onere della prova: contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, sarebbero stati adeguatamente provati dall’Agenzia il controverso rapporto di controllo del licenziante sul produttore-venditore ed i rapporti trilateri e/o collegamenti negoziali tra le tre società coinvolte nell’operazione (in particolare la venditrice Cartorama HK Ltd., che selezionava in Cina i produttori delle varie merci, era interamente controllata dalla (OMISSIS) s.r.l.), avendo invece la CTR trascurato di considerare gli elementi sintomatici secondo le citate indicazioni TAXUD già descritti in tutte le difese dell’Agenzia, che in ricorso si ripropongono mediante sintesi di clausole contenute nei singoli contratti di licenza (pagg.17-21); elementi che avrebbero dovuto indurla ad identificare nelle licenzianti le parti forti controllanti direttamente o indirettamente il fornitore estero, che a sua volta sarebbe la longa manus della licenziante medesima; così come non avrebbe considerato che tali condizioni erano tali da impedire ai produttori cinesi di realizzare i prodotti ove non adatti ai loro standards produttivi. Infine l’Agenzia si duole che la CTR abbia preteso la prova, che sarebbe impossibile, dei controlli esercitati all’estero dalla licenziante sul produttore-fornitore capaci di condizionare la sua organizzazione produttiva, così violando le norme che regolano la distribuzione degli oneri probatori.

Infine con il terzo motivo deduce, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 303, commi 1 e 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 in relazione all’ingiusto annullamento delle sanzioni, conseguito all’erronea applicazione delle norme poste a fondamento degli avvisi di rettifica impugnati.

2. Il primo motivo è infondato.

Il testo del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4bis, in vigore dal 24.01.2012, così recita: “Nel rispetto del principio di cooperazione stabilito dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, dopo la notifica all’operatore interessato, qualora si tratti di revisione eseguita in ufficio, o nel caso di accessi – ispezioni – verifiche, dopo il rilascio al medesimo della copia del verbale delle operazioni compiute, nel quale devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base delle irregolarità, delle inesattezze, o degli errori relativi agli elementi dell’accertamento riscontrati nel corso del controllo, l’operatore interessato può comunicare osservazioni e richieste, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla data di consegna o di avvenuta ricezione del verbale, che sono valutate dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso di cui al successivo comma 5”; il successivo comma 7 impone che “La rettifica può essere contestata dall’operatore entro trenta giorni dalla data di notifica dell’avviso”.

Orbene, risulta dalla stessa narrativa del ricorso che la CTP di Como aveva ritenuto la nullità dell’avviso per avere l’Agenzia notificato insieme il pvc e l’avviso di rettifica, così violando il combinato disposto delle norme sopra riportate.

Invero Cass. sez. V 15.03.2013 n. 6621 ha ritenuto che il rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, si evince dalle previsioni espresse del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo. Sul punto poi è stato recentemente affermato da questa Corte che “In materia doganale, il rispetto del principio del contraddittorio nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente previsto dal Reg. (CEE) n. 2913 del 1992 (codice doganale comunitario) sostituito dal Reg. (UE) n. 952 del 2013 (codice doganale dell’Unione) deriva dal disposto del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e costituisce, in ogni caso, un principio generale del diritto unionale, che trova applicazione tutte le volte che l’Amministrazione possa assumere nei confronti di un soggetto un atto lesivo” (Cass. sez. VI-V ord. 23.05.2018 n. 23582, nonchè, più in generale, Cass. sez. V ord. 8.05.2019 n. 12095). D’altronde la Corte ha altresì ribadito che “Agli avvisi di rettifica in materia doganale precedenti all’entrata in vigore del D.L. n. 1 del 2012, conv., con modif., in L. n. 27 del 2012, non si applica la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, perchè, in tale ambito, opera lo “ius speciale” di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, nel testo vigente “ratione temporis”” (Cass. sez.V ord. 25.01.2019 n. 2175), riconoscendo la specialità ed autonomia, oltre che l’adeguatezza, della tutela offerta dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 rispetto a quella predisposta dalla L. n. 212 del 2000, art. 12 (principio già compiutamente ed esplicitamente enunciato da Cass. sez. V 10.04.2013 n. 8699), che è applicabile, come noto, ai soli accertamenti eseguiti previe verifiche presso i locali aziendali, laddove nella fattispecie le operazioni di verifica si erano limitate a richieste di produzioni documentali da parte dell’Agenzia.

Proprio in virtù di tale specialità della disciplina e della particolare tutela offerta dalla normativa comunitaria, il riferimento alla presenza o meno di una causa di giustificazione dell’omessa previa notificazione del processo verbale e del rispetto del termine dilatorio di cui al comma 4bis del menzionato articolo non ha alcuna rilevanza, non prevedendo detta disciplina alcuna causa di deroga al rispetto delle formalità dirette a consentire il contraddittorio endo-procedimentale.

Sotto altro profilo sia nelle difese di primo grado che nel successivo atto d’appello, come pure nel ricorso innanzi a questa Corte, l’Agenzia non ha mai contestato il mancato rispetto del termine dilatorio, ma ha sempre dedotto (e lamentato la mancata considerazione del)la esistenza di una condizione giustificativa dell’urgenza dell’emissione del provvedimento, nella specie l’imminente possibile ammissione della Società alla procedura di concordato preventivo; sicchè, una volta esclusa la derogabilità per motivi d’urgenza delle formalità previste dal citato comma 4bis, il motivo di ricorso deve essere respinto.

Poichè la reiezione del primo motivo determina la conferma della pronuncia oggetto di ricorso nella parte in cui ha affermato la nullità del provvedimento impugnato, gli altri motivi di ricorso, che attengono al contenuto del provvedimento medesimo ed alla ratio decidendi alternativa posta a fondamento della sentenza impugnata, debbono ritenersi inammissibili per carenza di interesse.

Poichè le parti intimate non sì sono costituite, non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili

gli altri due.

Nulla per le spese di questa fase del giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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