Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20595 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 29/09/2020), n.20595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17161/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale Dello Stato che la rappresenta e difende

– ricorrente –

contro

AGRICOLA BERICA MANGIMI S.R.L., in persona del legale rappresentante

p.t., con domicilio eletto in Roma viale dei Parioli n. 43 presso

l’avv. Francesco D’Ayala Valva, che la rappresenta e difende

unitamente all’avv. Francesco Moschetti;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 25/26/2011 della COMM.TRIB.REG. VENETO,

depositata il 30/05/2011, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/1/2020 dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 25/26/11 depositata in data 30 maggio 2011 la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate relativo ad un avviso di accertamento IVA 2005 emesso nei confronti della società Agricola Berica Mangimi S.r.l., avverso la sentenza n. 97/4/08 della Commissione tributaria provinciale di Vicenza, che a sua volta aveva accolto il ricorso della contribuente.

– In particolare, tra le altre riprese, l’Agenzia disconosceva costi ritenuti non deducibili in relazione alla nota di credito n. 1321 del 30 luglio 2005, emessa nei confronti della società Pai S.r.l. per un imponibile di Euro 5.526.180,75, e portata in diminuzione dell’IVA senza una valida motivazione, avendo ritenuto che il rapporto tra la Pai S.r.l. e la contribuente non fosse inquadrabile nè concretamente nè formalmente nel rapporto tra società consortile e società consorziata, essendo la prima una società commerciale operante all’interno di un processo produttivo a filiera ed avente scopo di lucro.

– La contribuente impugnava l’avviso di accertamento, deducendo che la Pai S.r.l. era una società consortile operante senza scopo di lucro esclusivamente in favore di due società consorziate, la contribuente che la partecipava all’85% e la Ilta S.r.l. per il residuo 15%, a cui trasferiva il proprio risultato economico provvisorio, ai fini civili e per il singolo anno di imposta, mentre le due società consorziate emettevano corrispondenti note di variazione per conguaglio prezzi, secondo una prassi non contestata dalla stessa Agenzia la quale in occasione di precedenti verifiche fiscali presso la Pai S.r.l. – due effettuate nel corso dell’anno 1997 ed una nel 2002 – non aveva contestato in capo a quest’ultima l’essere una società consortile a scopo mutualistico.

– La CTR condivideva la decisione di primo grado ritenendo dimostrata la natura di società consortile in capo alla Pai S.r.l., anche sulla scorta del riferimento contenuto nel p.v.c. alla base delle riprese alla natura mutualistica del rapporto tra la contribuente e la l’altra consorziata, Ilta S.r.l..

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia deducendo tre motivi. La contribuente ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, per aver la CTR ritenuto preclusa l’azione accertativa da parte dell’Agenzia per effetto delle condotte tenute in precedenti anni di imposta nei confronti della società Pai S.r.l. e delle sue consorziate, suscettibili di ingenerare un legittimo affidamento anche nei confronti della contribuente.

– Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia censura nuovamente la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 nella parte in cui ha ritenuto che il legittimo affidamento fosse idoneo non solo ad escludere l’applicazione delle sanzioni e degli interessi moratori, ma anche ad estinguere il debito conseguente alla rettifica di una dichiarazione recante un imponibile inferiore a quello accertato o un’imposta inferiore a quella dovuta.

– Con il terzo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2602 e 2615-ter c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, dell’art. 53 Cost. e dei principi generali che vietano l’abuso del diritto nel settore tributario, per aver ritenuto operante la detrazione dell’imposta scontata a monte, pur non essendo i costi relativi inerenti all’esercizio di impresa della contribuente.

– Su di un piano logico, dev’essere in via prioritaria scrutinato il terzo motivo, incentrato sul cuore della questione di merito, ossia se la PAI S.r.l. sia una società consortile o meno. Vanno in primo luogo disattese le eccezioni preliminari di inammissibilità del motivo, il quale non costituisce riproposizione indebita di valutazioni di merito essendo diretto a censurare l’inerenza dei costi ammessi dalla CTR a detrazione in assenza di corretta sussunzione della fattispecie nella disciplina del rapporto società consortile-consorziata. Inoltre il ricorso sicuramente si identifica in una denuncia di violazione di legge sin dalla rubrica e non si confonde anche col vizio motivazionale come sostenuto in controricorso. Infine, il mezzo non difetta di autosufficienza dal momento che è la sentenza impugnata stessa che, ai righi 11 e ss. della prima pagina, riferisce che la prospettazione dell’Agenzia è sempre stata che “PAI S.r.l. non si configurava come società consortile, bensì commerciale, operante all’interno di un processo produttivo di filiera”.

– La censura, è nondimeno infondata. Come condivisibilmente statuito da questa Corte in due recenti decisioni rese nei confronti dell’altra consorziata Ilta Srl (Cass. 9326-9327/2020), risulta pacifico in fatto che la Pai Srl è società consortile costituita dalla contribuente (85%) e dalla Ilta Srl (15%) e che lo schema operativo delle tre società era nel senso che la prima acquistava pulcini che allevava utilizzando i mangimi fornitile dalla seconda e che, previa macellazione, poi cedeva alla terza, la quale poi vendeva la carne sul mercato.

– Va poi rilevato che la ripresa fiscale de qua riguardava fatture emesse dalla PAI nei confronti della contribuente nel 2005 per “conguaglio” sui prezzi delle forniture di carni del 2004, in considerazione della natura consortile del rapporto, essendo peraltro, come detto, tale natura contestata dall’Agenzia delle entrate.

– Ciò, in generale, per la tipologia di attività economica della Pai, ritenuta come parte di una “filiera” produttiva e, in particolare, per l’assenza di un contratto tra le parti e di “valide ragioni economiche” giustificatrici dei “ristorni”.

– La CTR veneta ha puntualmente riscontrato in fatto tali argomenti, osservando che è documentato agli atti come per la contribuente la Pai rappresentava il principale cliente, di mangimi ad uso zootecnico, che lo statuto della Pai prevedeva espressamente ed univocamente la “causa consortile” della sua costituzione, essendo il suo scopo quello di esercitare attività agricole (allevamento di bestiame) nell’esclusivo interesse delle società partecipanti consorziate (Agricola Berica Mangimi ed Ilta), e che lo scopo mutualistico era riconosciuto dallo stesso p.v.c.; conseguentemente, la Pai fin dalla sua costituzione, aveva trasferito i suoi risultati di gestione, sia positivi che negativi, alla consorziate, secondo le rispettive quote partecipative.

– Tali accertamenti di fatto non possono essere revisionati in questa sede, secondo i consolidati principi di diritto che “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass., n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01); “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass., n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01).

– Ciò posto, va altresì, in diritto, rilevato che la sentenza impugnata è del tutto conforme all’ulteriore consolidato principio di diritto secondo cui “Il consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 c.c., non potendo avere per sè alcun vantaggio, in quanto lo stesso, al pari dell’eventuale svantaggio, appartiene unicamente e solo alle imprese consorziate, ha l’obbligo di ribaltare sulle stesse, secondo i criteri di legge o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi della causa consortile e delle relative norme fiscali, tutte le operazioni economiche realizzate da una o più imprese consorziate, oppure dallo stesso consorzio con strutture proprie o con impiego di imprese terze, sicchè le singole consorziate sono tenute ad emettere fattura – ai fini IVA – nei confronti del consorzio in proporzione della quota consortile, per il ribaltamento dei proventi delle commesse ad essa attribuiti, nonchè autofattura, in proporzione della quota consortile, per il ribaltamento dei relativi costi” (Cass., n. 13360 del 17/05/2019, Rv. 653867 – 01).

– Tali accertamenti in fatto e le conseguenze giuridiche che ne sono state tratte inducono poi a ritenere che il giudice tributario di appello, almeno per implicito, abbia comunque escluso l’applicabilità ex officio del principio generale antiabuso.

– Il rigetto del terzo motivo implica l’inammissibilità del primo e del secondo motivo del ricorso dell’Agenzia, secondo il principio che “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass., n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882 – 01; conforme, da ultimo, Cass., n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023 – 01). Infatti, le argomentazioni del giudice d’appello circa il legittimo affidamento oggetto dei primi due motivi – come pure circa la mancanza di danno all’erario per effetto della condotta, e del rispetto del dettato del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 da parte della stessa – concorrono con la ratio centrale, relativa alla natura consortile del rapporto tra la contribuente e la Pai Srl.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000 oltre Spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 29 settembre 2020

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