Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 206 del 09/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 09/01/2017, (ud. 11/10/2016, dep.09/01/2017),  n. 206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24259/2014 proposto da:

Z.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 47, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO

CANTELLI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GEPAS SPORTIVA DILETTANTISTICA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, C.F.

(OMISSIS), già AKROS FITNESS CENTER, PACINO IMMOBILIARE S.R.L., in

persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 95, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

LIBBI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1811/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/04/2014 R.G.N. 9497/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato CANTELLI UMBERTO;

udito l’Avvocato LIBBI PAOLA;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1811/2014, depositata l’8 aprile 2014, la Corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame incidentale di GEPAS Società Sportiva Dilettantistica a r.l., respingeva, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, il ricorso, con il quale Z.A. aveva chiesto che venisse accertata la natura subordinata del rapporto intercorso con detta società dal luglio 1999 al luglio 2008 mediante lo svolgimento di mansioni di assistenza alla clientela e di consulenza alle vendite dei servizi del centro fitness, osservando come le risultanze istruttorie acquisite al giudizio non ne consentissero una qualificazione difforme da quella corrispondente ai nomen iuris (collaborazione coordinata e continuativa) adottato dalle parti nei successivi contratti stipulati a partire dal gennaio 2000, nè comunque, anche per il periodo anteriore al primo di essi, dessero prova della sottoposizione dell’appellata al potere gerarchico del datore di lavoro, il quale deve estrinsecarsi – notava il giudice di merito – non solo in generiche direttive (compatibili anche con l’autonomia del rapporto) ma in specifici ordini e costanti controlli in ordine all’esecuzione intrinseca della prestazione, senza che possano ritenersi idonei e sufficienti a sostenere una soluzione diversa altri elementi di fatto, quali la continuità della prestazione, l’inserimento nella organizzazione aziendale o l’assenza di rischio economico.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la Z. con tre motivi; la GEPAS Società Sportiva Dilettantistica a r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve, in via pregiudiziale, essere esaminato il rilievo di inammissibilità del ricorso per difetto di una procura speciale dotata dei requisiti di legge (art. 365 c.p.c.): rilievo che la società controricorrente fonda sulla mancanza di riferimenti in essa alla sentenza oggetto di impugnazione e di alcuna data certa che ne comprovi il rilascio in epoca posteriore alla pronuncia.

Il rilievo è infondato.

Come più volte precisato da questa Corte, con orientamento consolidato e risalente, “il requisito della specialità della procura, stabilito per il giudizio di cassazione dall’art. 365 c.p.c., assolve all’esigenza che la volontà della parte di impugnare la sentenza attraverso il ricorso per cassazione si formi tenendo conto della decisione oggetto del ricorso e, perciò, dopo che questa è stata pronunciata e con specifico riferimento ad essa. Ne consegue che la procura apposta a margine del ricorso per cassazione e conferente il mandato difensivo “nel presente giudizio di cassazione”, soddisfa quella esigenza, laddove l’intestazione del ricorso indichi la sentenza oggetto dell’impugnazione e, dalla considerazione della data di notificazione del ricorso stesso, emerga, in relazione alla data della sentenza, che la procura, proprio in quanto apposta sul ricorso, è stata conferita successivamente alla pronuncia della sentenza” (Cass. n. 1430/1999 e numerose successive conformi).

Tali condizioni risultano tutte presenti nel caso di specie, posto che il ricorso indica con precisione, mediante i riferimenti a tal fine necessari, la sentenza impugnata (pag. 1), la procura a margine contiene un espresso riferimento al giudizio avanti alla Corte di cassazione e l’atto risulta inoltrato per la notifica a mezzo posta l’8/10/2014 e, quindi, in data successiva a quella di pubblicazione della decisione oggetto di ricorso.

Ne consegue che il ricorso è ammissibile.

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e dei principi legislativi in materia di rapporti di lavoro subordinato, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, censura la sentenza di secondo grado per avere la Corte territoriale: (a) erroneamente conferito rilievo determinante, ai fini della qualificazione del rapporto, al nomen iuris adottato dalle parti in sede di stipula dei contratti individuali (di collaborazione coordinata e continuativa) succedutisi nel tempo, senza procedere alla ricerca della volontà reale ed effettiva delle stesse, quale dimostrata dal concreto atteggiarsi del rapporto e dalle specifiche modalità con cui si era svolto; (b) considerato irrilevante la prestazione di attività lavorativa per il periodo precedente la stipula del primo contratto, quando invece tale circostanza doveva essere valutata almeno come un elemento presuntivo a favore della tesi della contrarietà della formale qualificazione del rapporto rispetto alle reali modalità del suo svolgimento; (c) ritenuto non pienamente provata la medesima circostanza, pur a fronte di risultanze istruttorie di segno chiaramente opposto.

Con il secondo motivo, deducendo ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e dei principi legislativi in materia di lavoro subordinato, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale qualificato il rapporto come autonomo nonostante che le dichiarazioni dei testi assunti indicassero la presenza nella specie dei cosiddetti indici della subordinazione e, in particolare, per avere attribuito preminenza alla possibilità per la lavoratrice di scegliere il proprio turno di lavoro, omettendo peraltro di porre tale circostanza in relazione con gli ulteriori elementi fattuali accertati in giudizio e conseguentemente di effettuare – come pur sarebbe stato necessario, alla luce della giurisprudenza di legittimità – un’analisi completa dei medesimi indici.

Con il terzo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e l’omessa valutazione circa un fatto decisivo, la ricorrente censura infine la sentenza di appello per avere la Corte omesso di valutare i “fogli presenze” nonostante che da tale documentazione (di provenienza aziendale) potessero desumersi argomenti di prova o comunque indizi utili al fine di orientare il convincimento del giudice di merito in ordine all’esistenza del potere direttivo e disciplinare esercitato dal datore di lavoro; e inoltre per avere la Corte omesso di vagliare l’attendibilità di uno dei testimoni assunti, le cui dichiarazioni erano state poi utilizzate per motivare la riforma della decisione di primo grado.

I motivi così formulati possono esaminarsi congiuntamente, risolvendosi per intero (3 motivo), ovvero sostanziandosi di fatto (1 e 2), anche sub specie di violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in censure relative al percorso logico e argomentativo, attraverso il quale la Corte di appello ha proceduto alla ricostruzione della fattispecie sottoposta alla sua cognizione e motivato le conclusioni raggiunte.

Ciò posto, essi devono ritenersi inammissibili, non conformandosi al modello legale del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata in data 8 aprile 2014 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Ora, tali oneri (di individuazione del fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso; di allegazione della sua “decisività”, come idoneità a determinare un differente esito della controversia; di “autosufficienza” del ricorso per cassazione) non risultano osservati nella specie, dovendosi rilevare come anche laddove (nel 3 motivo) è richiamato un fatto storico che sarebbe stato trascurato nella ricostruzione del rapporto (l’esistenza cioè di appositi fogli, predisposti dal datore di lavoro, che la ricorrente avrebbe avuto l’obbligo di firmare per attestare la propria presenza), di tale fatto non è affermata la natura “decisiva” (nello stretto e specifico senso anzidetto) ma soltanto la qualità di “utile” argomento idoneo a corroborare, in concorso con altri indici di fatto, un diverso convincimento del giudice di merito.

Non può, d’altra parte, ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa nella violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2094 c.c., sotto il profilo dell’erronea attribuzione di valore assorbente (rispetto alle modalità di svolgimento in concreto del rapporto) alla qualificazione formale operata dalle parti nel momento della stipula dei successivi contratti di collaborazione coordinata e continuativa e sotto il profilo, altresì, di un’analisi non completa degli indici della subordinazione.

Quanto al primo di tali profili si deve, infatti, osservare come la Corte di appello abbia (esattamente) sottolineato che “la qualificazione del rapporto ad opera delle parti non è irrilevante”, ai fini della individuazione della natura (autonoma o subordinata) dello stesso, precisando, poi, diversamente da quanto prospettato nella formulazione della censura, che “le manifestazioni negoziali e la qualificazione giuridica in esse data al rapporto (chiaramente come autonomo) assumono un valore quantomeno presuntivo sulla natura autonoma del rapporto stesso”, valore che può essere superato nel caso in cui il lavoratore, che è gravato dal relativo onere, fornisca “precisi elementi obiettivi idonei a dimostrare che, nel concreto svolgimento dell’attività lavorativa, sia stato sottoposto al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro” (cfr. sentenza, pag. 2).

In tal modo il giudice di merito si è uniformato all’orientamento, secondo il quale “ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, non si può prescindere dalla preventiva ricerca della volontà delle parti, in quanto il principio secondo cui, in ordine alla distinzione suddetta, è necessario avere riguardo al contenuto effettivo del rapporto stesso, indipendentemente dal nome iuris usato dalle parti, non comporta che la dichiarazione di volontà di queste in relazione alla fissazione di tale contenuto, o di un elemento di esso qualificante ai fini della distinzione medesima, debba essere stralciata nell’interpretazione del precetto contrattuale e che non si debba tener conto del relativo reciproco affidamento delle parti stesse e della concreta disciplina giuridica del rapporto, quale voluta dalle medesime nell’esercizio della loro autonomia contrattuale. Pertanto, quando le parti, nel regolare i loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere l’elemento della subordinazione, non è possibile – specie nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili con l’uno o con l’altro tipo di rapporto – pervenire ad una diversa qualificazione se non si dimostra che, in concreto, il detto elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo” (Cass. n. 2690/1995 e successive numerose conformi).

Anche il secondo profilo, in cui si articola la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., risulta infondato.

La sentenza di secondo grado è invero pervenuta ad escludere che gli elementi raccolti fossero “tali da evidenziare l’emersione, nelle concrete modalità del rapporto, di una nuova e diversa volontà delle parti in ordine alla qualificazione del rapporto rispetto al dato contrattuale” (pag. 3) all’esito di un’indagine che, in coerenza con il richiamato principio di diritto, ha preso in considerazione la natura dell’attività svolta, le modalità di inserimento della Z. nell’organizzazione aziendale (con particolare riguardo a presenze, turni, ferie e relativi modi di comunicazione alla direzione), la struttura della retribuzione e la qualità delle direttive ricevute, e cioè tutti i più significativi indici qualificatori della fattispecie: indagine che si rivela svolta in modo tanto più accurato, a fronte di un rapporto la cui configurazione poteva apparire dubbia, non ben definita o non decisiva (Cass. n. 13884/2004) e delle cui conclusioni la ricorrente non può ora dolersi, la valutazione e “pesatura” degli indici, nell’accertamento del rapporto, tra cui la scelta e l’autogestione dei turni di lavoro da parte degli addetti al Centro, rifluendo nelle prerogative del giudice di merito.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con imputazione di compensi professionali per l’importo di Euro 500,00 al procedimento ex art. 373 c.p.c. (Cass. n. 17584/2005).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità e del procedimento ex art. 373 c.p.c., liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA