Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20601 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 07/10/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 07/10/2011), n.20601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9477/2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

MECA CARNI DI GARGIULO CARMINE & C. SAS;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11/2006 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 27/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 836/30/2002 veniva respinto il ricorso proposto da MECA Carni s.a.s.

di Gargiulo Carmino e C. avverso l’avviso di rettifica con il quale era stata recuperata una maggiore imposta IVA per l’anno 1994 di L. 1.797.781.000 oltre sanzioni pecuniarie ed interessi, notificato il 27.12.1999 a seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza, compendiate nel PVC allegato all’atto notificato, dalle quali era emerso l’utilizzo da parte della società di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

La Commissione tributaria della regione Campania, investita dell’appello proposto dalla società contribuente, con sentenza 27.1.2006 n. 11, in totale riforma della decisione di prime cure, annullava l’avviso di rettifica rilevando che l’Amministrazione finanziaria -avuto riguardo ai ridotti tempi intercorsi tra la trasmissione del PVC e la emissione dell’avviso di accertamento- aveva delegato in toto alla Guardia di Finanza l’attività di accertamento, recependo acriticamente le risultanze del PVC a sua volta carente di alcuni dati (non avendo i militari valutato e quantificato le rimanenze iniziali, la merce acquistata e quella venduta, raffrontando i dati con le rimanenze finali e tenendo conto dei normali sfridi, nè valutato i prezzi di acquisto e vendita): in considerazione di ciò la CTR non aveva ritenuto di riscontare “fatti gravi, precisi e concordanti tali da poter far ritenere che nel caso in esame non può parlarsi di motivazione per relationem” come rilevato invece nella sentenza di primo grado. I Giudici di appello aggiungevano “ad abudantiam” che alcune sentenze della CTP di Napoli avevano accolto il ricorso presentato avverso analoghi avvisi impugnati da Meridiana s.a.s. “che risulta segnalata anche nel presente procedimento” e che pertanto una parte dell’importo imponibile risultante dal PVC era stato giudicato con esito favorevole alla contribuente.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate, deducendo un unico motivo articolato n plurime censure, con alto ritualmente consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 14.3.2006 e notificato presso il domicilio eletto dalla contribuente D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, in data 21.3.2006.

Non si è costituita la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Agenzia delle Entrate ha denunciato i seguenti vizi di legittimità della sentenza di appello:

1 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2 – illogicità e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia 3 – violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione.

La ricorrente supporta la prima censura richiamando la giurisprudenza di questa Corte in materia di motivazione “per relationem” dalla quale si sarebbe immotivatamente discostata la CTR della Campania.

Rileva, quanto alla terza censura che i Giudici avrebbero ritenuta carente e disarticolata la documentazione prodotta dall’Ufficio dunque non probante la pretesa fiscale, sebbene tali rilievi non fossero stati dedotti dal contribuente. Quanto alla ritenuta “carenza di alcuni dati” tale da rendere inidoneo il materiale probatorio a supportare la pretesa fiscale, la ricorrente rilevava la lacunosità dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata che neppure indicava quale fossero gli elementi decisivi mancanti.

2. La sentenza impugnala (che necessita di attenta e laboriosa lettura ai fini della comprensione degli argomenti svolti) individua due distinti argomenti motivazionali a supporto della decisione: a) l’avviso di rettifica deve considerarsi viziato da nullità in quanto l’Ufficio finanziario non ha esercitato i poteri di accertamento delegando tale attività ai militari della Guarda di Finanza e recependo senza alcun ulteriore apporto istruttorio e critico le risultanze indiziarie indicate nel PVC; b) la pretesa tributaria non è fondata su idonee prove dei fatti costitutivi (inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali) in quanto il PVC allegato all’avviso di rettifica “era carente di alcuni dati…come risulta anche dalle affermazioni degli stessi militari, ove asserivano che alcuni rilievi sono stati fatti solo in parte e che molti dati non risultanti agli atti perchè provengono da segnalazioni di altri Comandi… ” (cfr. motivazione sentenza CTR).

2.1 La prima delle due “rationes decidendi” va incontro al vizio di falsa applicazione delle norme che regolano l’esercizio della potestà di accertamento dell’Ufficio finanziario ed i requisiti di validità dell’avviso di rettifica in materia di IVA. Costituisce, infatti, principio di diritto costantemente affermato da questa Corte che “in tema di avviso di rettifica da parte dell’amministrazione finanziaria di dichiarazione IVA, la motivazione degli atti di accertamento per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 6.6.2003 n. 10205; id. 5^ sez. 14.11.2003 n. 1743; id.

5^ sez. 28.11.2005 n. 25146). Ed infatti “l’atto amministrativo finale di imposizione tributaria, il quale sia il risultato dell’esercizio di un potere frazionato anche in poteri istriittori attribuiti, in proprio o per delega, ad altri uffici amministrativi, è legittimamente adottato quando, munendosi di un’adeguata motivazione, faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali: tale principio è desumibile sia dalle norme generali sull’attività amministrativa poste dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (applicabili, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario), alla stregua delle quali il titolare dei poteri di decisione non è tenuto a reiterare l’esercizio dei poteri, d’iniziativa e, soprattutto, istruttori, che hanno preparato la sua attività; sia dalle norme tributarie generali di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 12; sia, infine – per quanto concerne in particolare l’IVA -dalle disposizioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 51 e 52, che, nel regolare minuziosamente la fase istruttoria del procedimento di accertamento, prevedono che gli uffici IVA si avvalgano delle prestazioni cognitive di altri organi, di altre amministrazioni dello Stato e della Guardia di finanza” (cfr. Corte cass. 5^ sez. 23.1.2006 n. 1236; id. 5^ sez. 21.3.2008 n. 7766; id. 5^ sez. 10.2.2010 n. 2907).

Orbene i Giudici territoriali ritenendo che le fattispecie considerate dalle norme di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56, imponessero un autonomo procedimento amministrativo da parte dell’Ufficio finanziario competente ad emettere l’avviso di rettifica, hanno formulato un errato giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico in contrasto con l’interpretazione di esse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, risultando in conseguenza la sentenza impugnata affetta da vizio di legittimità per “error in judicando” secondo il parametro previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), (falsa applicazione).

2.2. Quanto al motivo con il quale viene dedotto vizio di illogicità della motivazione, nel quale deve ricondursi anche la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., avente ad oggetto la parte motiva della sentenza nella quale si da atto della incompletezza dei dati riportati nel PVC e nella documentazione prodotta dall’Ufficio (la censura prospettata sub specie di “errar in procedendo” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non investe, infatti, un’autonoma “rullo decidendo, venendo piuttosto a confluire nella critica mossa alla insufficiente esplicazione degli argomenti logici posti a fondamento del giudizio di inidoneità probatoria degli elementi di fatto indicati a sostegno della pretesa tributaria), lo stesso deve ritenersi inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c..

Con il motivo di impugnazione la parte ricorrente contesta ai Giudici territoriali di aver escluso la efficacia probatoria degli elementi indicati nell’avviso di rettifica e nel PVC, da un lato affermando a carenza e disarticolazione della documentazione prodotta dall’Ufficio, senza tuttavia dare conto delle ragioni sulle quali viene fondalo tale giudizio conclusivo; dall’altro desumendo -illogicamente – la inidoneità probatoria dei fatti allegati, dal tempo impiegato per la redazione dell’avviso di rettifica asserendo che l’avviso ed il PVC erano sforniti di “alcuni dati” senza tuttavia dare conto di quali dati e soprattutto del carattere determinante rivestito da tali dati rispetto a quelli risultanti dai documenti acquisiti al giudizio.

Orbene se va ribadito il principio secondo cui “ai fini della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti, alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione slessa” (cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 23.1.2006 n. 1236), non è dubbio che la parte che lamenti la temeva motivazionale in relazione al predetto contenuto “dinamico” sotto il profilo della omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, è onerata non soltanto alla specifica indicazione della prova o del documento (mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte Cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966;

id. 1^ sez. 13.11.2009 n. 24178; id. 3^ sez. ord. 4.9.2008 n. 22303;

id. 3^ sez. 25.5.2007 n. 12239) e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (Corte Cass. 1^ sez. 17.52006 n. 11501) ma deve provvedere alla completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti/documenti in modo da rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte il vizio dedotto (Corte Cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6^ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1^ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav.

21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388), costituendo massima consolidata di questa Corte che “il ricorso per cassazione – in ragione del principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità, l’insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, alfine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti e di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso -e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, inclusa la sentenza impugnata- di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti” (cfr. Corte cass. 3^ sez. 24.5.2006 n. 12362; id. 3^ sez. 28.6.2006 n. 14973; id. 1^ sez. 17.7.2007 n. 15952; id. sez. lav. 27.2.2009 n. 4849; id 2^ sez. 14.10.2010 n. 21224).

Il ricorso, relativamente al dedotto vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), risulta del tutto carente sotto il profilo della autosufficienza in quanto è interamente incentrato sulla affermazione della esistenza di “organizzazioni esclusivamente funzionali alle frodi fiscali, la cui attività consiste nella emissione di fatture false”, ma omette del tutto di individuare il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal Giudice di merito, rendendo in conseguenza impossibile la verifica della erronea valutazione del documento da parte dei Giudici di appello in ordine al giudizio di insufficienza ed inadeguatezza probatori degli elementi circostanziali che, a dire della ricorrente, rivestirebbero i requisiti della prova presuntiva ex art. 2729 c.c..

Non raggiunge il requisito di autosufficienza del motivo la riproduzione (pag. 7 ricorso) delle conclusioni rassegnate dai militari nel PVC che costituiscono all’evidenza un soggettivo giudizio basato su di una ipotesi ricostruttiva dei fatti accertati che, in difetto di trascrizione delle precedenti parti del verbale, permangono ignoti.

Pertanto, rimanendo precluso il sindacato di legittimità sul vizio motivazionale dedotto in relazione ad una delle due “rationes decidendo della sentenza impugnata – idonea ex se a fondare la pronuncia di annullamento dell’avviso di rettifica, il ricorso deve essere rigettato, non dovendo provvedere questa Corte alla liquidazione delle spese di lite in difetto di costituzione della parte intimata.

PQM

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze;

– rigetta il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate;

– nulla sulle spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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