Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20598 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15921/2015 R.G. proposto da:

P.V. (C.F.: (OMISSIS)), nato a (OMISSIS) (VI) l'(OMISSIS),

rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Maggiolo, con domicilio

eletto presso l’Avv. Andrea Miccichè, con studio in Roma, via G.

Nicotera n. 29;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 2047/22/2014, pronunciata il 16 ottobre 2014 e depositata l’11

dicembre 2014;

udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2020

dal Consigliere Fabio Antezza.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il contribuente ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dallo stesso proposto avverso la sentenza n. 61/07/2013 emessa dalla CTP di Vicenza.

2. Per quanto ancora rileva nel presente giudizio, da verifica fiscale (culminata in PVC) emerse il coinvolgimento del contribuente (operante nel settore della scelta di pellami per conto terzi), quale soggetto interposto, in un sistema di frode fiscale con emissione da parte sua di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Le operazioni di cui innanzi si sostanziarono nell’utilizzo di un deposito IVA per merce proveniente da Paesi extra – U.E. (con omissione del pagamento dell’IVA in dogana al momento dell’importazione), il cui prelievo dal deposito avvenne con emissione di autofattura, mentre la vendita dei beni all’acquirente tramite emissione di fatture con IVA senza peraltro provvedere alla registrazione ed al relativo versamento dell’imposta all’Erario. Le dette indagini si conclusero con sentenza penale di condanna del contribuente e con la notificazione allo stesso di tre avvisi di accertamento IVA, IRPEF e IRAP (per gli anni 2006, 2007 e 2008).

3. La CTP rigettò le impugnazioni degli atti impositivi con statuizione confermata dalla CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione.

La Commissione regionale, per quanto di rilievo, ritenne legittima la ripresa dell’IVA, dal fatturante, con riferimento a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 21, comma 7, (nella sua formulazione, ratione temporis applicabile, antecedente alla sostituzione del detto comma ad opera del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, invece in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2016).

Al pari di quanto fatto dalla CTP (per quanto emerge dalla sentenza di primo grado trascritta in ricorso), il Giudice d’appello rigettò altresì l’eccezione inerente l’applicabilità del principio di specialità di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 19, essendo state applicate a carico del contribuente distinte sanzioni amministrative con riferimento a condotte omissive ulteriori rispetto alla fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti (oggetto, tale ultima condotta, di processo penale).

Argomentando nei termini di cui innanzi la CTR quindi rigettò l’appello, non avendo peraltro riscontrato ipotesi implicante rimessione della causa alla CTP ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 59, invece paventata dall’appellante in ragione di una prospettata irrituale pronuncia in termini di inammissibilità dell’eccezione sull’applicabilità del detto principio di specialità.

4. Contro la sentenza d’appello il contribuente ricorre con tre motivi e l’A.E. si difende con controricorso (con il quale deduce anche profili di inammissibilità dei motivi).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Con il I motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la “nullità dell’atto di accertamento perchè in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56” (in ragione di Corte Cost. n. 37 del 2015); in particolare, gli avvisi di accertamento in impugnati (a dire del ricorrente) sarebbero stato sottoscritti da soggetto privo dei relativi poteri.

2.1 Il motivo in esame è inammissibile per novità, non avendo il relativo profilo mai costituito oggetto del thema decidendum e la cui disamina richiederebbe accertamenti di fatto preclusi a questa Corte.

In tema di contenzioso tributario, è difatti inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria (ancorchè di impugnazione-merito), opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicchè l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, nè può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità.

In applicazione del principio di cui innanzi, al quale si intende dare continuità, Cass. sez. 5, 09/11/2015, n. 22810, Rv. 637348-01, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale era stata dedotta la nullità dei gradi di merito e delle relative pronunce per effetto di Corte Cost. n. 37 del 2015 (alla quale fa riferimento l’attuale ricorrente), non essendo stata rilevata d’ufficio la nullità degli atti impositivi per carenza di potere del sottoscrittore.

Sicchè, nella specie, a nulla rileva in senso contrario, diversamente da quanto prospettato dai ricorrenti, l’indicato successivo intervento della Consulta (Corte Cost. n. 37 cit.), essendo la questione in esame non sub iudice in quanto mai prospettata dai contribuenti.

3. I motivi II e III sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.

3.1. Con il II motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59”, per non aver la CTR riscontrato ipotesi implicante rimessione della causa alla CTP ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 59, invece paventata dall’appellante in ragione di una prospettata irrituale pronuncia in termini di inammissibilità dell’eccezione (sollevata in sede di controdeduzioni) sull’applicabilità del detto principio di specialità.

Con il III motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19”, cioè del relativo principio di specialità ed in relazione alla condanna penale del contribuente per il cit. D.Lgs., art. 8. Per il ricorrente, in particolare, dovrebbe riconoscersi natura sanzionatoria al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, nella parte in cui dispone che “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” (trattasi del comma 7 nella sua formulazione, ratione temporis applicabile, antecedente alla sua sostituzione ad opera del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, invece in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2016).

3.2. Entrambi i motivi sono infondati.

3.2.1 Il motivo n. 1, in particolare, prescindendo da profili di inammissibilità legati al tipo di critica scelta dal ricorrente, non merita accoglimento avendo la CTR correttamente escluso la sussistenza di ipotesi riconducibili al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, (implicanti la rimessione al giudice di primo grado), per quanto emerge dallo stesso ricorso e dalla sentenza della CTP in essa trascritta.

Dalla statuizione di primo grado, difatti, emerge l’insussistenza della paventata violazione del contraddittorio, peraltro prospettata dal ricorrente con riferimento ad una pronuncia di inammissibilità di un’eccezione sollevata in sede di controdeduzioni, avendo la CTP (sul punto confermata dalla CTR) statuito proprio nel merito della detta eccezione sollevata dalla contribuente ed inerente l’applicazione del principio di specialità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19.

3.2.2 Parimenti infondato è il terzo motivo, in applicazione di principio, dal quale non vi sono motivi per discostarsi, elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte anche alla luce del diritto sovranazionale, per come interpretato dalla Corte di giustizia.

In tema di IVA, difatti, costituendo l’emissione di fatture per operazioni inesistenti una condotta sanzionata come delitto (caratterizzato, dal 1982, da dolo specifico) da altre norme, la ratio della disposizione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – è distinta da quella meramente sanzionatoria, avendo lo scopo specifico di ricondurre a coerenza il sistema imposto dell’IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione. Ne consegue che la sua applicazione non contrasta con il principio di specialità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19, comma 1, (ex plurimis: Cass. sez. 5, 09/01/2009, n. 247, Rv. 606176-01, e Cass. sez. 5, 11/01/2006, n. 309, Rv. 586262-01).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali inerenti il presente giudizio di legittimità, in favore dell’Amministrazione controricorrente, che si liquidano, in applicazione dei parametri ratione temporis applicabili, in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Stante il tenore della pronuncia (di rigetto del ricorso), ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (circa i limiti di detta attestazione, da riferirsi esclusivamente al presupposto processuale della tipologia di pronuncia adottata e non al presupposto sostanziale della dedenza del contributo del cui raddoppio trattasi, si veda Cass. Sez. U, 20/02/20, n. 4315).

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, in favore dell’Amministrazione controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito, dando atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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