Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 206 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. I, 09/01/2020, (ud. 23/09/2019, dep. 09/01/2020), n.206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16562/2016 proposto da:

M.A.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Panama n.

68, presso lo studio dell’avvocato Puoti Giovanni, rappresentata e

difesa dall’avvocato Baldini Andrea, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Ferrari

n. 12, presso lo studio dell’avvocato Smedile Sergio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Volponi Gaudenzio,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del 23/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 21-11-2013 il Tribunale di Parma, all’esito di espletamento di CTU medico-legale, rigettava il ricorso proposto da M.A.M. ex art. 404 c.c. per la nomina dell’amministratore di sostegno della madre R.L..

2. Con decreto n. 4688/2015 depositato il 23-12-2015 e comunicato a mezzo pec il 24-12-2015 la Corte d’appello di Bologna, pronunciando sul reclamo proposto da M.A.M. avverso il citato decreto del Tribunale di Parma, rigettava il reclamo, dopo aver revocato l’ordinanza di rinnovazione della CTU, rigettato l’istanza di ricusazione dei consulenti tecnici d’ufficio e dichiarato inammissibile la querela di falso contro il provvedimento presidenziale 6-10-2015, e condannava la reclamante alla rifusione delle spese di lite e di CTU. La Corte territoriale esponeva pure che il Tribunale di Parma aveva motivato la propria decisione anche in base alle conclusioni della CTU psichiatrica, che aveva escluso qualsiasi deterioramento mentale di R.L., previo rigetto dell’istanza di ricusazione presentata dalla ricorrente perchè proposta tardivamente e con unico motivo, ravvisato irrilevante, costituito dalla denuncia penale contro il CTU e l’ausiliario del CTU, nonchè previo rigetto dell’eccezione di nullità della CTU sollevata dalla M.. Circa detta eccezione il Tribunale rilevava che era stato garantito il contraddittorio, avendo il CTP della ricorrente rinunziato a presenziare al test ed essendo stato autorizzato il deposito di memorie tecniche con provvedimento 22/11/2012. La Corte d’appello dava anche conto dettagliatamente dell’iter processuale del giudizio di impugnazione, durante il quale il Collegio d’appello aveva inizialmente ritenuto di rinnovare l’indagine peritale, pur non ravvisando fondate le censure di nullità sollevate dalla reclamante. All’esito della declaratoria di inammissibilità e di rigetto delle istanze di ricusazione di tre consiglieri, della rinuncia all’incarico dei tre consulenti tecnici nominati e della successiva rinuncia all’incarico anche dei tre C.T.U. successivamente nominati in sostituzione, la Corte d’appello, nel confermare le ordinanze interlocutorie del marzo e del luglio 2015, riteneva la causa matura per la decisione, dopo aver concesso alle parti nuovo termine per il deposito di note riepilogative, constatato lo stallo decisorio nella prosecuzione dell’indagine peritale e ravvisata oggettivamente dilatoria la condotta processuale della reclamante, sì da rendere impossibile l’apprezzamento del concreto interesse della stessa ad ottenere la rinnovazione della C.T.U., disposta dalla Corte territoriale su domanda, per l’appunto, della reclamante. Il Collegio d’appello ribadiva quanto espresso nell’ordinanza 3-7-2013 circa l’insussistenza della nullità della C.T.U. espletata in primo grado, rimarcando che il contraddittorio era stato garantito mediante la concessione dei termini menzionati nel decreto reclamato e che nella relazione peritale era stato dato conto della tesi tecnica della parte reclamante. La Corte territoriale condivideva, come il Tribunale, la risposta del primo CTU al quesito medico, ritenendola solida e convincente in quanto basata su esauriente esame medico e discussione delle contrapposte tesi, non smentita da alcun documento medico di segno contrario, nonchè fondata sul riscontro della lucidità della perizianda in sede di audizione personale, come si evinceva dalla lettura del relativo verbale.

3. Avverso questo decreto M.A.M. propone ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., resistito con controricorso da R.L..

4. In data 13 aprile 2017 la ricorrente ha depositato “note aggiuntive”, allegando nuovi documenti.

5. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

6. La Procura Generale non ha presentato conclusioni scritte.

7. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente denuncia una serie di violazioni avvenute nel corso del procedimento di primo grado, ridondanti, a suo avviso, in cause di nullità assoluta del relativo giudizio, non rilevate dal Collegio d’appello e pertanto ridondanti anche in causa di nullità assoluta del giudizio di secondo grado. Deduce, richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 51 c.p.c., allegando che il C.T.P. di parte R. aveva ammesso di avere stipulato un contratto di comodato con il Dott. Z., ausiliario del C.T.U. nominato in primo grado, Dott. T., e quindi di avere dei rapporti economici con il Dott. Z. prima che questi fosse nominato come ausiliario del C.T.U. nel giudizio di primo grado. Rimarca che il Dott. Z.G. è indagato – dal 18/09/2012 – quale autore mediato per il delitto di falsa perizia (art. 373 c.p.) in relazione alla consulenza tecnica d’ufficio espletata dal Dott. T. nel procedimento di primo grado. Rileva che il C.T.U. non aveva specificato all’atto dell’accettazione dell’incarico che il Dott. Z. sarebbe stato il suo ausiliario e quindi la ricorrente non aveva potuto verificare eventuali incompatibilità del Collegio peritale designato dal primo giudice assegnatario del procedimento e proporre istanza di ricusazione entro i 3 giorni dalla nomina del C.T.U.. Adduce che i giudici del Tribunale di Parma erroneamente non avevano rilevato l’incompatibilità incorrendo in palese vizio di motivazione e di erronea interpretazione delle leggi vigenti, senza provvedere alla richiesta sostituzione del C.T.U. (pag. n. 10 ricorso). La violazione della garanzia di imparzialità-terzietà del giudice o del C.T.U. è idonea ad integrare nullità assoluta che può essere fatta valere a prescindere dalla proposizione dell’istanza di ricusazione. Ad avviso della ricorrente “Anche il Collegio giudicante della Corte d’Appello di Bologna che – con artifici vari – si è “appiattito” sulle conclusioni espresse dal Giudice A. di Parma – non ha svolto correttamente il proprio compito non riconoscendo l’incompatibilità del Collegio peritale designato dal Giudice C. e mai citando le apparenti manipolazioni che appaiono evidenti nei test effettuati dall’ausiliario Z.. Tali anomalie erano state contestate tramite innumerevoli istanze, verbali e con una ricusazione” (pag.n. 11 ricorso).

La ricorrente denuncia la violazione dell’art. 196 c.p.c. per non avere i giudici del Tribunale di Parma, succeditisi nel tempo a seguito dell’astensione del primo giudice designato e poi anche del secondo, provveduto a sostituire il Collegio peritale. Deduce che “Il Collegio giudicante in Corte d’Appello a Bologna non si è comportato in modo corretto non avendo rilevato tale manifesta violazione compiuta in primo grado dai Giudici Mo. ed A.”. La ricorrente denuncia la nullità assoluta del procedimento di primo grado e di quello di secondo grado in quanto “l’incompatibilità del Collegio peritale nominato dal Giudice C. al Tribunale di Parma è incontestabile ed inequivoca. Sia l’ordinanza depositata dal Giudice A. in data 21 febbraio 2013 che il decreto di rigetto del Collegio giudicante della Corte d’Appello di Bologna sono di fatto basati sulle risultanze della perizia effettuata da tale Collegio Peritale che, oltretutto, ha modificato la domanda posta dal Giudice C. rifiutandosi di valutare se “… tenuto conto della entità del patrimonio e del reddito e della eventuale complessità della gestione delle risorse patrimoniali e reddituali si trovi in una condizione di impossibilità permanente o anche solo temporanea di provvedere ai propri interessi per cui debba ritenersi necessaria la protezione di un amministratore di sostegno…”. L’accadimento combinato derivante dal non avere il Collegio giudicante della Corte d’Appello di Bologna rilevato nè la violazione del art. 51 c.p.c., nè la violazione dell’art. 196 CPC ha ingenerato un particolare sgomento nella Dott.ssa M.A.M. ” (pag. n. 13 ricorso).

La ricorrente denuncia, a suo dire, gravissime violazioni del contraddittorio verificatesi quando il procedimento era assegnato al giudice per primo designato e concretatesi nel non aver consentito che assistesse all’audizione della R. e ad una successiva udienza l’ing. Ce.Lu., procuratore speciale della M., come assume fosse stato verificato dal Giudice in prima udienza, pur se la procura poi si era “volatilizzata” (pag.n. 16 ricorso), avendo invece il Giudice consentito la partecipazione del sig. Ce.En.. Richiama al riguardo la registrazione fonografica della prima udienza, la cui trascrizione allega come documento PG26, e adduce che il giudice avrebbe dovuto concedere un termine per sanare l’eventuale difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c..

La ricorrente lamenta la nullità della C.T.U. del Dott. T., rilevando che “nessuna delle considerazioni svolte del Giudice A. nel proc. 902/2011 e del Collegio giudicante nel proc. 91/2013 a proposito della nullità della CTU del Dott. T. è minimamente basata su prove e/o sui reali accadimenti occorsi e/o su statuizioni giuridiche e – proprio per questo – non risulta essere minimamente motivata” (pag. n. 18 ricorso). Ad avviso della ricorrente il C.T.U. nominato in primo grado ha modificato il tema d’indagine e non ha risposto al quesito, senza approfondire quali fossero le competenze della perizianda in ordine all’entità del suo patrimonio (di oltre due milioni di Euro) e del suo reddito annuale netto di oltre Euro 80.000. Censura quanto affermato nel provvedimento reclamato, secondo cui il C.T.U. avrebbe dovuto indagare a proposito della capacità dell’amministranda di autodeterminarsi nelle scelte di carattere economico-finanziarie afferenti il suo patrimonio solo nel caso in cui la R. fosse stata affetta da alterazioni psicopatologiche. Il consulente d’ufficio non aveva, invece, verificato le capacità della perizianda di gestire un portafoglio di investimenti complesso come quello ereditato dal de cuius. Deduce altre quattro condizioni di nullità: A) la mancata comunicazione all’Avv. S. della data, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, restando così compromessa la partecipazione all’intero svolgimento delle operazioni peritali del suo procuratore speciale e del suo avvocato; B) mancato esame dei documenti prodotti in causa; C) omessa audizione dei familiari; D) immotivato mancato rispetto del termine ordinatorio fissato per il deposito della C.T.U.. Lamenta la violazione dell’art. 195 c.p.c. con riferimento alla relazione del C.T.U. depositata in data 31-1-2013, che deduce essere non congruente rispetto a quella depositata il 18 settembre 2012, modificata a seguito delle osservazioni sollevate dal C.T.P. della ricorrente e con correzioni, anche manuali, apportate dal C.T.U. ai test cui era stata sottoposta la perizianda e corrispondenti a valutazioni di merito finali assolutamente non condivisibili. Denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 404 c.c. e ss., rilevando che il Tribunale di Parma non aveva adottato le soluzioni elaborate in Liguria necessarie per supportare persone che mancano parzialmente o totalmente di autonomia nello svolgimento delle funzioni della vita quotidiana, dato che la figura dell’amministrazione di sostegno si rende necessaria quando una persona abbia bisogno di un aiuto per la propria cura e per la gestione del patrimonio. La ricorrente lamenta la violazione del contraddittorio afferente la ricusazione del C.T.U. T., rilevando di non aver potuto intervenire, nè interloquire nel relativo procedimento, facendo presente che il C.T.U. non aveva esplicitato all’atto del giuramento il nome del suo ausiliario.

Lamenta la violazione dell’art. 51 c.p.c. anche con riferimento all’incompatibilità del primo giudice assegnatario del procedimento di primo grado, autorizzato ad astenersi in data 2111-2012, e successivamente denunciato in sede penale dall’ing. Ce.Lu. e dal sig. Ce.En., i quali a loro volta erano stati denunciati dal suddetto giudice. Rileva che gli atti compiuti dal magistrato prima dell’astensione erano nulli, essendo presumibile che la grave inimicizia con la famiglia Ce. risalisse a data anteriore a quella del 18-11-2011, indicata dallo stesso suddetto magistrato come momento di insorgenza della situazione di grave inimicizia. Erano quindi da considerarsi invalidi la nomina del C.T.U. T., la formulazione del quesito ed il giuramento, ossia gli atti compiuti da detto magistrato dopo il 18.11.2011.

Ad avviso della ricorrente anche gli atti compiuti dal giudice onorario successivamente assegnatario del procedimento, autorizzato ad astenersi in data 30-10-2012 erano nulli, non avendo il Presidente del Tribunale disposto la conservazione di efficacia degli atti già compiuti. Secondo la prospettazione della ricorrente, in conseguenza delle lamentate violazioni del contraddittorio non è emerso che: A) la persona che gestiva il portafoglio più cospicuo di investimenti della R. aveva commesso innumerevoli e gravissimi abusi, falsificando anche le firme della R., come era stato dimostrato nel procedimento avente ad oggetto la lesione di legittima e come da documenti che richiama; B) la depressione della madre era durata perlomeno 35 anni, come era stato chiaramente indicato nell’istanza depositata il 24-10-2011 nel procedimento di primo grado. Secondo la ricorrente la motivazione del provvedimento reclamato è solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi. Pertanto l’ordinanza di rigetto del Giudice A., e conseguentemente quella del Collegio giudicante della Corte d’Appello di Bologna, è nulla – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto le motivazioni addotte sono solo apparenti, per ciò che attiene l’incompatibilità del Collegio peritale confermata dalle ammissioni del C.T.P. Cu. e la nullità della C.T.U. del Dott. T.. In particolare deduce che nel provvedimento reclamato era stato affermato – per quanto riguarda la ricusazione del C.T.U. – che tale ricusazione era stata esclusivamente motivata in ragione della presentazione di una denuncia penale contro il T. ed il suo ausiliario ed erano state ignorate le numerose anomalie ed irritualità afferenti l’operato del consulente d’ufficio, esposte nei documenti di seguito indicati: “Istanza afferente proc. 902/2011 depositata il 13 giugno 2012;Istanza afferente proc. 902/2011 depositata il 22 giugno 2012; Istanze afferenti proc. 902/2011 depositate il 27 giugno 2012; Istanza afferente proc. 902/2011 depositata il 16 luglio 2012; Istanza afferente proc. 902/2011 depositata il 28 agosto 2012; Istanza afferente proc. 902/2011 depositata il 4 settembre 2012; Comparsa di costituzione con contestazione nullità CTU e Osservazioni CTP Dott.ssa L.V. depositata il 4 ottobre 2012; Istanza afferente procomma 902/2011 depositata il 18 dicembre 2012 ” (pag.n. 34 ricorso).

Ad avviso della ricorrente in base ai fatti esposti nelle citate istanze il C.T.U. avrebbe dovuto astenersi oppure essere sostituito dal Tribunale di Parma. Inoltre, quanto alla mancata risposta al quesito da parte del C.T.U., nel provvedimento reclamato era affermato che il C.T.U. avrebbe dovuto indagare a proposito della capacità dell’amministranda di autodeterminarsi nelle scelte di carattere economico-finanziarie afferenti il suo patrimonio solo nel caso in cui la R. fosse stata affetta da alterazioni psicopatologiche, erroneamente interpretando come subordinata all’esito dell’indagine sul deterioramento mentale quella sulla capacità di effettuare scelte complesse su investimenti e gestione del patrimonio. Adduce la nullità del decreto reclamato e conseguentemente di quello della Corte d’Appello di Bologna – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – per omesso esame in ordine ai seguenti fatti controversi, che assume essere decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti: 1) le specifiche ragioni di incompatibilità del C.T.U.; 2) l’applicabilità al caso di specie dei dettami di cui all’art. 196 c.p.c.; 3) le alterazioni dei punteggi dei test MODA e MMSE; 4) le nullità assolute rilevabili nella C.T.U. del Dott. T. per avere quest’ultimo modificato il tema d’indagine assegnatogli e non aver comunicato alla parte costituita, e cioè all’avv. S., giorno/ora/luogo dell’inizio delle operazioni peritali; 5) la trasmissione degli atti del proc. 902/2011 alla Procura della Repubblica di Parma da parte del Giudice Mo., secondo giudice assegnatario del procedimento, e le ragioni determinanti tale iniziativa; 6) le violazioni del contraddittorio riferibili all’operato del primo giudice assegnatario del procedimento; 7) l’invalidità degli atti compiuti dal secondo giudice assegnatario a seguito della sua astensione. Con riferimento all’ordinanza (rectius decreto) della Corte d’appello di Bologna, la ricorrente, esaminando i trenta punti con i quali era stato riepilogato il contenuto del provvedimento reclamato, i motivi di impugnazione e lo svolgimento del processo di secondo grado, in primo luogo deduce che la Corte territoriale non ha esaminato le questioni “più spinose” e i più importanti motivi d’appello. Contesta la formulazione del quesito, che assume non corrispondente alla richiesta di sostegno, e la ritenuta inammissibilità della querela di falso incidentale presentata il 3 febbraio 2014 (doc. SG9), che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale con provvedimento di rigetto del 13-3-2015, considerato dalla ricorrente non intellegibile, concerneva il verbale di C.T.U., mentre l’atto depositato dal C.T.U. Ar. (doc. SG8) era considerato dai Giudici d’appello privo di valore di documento probatorio. Lamenta la violazione del contraddittorio in ordine all’istanza di ricusazione che aveva presentato nei confronti di tre consiglieri della Corte d’appello, assumendo di non aver potuto interloquire con un legale, data la rinuncia al mandato alle liti dell’avv. D.G., e di non aver avuto tempestiva conoscenza del parere del Procuratore Generale. Lamenta che il nuovo Collegio peritale aveva mostrato sin dalla prima riunione di non essere imparziale, ponendo in essere gravi anomalie. Contesta i provvedimenti assunti dal Collegio d’appello del 20-7-2015 circa la nomina quale C.T.P. dell’ing. Ce.Lu. e circa il differimento dell’udienza del 7-10-2015, rimarcando di aver impugnato con querela di falso incidentale il provvedimento presidenziale di data 6-10-2015 con cui era stata fissata l’udienza del 16-10-2015, non avendo il Collegio fornito alcuna motivazione circa la vera ragione della fissazione di detta udienza, e ciò in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 4. Lamenta l’omessa motivazione del provvedimento con cui il Collegio d’appello aveva dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione del secondo collegio peritale, i cui membri si erano di seguito astenuti in quanto, a dire della ricorrente, “erano stati perfettamente smascherati i meccanismi da loro predisposti per non consentire uno svolgimento “trasparente” e “corretto” della perizia” (pag. n. 47 ricorso).

Lamenta parte ricorrente di essere stata tenuta all’oscuro delle motivazioni giustificative della fissazione dell’udienza del 30 ottobre 2015 ed inoltre le era stato impedito di svolgere la propria discussione conclusiva, come emergeva dalla registrazione fonografica integrale dell’udienza del 30-1-2015, la cui trascrizione produce (doc. SG17).

In ordine alla motivazione del rigetto del reclamo, ad avviso della ricorrente il richiamo dell’art. 116 c.p.c. è “temerario”, il Collegio d’appello, nel confinare la C.T.U. ad aspetti esclusivamente medici, ha snaturato la domanda di tutela proposta dalla ricorrente e anche nel giudizio di appello “si sono susseguite anomalie ed irritualità che definire inaccettabili è riduttivo” e le affermazioni relativa alla solidità convincente della prima C.T.U. “sono totalmente smentite da quanto dimostrato con codesto ricorso attraverso prove e fatti inconfutabili” (pag.n. 52 ricorso).

2. Così sinteticamente riassunte le deduzioni difensive della ricorrente, in via preliminare devono esaminarsi i profili di improcedibilità ed ammissibilità del ricorso, evidenziati anche da parte controricorrente.

3. Ai fini della procedibilità del gravame, dall’esame del fascicolo d’ufficio risulta che la ricorrente ha depositato la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio ai sensi art. 369 c.p.c..

4. Deve essere disattesa, altresì, l’eccezione di inammissibilità sollevata da parte controricorrente sul presupposto della natura non decisoria del decreto impugnato, atteso che il decreto della corte d’appello che nega l’apertura dell’amministrazione di sostegno è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. n. 14983/2016 e Cass. n. 12998/2019).

5. Può ritenersi rituale la produzione dei documenti elencati in ricorso ed allo stesso allegati, seppure con i limiti precisati dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass. n. 27313/2018). E’ inammissibile, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la produzione dei documenti allegati alla “nota aggiuntiva”, che la ricorrente illustra come “nuovi elementi fondanti”, relativi alla C.T.U. espletata in primo grado, e dei quali assume di essere venuta in possesso successivamente al deposito del ricorso, senza specificare date e modalità dell’asserito tardivo reperimento (tra le tante Cass. n. 3934/2016 e n. 18464/2018). La ritualità della “nota aggiuntiva”, depositata dalla ricorrente in data 13-4-2017, ossia dopo la scadenza del termine di impugnazione, deve escludersi con riferimento alla parte del suddetto atto con cui sono aggiunte argomentazioni nuove o diverse rispetto a quelle di cui al ricorso, mentre nella restante parte l’atto difensivo può tener luogo della memoria illustrativa di cui all’art. 380 bis 1 c.p.c..

6. Sono sussistenti i profili di inammissibilità del ricorso attinenti al difetto di specificità e di autosufficienza.

6.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (tra le tante Cass. Sez. Un. N. 17931/2013). Infatti il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (tra le tante Cass. n. 11603/2018; Cass. n. 6519/2019).

Questa Corte ha altresì chiarito che il principio di autosufficienza prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione. L’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (tra le tante Cass.23834/2019). Ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione, funzionale alla piena valutazione dei motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340/2018).

6.2 Nel caso di specie la ricorrente diffusamente articola una serie di enunciazioni, prevalentemente riferite allo svolgimento del procedimento di primo grado, sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, senza che neppure sia dato evincere quanti siano i motivi di ricorso, non indicati separatamente e secondo un ordine numerico o logico-giuridico (i “punti” alle pag.n. 36 e seguenti del ricorso non indicano motivi, ma ripetono la stessa numerazione del provvedimento reclamato nella ricostruzione dello svolgimento del processo).

Le argomentazioni difensive, riferite indistintamente a violazioni di legge e violazioni processuali, talora anche a vizi motivazionali (pag.n. 34 e n. 53), senza, peraltro, che sia riportato testualmente, nelle parti di interesse, il contenuto dei numerosi atti e documenti richiamati, e, soprattutto, delle specifiche censure proposte con il reclamo, sono per lo più concernenti fasi non autonome dei procedimenti di primo e secondo grado, quali differimenti di udienze, mutamenti di collegio, decisioni su istanze di ricusazione e di sostituzione C.T.U., e neppure risulta univocamente e chiaramente esplicitato nel ricorso quale sia stato il percorso argomentativo dei Giudici di merito che si assume censurato.

Il richiamo ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., in ogni caso irrituale perchè rinvenibile in sintesi minimale nel ricorso, nonostante l’atto si sviluppi in oltre cinquanta pagine, e del pari irrituale nella formulazione in cui è espresso a pag. n. 10 della nota aggiuntiva, nonchè la relativa illustrazione non consentono di individuare con immediatezza e precisione il nesso causale tra le doglianze ed il decisum, nè tanto meno consentono di inquadrare esattamente le censure nell’ambito di uno dei cinque paradigmi impugnatori tassativamente previsti.

Manifestamente inammissibili, infine, sono anche le deduzioni sulla complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nel provvedimento impugnato, a cui la ricorrente contrappone la propria diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dai Giudici di merito.

7. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. SU 20 settembre 2019, n. 23535).

10. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 23 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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