Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20596 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 31/07/2019), n.20596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22472/2012 R.G. proposto da:

soc. Le Gioie Nuove srl, in persona del legale rappresentante sig.

Z.D., nonchè dallo stesso in proprio, quale titolare

dell’omonima ditta individuale, tutti rappresentati e difesi

dall’avv. Domenico Gullo, nel domicilio eletto presso il suo studio

in Milano, via Rugabella n. 1.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Lombardia – Sez. 44 n. 91/44/12 depositata in data 28/06/2012 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio

2019 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello M..

Fatto

RILEVATO

Ai sensi dell’art. 32 D.P.R. n. 600/1973 e previa autorizzazione, il ricorrente sig. Z.D. e la consorte D.M.L. erano sottoposti ad indagini finanziarie tramite accertamenti bancari per i periodi di imposta 2004 e 2005 al fine di ricostruire il reddito della ditta individuale del sig. Davide Z. e della società Le Gioie Nuove s.r.l. di cui è il legale rappresentante.

Venivano quindi inviati i questionari con richiesta di documentazione contabile ed extracontabile, quindi si svolgevano alcuni incontri in contraddittorio fra le parti, con produzione di ulteriore documentazione, peraltro non ritenuta giustificativa dall’Amministrazione finanziaria che emetteva così gli atti impositivi che riprendevano a tassazione maggiori redditi per la ditta individuale pari a Euro 240.097,00 per l’anno 2004 e pari a Euro 212.780,00 per l’anno 2005, mentre per la società in Euro 161.544,00 per l’anno 2004 e in Euro 269.975,00 per l’anno 2005, cui conseguivano sanzioni ed interessi.

Il giudice di prossimità non apprezzava le ragioni dei contribuenti che trovavano parziale riscontro in appello, ove alcune somme venivano ritenute giustificate, ridimensionando quindi l’accertamento.

Propone ricorso per cassazione la parte contribuente affidandosi a tre motivi, mentre è rimasta intimata l’agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Con il primo motivo di gravame si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1929, art. 24, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 4 e di ogni altra norma e principio in materia di rispetto del contraddittorio tra l’amministrazione ed il contribuente, nella sostanza dolendosi che l’atto impositivo non sia stato preceduto da contraddittorio e da processo verbale che ne sarebbe il necessario presupposto. Avrebbe dunque errato la commissione territoriale nel ritenere non previsto per legge il preventivo confronto ed il processo verbale.

Premesso che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 4 si applica ai soli casi di accesso ispezione e verifica compiuti all’interno dei locali di svolgimento dell’attività commerciale o professionale, fattispecie non verificatasi nel caso in esame e che solo i tributi armonizzati sono soggetti al diritto dell’Unione Europea, va ricordato come le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823) abbiano chiarito che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoproceclimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 65, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943).

Nel caso che ci occupa il contraddittorio si è svolto tramite questionario e confronto personale delle parti presso l’Ufficio, ritenendosi adempiute le formalità richieste. Nè, peraltro, la parte privata rappresentata circostanze concrete per cui il suo (ulteriore) apporto procedimentale avrebbe potuto orientare diversamente l’azione degli Uffici o consentirle di esplicare differentemente il diritto di difesa.

Sul punto, la sentenza gravata è conforme agli orientamenti di questa Suprema Corte, inconferente il precedente menzionato a pag. 7 del ricorso. Il primo motivo è quindi infondato e va disatteso.

Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e di ogni altra norma e principio in materia di modalità di accertamento dei ricavi, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 codice di rito civile, nella sostanza lamentando che la sentenza gravata abbia ritenuto l’accertamento come analitico induttivo, con rettifiche specifiche e puntuali, mentre dovrebbe considerarsi meramente induttivo e svolto in assenza dei requisiti di legge.

Dall’esame degli atti risulta che la rideterminazione del reddito sia avvenuta sulla base di accertamenti bancari, con alcune voci che -in quanto analiticamente individuate- la sentenza di secondo grado ha ritenuto giustificabili per alcuni movimenti, descritti al primo paragrafo di pag. 4 della gravata sentenza, riducendo quindi l’accertamento in parziale accoglimento dell’appello; per altri, indicanti nel secondo capoverso ed esemplificati nel terzo, non è stata ritenuta la prova di giustificazione.

Dalla partizione dei rilievi emerge tuttavia -per quanto qui interessa- fondato l’assunto della sentenza (e criticato con il motivo all’esame) per cui l’accertamento è stato realmente di carattere “analitico induttivo con rettifiche specifiche e puntuali risultanti dalle movimentazioni dei predetti rapporti bancari” (cfr. pag. 3, terzo capoverso, sentenza impugnata).

Il secondo motivo è all’evidenza infondato e va disatteso.

Con il terzo motivo si lamenta falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 164, comma 1, lett. a), n. 2 e di ogni altra norma e principio in materia di costi deducibili, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella sostanza eccependo non siano stati ritenuti deducibili i costi delle autovetture Porsche Cayenne e Toyota Yaris, perchè non provato che fossero state assegnate a dipendenti, mentre lo sarebbero state e perchè errato il calcolo della quota deducibile.

Il motivo, così come proposto, richiede un giudizio di fatto (la prova o meno dell’effettiva assegnazione delle autovetture a dipendenti) od una verifica contabile (erroneo calcolo di quota deducibile) che restano inibiti a questa Suprema Corte di legittimità.

Il motivo è quinti inammissibile e non può essere scrutinato.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Non vi è luogo a pronunciare sulle spese in assenza di attività difensiva dell’Amministrazione finanziaria.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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