Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20597 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14901/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

AUTOCORSICA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

con domicilio eletto in Roma, viale dei Parioli 43 presso l’Avv.

Francesco D’Ayala Valva, che la rappresenta e difende unitamente e

disgiuntamente dall’Avv. Antonio Lovisolo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria, n. 39/12/2011 depositata il 9 maggio 2011, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2020

dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 39/12/11 depositata in data 9 maggio 2011 la Commissione tributaria regionale della Liguria, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 68/5/09 della Commissione tributaria provinciale di Genova, la quale aveva accolto il ricorso della società Autocorsica s.p.a. contro l’avviso di accertamento IVA 2002 emesso in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

– La CTR confermava la decisione dei giudici di prime cure, ritenendo le riprese sprovviste di adeguata prova in particolare, per la parte che interessa ai fini del presente giudizio, circa la partecipazione della contribuente a frodi carosello con alcune società ritenute “cartiere” in relazione alla presunta cessione di autoveicoli verso Stati intracomunitari e immatricolati in Italia, alla cessione di autovetture in esenzione IVA verso presunti esportatori abituali e in realtà “cartiere”, e alla detrazione dell’IVA del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 su fatture per la contribuente di acquisto da “cartiere”.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia affidato ad otto motivi. La contribuente si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’Agenzia ricorrente censura l’omessa o insufficiente motivazione da parte della CTR circa un fatto controverso e decisivo, ossia la circostanza che le autovetture – asseritamente vendute in regime di cessione intracomunitaria – avessero mai lasciato il territorio nazionale, per aver il giudice d’appello affermato che la contribuente avrebbe fornito documentazione idonea (fatture, elenchi riepilogativi presentati all’erario, documento di trasporto e rimessa bancaria da parte dell’acquirente) a dimostrare sotto il profilo cartolare l’avvenuta esecuzione dell’operazione intracomunitaria, documentazione da considerarsi generica e non collegata alle singole compravendite contestate.

– Con il secondo motivo – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 e degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c., per aver la CTR ritenuta dimostrata l’uscita delle autovetture dal territorio nazionale verso altro Stato UE sulla base di documenti (fatture, elenchi riepilogativi presentati all’erario, documento di trasporto e rimessa bancaria da parte dell’acquirente) di sua provenienza o comunque facilmente alterabili o ancora, come la rimessa di pagamento, per costante interpretazione giurisprudenziale non utilizzabile per la dimostrazione dell’operazione.

– I motivi primo e secondo possono essere trattati congiuntamente, essendo connessi. In via preliminare vanno disattese le eccezioni di inammissibilità formulate in controricorso circa il primo motivo in quanto non diretto a censurare l’apparenza della motivazione (punto 1.2.1.) ma a far valere un vizio motivazionale relativo circa la natura intracomunitaria delle cessioni contestate, nè è finalizzato ad ottenere una mera rivalutazione del fatto come accertato dal giudice d’appello (punti 1.2.2. e 1.2.3.), ma a sindacare l’iter logico motivazionale seguito dalla CTR nella decisione della questione.

-Sempre in via preliminare sono dismesse le eccezioni di inammissibilità del secondo motivo (punti 2.2.1. e 2.2.2.), in quanto diretto a sindacare non le valutazioni di fatto operata dalla CTR bensì l’applicazione del canone di riparto dell’onere della prova e dunque correttamente sussunto nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

-I motivi sono fondati. Va rammentato che “In tema d’IVA, ed in fattispecie di cessione intracomunitaria del D.L. n. 331 del 1993, ex art. 41, conv. dalla L. n. 427 del 1993, il cedente ha l’onere di dimostrare l’effettività dell’esportazione della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario o, in mancanza, di fornire adeguata prova della propria buona fede, potendo essere negata l’esenzione, secondo la sentenza della Corte di Giustizia CE del 6 settembre 2012, in C-273/11, Mecsek, solo ove risulti, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente sapeva (o avrebbe dovuto sapere) che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e non abbia adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26062 del 30/12/2015, Rv. 638420 – 01). Nel caso in esame era dunque onere della contribuente, in quanto cedente, e non dell’Agenzia dimostrare l’effettiva esportazione della merce, e ciò doveva avvenire con mezzi adeguati ossia “tali da non lasciare dubbi, i presupposti della deroga al normale regime impositivo e, cioè, non solo la consegna della merce al vettore, ma anche l’effettività dell’esportazione in altro Stato membro e la propria buona fede, potendo, quindi, essere negata (…) l’esenzione al contribuente ove risulti, in base ad elementi oggettivi, che egli, conoscendo o avendo dovuto conoscere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente, non aveva adottato misure ragionevoli per evitare di parteciparvi.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4636 del 26/02/2014 (Rv. 630820 – 01).

-Ad esempio, in applicazione di tale principio, la S.C. nel caso da ultimo citato ha ritenuto non adeguatamente motivata la sentenza impugnata quanto alla buona fede del venditore, assolto in sede penale, perchè basata sulla sola accertata falsità dell’allegata documentazione di accompagnamento della merce, senza, invece, valutare gli ulteriori indizi desumibili dall’entità del suo commercio con il medesimo operatore estero e dal suo comportamento dopo la comunicazione, da parte del fisco, dei precedenti penali a carico del soggetto che aveva curato la vendita.

-Tale è esattamente la situazione di specie, in cui pagamenti e fatture, elenchi di formazione della contribuente, e anche ddt non possono ritenersi decisivi, a fronte di dati di fatto pacifici, ossia il grande volume di vendita delle autovetture di cui alle operazioni contestate, sistematiche, per quasi 1.250.000 Euro (come si legge a pag.37 dell’avviso), asseritamente cedute in regime di cessione infracomunitaria a due sole società (Best Auto e SA-IT Automoviles), e che pure risultano immatricolate in Italia. Si tratta di elementi che contrastano la logica che si desume dalla lettura della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che le auto sarebbero state tutte esportate e poi immediatamente rivendute in Italia e che ciò sarebbe avvenuto nella incolpevole mancanza di consapevolezza da parte della contribuente, deduzione illogica alla luce della rilevanza degli importi e del numero dei veicoli, del numero ridottissimo dei cessionari, e della immatricolazione sul medesimo mercato in cui opera la contribuente, quello italiano.

– Con il terzo motivo – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, del D.L. n. 746 del 1983, artt. 1 e 2 e dell’art. 2697 c.c., per aver la CTR ritenuto, pacifica l’esistenza delle frodi rilevate dall’ufficio quanto a presunti esportatori abituali (cessione delle autovetture da parte di soggetto IVA senza applicazione di IVA in presenza di falsa lettera di intenti), non provata la partecipazione ad esse della contribuente, nè la conoscenza da parte di questa di essere parte delle frodi, pur in assenza di dimostrazione di aver adottato tutte le misure esigibili dall’operatore accorto.

-Con il quarto motivo – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, del D.L. n. 746 del 1983, artt. 1 e 2 e dell’art. 2697 c.c., per aver la CTR ritenuto, pacifica l’esistenza delle frodi rilevate dall’ufficio verso presunti esportatori abituali (cessione delle autovetture da parte di soggetto IVA senza applicazione di IVA in presenza di falsa lettera di intenti), non provata neppure la conoscibilità da parte di questa di essere parte delle frodi, pur in assenza di dimostrazione di aver adottato tutte le misure esigibili dall’operatore accorto e, in particolare, per aver ritenuto sufficiente la verifica della regolarità formale della lettera di intenti e la sua comunicazione all’erario.

-Con il quinto motivo – articolato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dell’art. 2697 c.c., in relazione alla detrazione IVA portata da fatture ritenute emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, per aver la CTR mancato di considerare che era sufficiente per l’Agenzia dimostrare fatti fondanti il ragionevole sospetto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, dovendo poi la contribuente dare prova dell’esistenza soggettiva delle operazioni.

-Con il sesto motivo – articolato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dell’art. 2697 c.c., sempre in relazione alla detrazione IVA portata da fatture ritenute emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, per aver la CTR ritenuto non provata dall’Agenzia la partecipazione della contribuente, anche solo in termini di conoscenza o conoscibilità dell’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate.

-Con il settimo motivo – dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e degli artt. 2627 e 2629 c.c., ancora in relazione alla detrazione IVA portata da fatture ritenute emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, per aver la CTR affermato esistente l’ignoranza incolpevole in capo alla contribuente per effetto della regolare emissione della fattura, del suo pagamento con assegno, dell’accertamento delle caratteristiche di cartiera in capo alla società emittente la fattura solo in un secondo momento.

-Con l’ottavo motivo – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’Agenzia ricorrente lamenta infine, sempre in relazione alla detrazione dell’IVA, la motivazione insufficiente su fatto controverso e decisivo, ossia l’ignoranza senza colpa dell’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, per aver il giudice d’appello ritenuto sufficiente il fatto che le fatture erano apparentemente regolari, erano state pagate con assegno e l’accertamento delle caratteristiche di cartiera in capo alla società emittente le fatture era intervenuto solo in un secondo momento.

-I motivi da terzo ad ottavo possono essere affrontati congiuntamente, in quanto connessi, essendo tutti incentrati sull’applicazione del canone dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti e circa la documentazione idonea a dimostrare l’esistenza delle operazioni contestate.

-Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità dei motivi terzo e quarto sollevate in controricorso (punto 3.2.) ex art. 360 bis c.p.c. in quanto la decisione della CTR non appare affatto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, e dei motivi quinto, sesto e settimo (punto 4.2.1.) in quanto la dizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 non è incompatibile con la prospettazione dell’Agenzia, nè sono diretti a riesaminare il fatto (punto 4.2.2.) ma a sindacare l’applicazione del canone dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, nè (punto 4.2.3.) la CTR appare avere deciso ai fini dell’art. 360 bis c.p.c. in modo conforme alla giurisprudenza della Cassazione a riguardo. Infine, non appare inammissibile neppure l’ottavo motivo, in quanto non è una mera riformulazione dei motivi 5, 6 e 7 (punto 5.2.1.), ma è volto a censurare i concreti elementi utilizzati dalla CTR per ritenere dimostrata l’ignoranza senza colpa dell’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, nè la censura costituisce una mera rivalutazione del fatto (punto 5.2.2.) in quanto deduce prove decisive e contrarie con cui il giudice d’appello non risulta essersi confrontato.

-I motivi sono fondati. La fattispecie va governata alla luce dell’insegnamento giurisprudenziale costante secondo cui ove l’Amministrazione finanziaria contesti “che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018).

-Orbene, è pacifica nella fattispecie l’esistenza di un articolato e ben consolidato meccanismo frodatorio anche ai fini delle riprese per operazioni in sospensione d’imposta senza presupposti e di indebita detrazione IVA. Inoltre, dalla lettura della sentenza, si evince anche che è pacifica la prospettazione dell’Agenzia secondo la quale tali soggetti, fittizi, non avevano mai avuto un’organizzazione aziendale, locali per la vendita, magazzini per lo stoccaggio o personale alle dipendenze e si trattava di evasori totali. Il giudice d’appello svaluta questi elementi, di per sè già molto rilevanti, anche al fine di valutare la partecipazione, la conoscenza o quantomeno la conoscibilità di tale stato di cose da parte della contribuente. Inoltre, in merito alle cessioni in regime di sospensione di imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8, comma 2 ad esportatori abituali fittizi, collide frontalmente con l’insegnamento giurisprudenziale sopra richiamato, l’affermazione del giudice d’appello secondo cui spettano al venditore solo adempimenti formali di trasmissione dati all’Agenzia in merito alle lettere di intenti emesse dall’acquirente, essendo ciò insufficiente a dimostrare la diligenza massima esigibile dall’operatore accorto.

-Anche riguardo alle contestate detrazioni dell’IVA del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, il giudice d’appello riporta solo parzialmente e comunque svaluta gli elementi di prova contenuti nell’atto impositivo attestanti la fittizietà dei soggetti emittenti le fatture in quanto privi della minima organizzazione necessaria all’attività di impresa oltre che evasori totali, ai fini della conoscibilità della frode. Inoltre, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (in termini, in aggiunta alle pronunce già citate, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018, Rv. 651269 – 01), ai fini della dimostrazione della diligenza accorta è irrilevante la regolarità della contabilità e dei pagamenti, e anche la mancanza di benefici in capo alla contribuente provenienti dalla rivendita delle merci.

-La CTR in sede di rinvio si atterrà ai richiamati principi di diritto, e si confronterà con gli elementi di fatto e di prova raccolti nel processo leggendoli congiuntamente, al fine di stabilire se la contribuente abbia osservato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.

– La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla CTR Liguria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, e per la liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR Liguria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, e per la liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 29 settembre 2020

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