Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20594 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/07/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 19/07/2021), n.20594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.C.G., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to Edmondo Raffaelli

del foro di Bergamo, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio del difensore, alla via Don Carlo Botta

n. 13 in Bergamo;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 2673, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, il

14.4.2014 e pubblicata il 21.5.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate, a seguito dell’invio di questionari informativi ed allo svolgimento di procedura di accertamento con adesione, notificava a P.C.G., il 13.9.2011 (ric., p. 1), gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), attinente a maggiore Irpef in riferimento all’anno 2007, e n. (OMISSIS), in riferimento a maggiore Irpef in relazione all’anno 2006, che traevano fondamento nell’applicazione delle forme dell’accertamento sintetico, c.d. redditometro.

2. La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bergamo che, riuniti i ricorsi, li accoglieva parzialmente, rideterminando il reddito imponibile in considerazione di documentate disponibilità della contribuente derivanti da un saldo attivo di conto corrente (Euro 14.004,84), nonché da disinvestimenti (Euro 17.184,55), rigettando nel resto.

3. Avverso la decisione assunta dalla Ctp la contribuente proponeva gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, contestando, in primo luogo, l’erroneità del calcolo delle spese per incrementi patrimoniali come effettuato dall’Amministrazione finanziaria, con la conseguenza che doveva considerarsi assente pure il presupposto stesso perché potesse procedersi con accertamento sintetico, consistente nello scostamento di almeno il 25% del reddito accertato rispetto al dichiarato, nel biennio (sent. CTR, p. II). La Ctr riteneva innanzitutto infondate le contestazioni della contribuente circa l’affermata retroattività delle modifiche del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonché le censure di incostituzionalità del redditometro. Affermava, quindi, che nella procedura in esame non era necessaria l’istaurazione del contraddittorio preventivo, e comunque la questione risultava superata dallo svolgimento della procedura di accertamento con adesione. Riteneva poi corretta la modalità di calcolo del reddito utilizzata dall’Ufficio finanziario, anche in relazione al coinvolgimento del reddito del marito osservando, tra l’altro, che “la contribuente ha dichiarato di aver acquistato l’immobile in Rovetta con il ricavato della vendita dei titoli, ma la documentazione bancaria esibita dimostra l’invarianza di detti titoli prima e dopo la compravendita” (sent. Ctr, p. IV). Rilevava, inoltre, che “la stessa contribuente dichiara” di aver sostenuto “nell’anno 2006… incrementi patrimoniali pari ad Euro 264.995,00 come risulta dalla tabella a pagina 16 dell’appello, a fronte di nessun disinvestimento e con un reddito dichiarato pari a zero, senza dare alcuna prova documentale della provvista relativa alla spesa per le due polizze vita, le quattro autovetture, il 50% dell’immobile in Rovetta ed il 100% del box in Rovetta…” (sent. Ctr, p. III). La Ctr rigettava, pertanto, l’impugnativa proposta dalla contribuente.

4. Avverso la decisione adottata dalla Ctr della Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione P.C.G., affidandosi a quattro motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. La contribuente ha pure depositato memoria, con allegata decisione di merito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente contesta la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza), vigente dal 2009, art. 41, paragrafo 2, e la violazione dell’obbligo del contraddittorio preventivo, conseguendone la lesione del proprio diritto di difesa.

2. Mediante il secondo mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la ricorrente censura la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, nonché dell’art. 112 c.p.c., per essere la Ctr incorsa in una omissione della motivazione.

3. Con il suo terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la contribuente critica la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, in cui è incorsa l’impugnata Ctr per aver ritenuto che competesse alla ricorrente dimostrare di aver utilizzato specifiche risorse per provvedere ai propri investimenti.

4. Mediante il quarto motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, P.C.G. contesta la violazione dell’art. 2 TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986), per aver violato il principio della personalità dell’imposta, ritenendo di poter considerare quale soggetto passivo il suo intero nucleo familiare.

5. Mediante il primo motivo di ricorso la contribuente critica la violazione di legge in cui sarebbe incorsa l’impugnata Ctr, per non aver ritenuto integrata la lesione del proprio diritto di difesa, in conseguenza della mancata istaurazione del contraddittorio preventivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, trascurando anche il disposto di cui alla Carta di Nizza, art. 41.

In materia questa Corte ha già avuto da tempo occasione di chiarire che “in tema di imposte dirette, l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’ufficio siano in qualsiasi modo (nell’ipotesi formulata dal ricorrente, mediante l’invio di un questionario) contestati al contribuente, ferma restando per quest’ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicché la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso”, Cass. Sez. V, 18.12.2006, n. 27079 (conf. Cass. sez. V, 6.6.2014, n. 12745). Neppure si è trascurato di sottolineare, ricordato che il presente giudizio ha ad oggetto un accertamento di maggiore Irpef, tributo non armonizzato, effettuato in applicazione delle regole dell’accertamento sintetico, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale”, Cass. Sez. VI-V, 31.5.2016, n. 11283.

5.1. A tanto può aggiungersi che appare infondata anche la contestazione relativa alla violazione della Carta di Nizza, art. 41, perché la normativa convenzionale trova applicazione sol quando la materia contesa è oggetto di disciplina da parte del diritto comunitario, e tanto non si registra nel caso di specie. In proposito questa Corte ha avuto occasione di precisare il principio, in una vicenda di indubbio rilievo, statuendo che “la materia del risarcimento del danno subito dai prossimi congiunti del lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro non è riconducibile al diritto comunitario, sicché, come chiarito dalla Corte di giustizia UE (sentenza 26 febbraio 2013, in C-617/10), ad essa non si applicano le tutele offerte dalla Carta dei diritti fondamentali della UE (cosiddetta Carta di Nizza), le quali possono venire in considerazione soltanto nelle fattispecie in cui sia applicabile il diritto dell’Unione Europea”, Cass. Sez. L., 25.7.2014, n. 17006; non essendosi mancato di specificare, più di recente, che “i diritti fondamentali garantiti dalla cd. Carta di Nizza assumono rilievo immediatamente precettivo solo quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e l’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta”, Cass. Sez. L., 30.5.2016, n. 11129; fermo restando che “le disposizioni della cd. Carta di Nizza non sono applicabili a fattispecie relative a periodi anteriori al 1 gennaio 2009, data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona, poiché solo a partire da tale data la Carta ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati dell’Unione Europea”, Cass. Sez. L., 30.1.2018, n. 2286.

Le contestazioni proposte dalla contribuente mediante il primo strumento di impugnazione risultano pertanto infondate, ed il motivo di ricorso deve essere rigettato.

6. Mediante il suo secondo motivo di ricorso l’impugnante lamenta che la Ctr ha erroneamente ritenuto legittima la modalità di calcolo del reddito imponibile effettuata dall’Agenzia delle entrate, peraltro non pronunciando sulle censure che la contribuente aveva proposto. Invero, l’Amministrazione finanziaria ha dapprima calcolato gli incrementi patrimoniali registrati nel quinquennio, e li ha divisi per cinque, quindi ha calcolato i disinvestimenti registrati nel quinquennio, e li ha divisi per cinque, effettuando alfine il raffronto, e traendo le conseguenze in relazione ai due anni in contestazione. Secondo la contribuente, invece, ferma restando la correttezza della procedura in materia di incrementi patrimoniali, l’Amministrazione finanziaria “avrebbe dovuto sottrarre i disinvestimenti patrimoniali e i finanziamenti ottenuti per ciascuno dei due anni” (ric., p. 22).

La critica appare mal proposta, e risulta pertanto in larga parte inammissibile. La contestazione è comunque pure infondata.

Le censure della contribuente, infatti, non sono specifiche, neppure illustrando la ricorrente a quali risultati numerici si sarebbe pervenuti nel caso in cui fosse stata utilizzata la modalità di calcolo che reputa corretta, e mancando pertanto di dimostrare il proprio interesse a muovere la censura. Si osservi che l’Agenzia delle entrate ha sostenuto la contribuente non aver tenuto conto che, utilizzando la modalità di calcolo da lei suggerite, “ciò avrebbe comportato un aumento dell’incremento patrimoniale netto da giustificare. Ciò, oltre che rivelarsi contrario al disposto normativo, avrebbe condotto comunque ad un analogo, se non peggiorativo, risultato” (controric., p. 9). A questi specifici rilievi, peraltro, la ricorrente non ha ritenuto di replicare neppure mediante la memoria depositata.

Tanto premesso, può aggiungersi che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, all’epoca vigente, prevedeva: “Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”. Pertanto non appare dubbio che la spesa per incrementi patrimoniali debba essere calcolata nel quinquennio, e quindi vada ripartita nella misura di un quinto per ciascun anno. Secondo la contribuente, però, i disinvestimenti, e gli eventuali finanziamenti ottenuti, dovrebbero comunque e sempre essere conteggiati in relazione all’anno in cui si sono verificati. Questo criterio di valutazione si rivela però non ragionevole, perché introdurrebbe una modalità di calcolo radicalmente diversa in relazione a fattori attivi e passivi contrapposti, in relazione al medesimo periodo annuale d’imposta.

7. Con il terzo mezzo d’impugnazione la ricorrente contesta l’errore in cui ritiene essere incorsa la Ctr, nel ritenere spettasse ad essa contribuente “dimostrare che la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma con ciò violando il dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6… il testo della norma non impone la dimostrazione dettagliata… consentendo al contribuente di vincere la presunzione ex lege prevista… solamente dimostrando l’esistenza… di tali somme idonee a sostenere gli svolti acquisti” (ric., p. 25).

In proposito questa Corte di legittimità ha avuto occasione di chiarire che “in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (La S.C., in applicazione del principio, ha confermato la decisione impugnata con la quale era stato rigettato il ricorso della contribuente che aveva acquistato, nell’anno di imposta, un immobile deducendo genericamente la provenienza dalla suocera delle somme necessarie)”, Cass. Sez. V, 20.1.2017, n. 1510, ed è stato pure di recente ribadito il concetto, statuendo che “in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di accoglimento del ricorso del contribuente che aveva acquistato in favore del nipote un immobile pagandone l’anticipo ed accollandosi il restante mutuo, poi estinto con assegno circolare, deducendo la provenienza delle liquidità da operazioni di disinvestimento di titoli mobiliari e dalla disponibilità di risorse non reddituali, senza tuttavia provarne l’utilizzo per l’acquisto contestato)”, Cass. Sez. V, 4.8.2020, n. 16637. Tali principi appaiono condivisibili, e le contestazioni proposte dalla contribuente non inducono a discostarsene.

La ricorrente non ha indicato di aver prodotto documenti da cui emergano elementi sintomatici i quali inducano a ritenere abbia utilizzato per i propri acquisti risorse di natura non reddituale. Al contrario, la Ctr ha rilevato che “la contribuente ha dichiarato di aver acquistato l’immobile in Rovetta con il ricavato della vendita dei titoli, ma la documentazione bancaria esibita dimostra l’invarianza di detti titoli prima e dopo la compravendita, né ha dato prova della liquidazione percepita nel 2003 sempre per l’acquisto dell’immobile suddetto” (sent. Ctr, p. IV). A questi chiari e specifici rilievi proposti dal giudice dell’appello la contribuente non ha proposto una critica specifica, non confrontandosi con la decisione assunta dalla Ctr.

Il terzo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere rigettato.

8. Mediante il quarto strumento d’impugnazione la contribuente lamenta che l’accertamento tributario prima, e la decisione impugnata poi, hanno violato il principio della personalità dell’imposta, sottoponendo ad imposizione il suo intero nucleo familiare, mentre anche i coniugi “sono soggetti autonomi d’imposizione” (ric., p. 27). Invero, questa Corte ha avuto recentemente occasione di confermare che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973 (cd. redditometri), art. 38, la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega”, Cass. sez. V, 21.11.2019. Equivoca pertanto la contribuente sul significato che, in sede di accertamento sintetico, deve attribuirsi agli accertamenti effettuati sul coniuge del verificato da parte degli Uffici finanziari. L’accertamento relativo ai redditi del coniuge è utilizzabile, in favore del contribuente, giustappunto per verificare se egli disponga di provviste che non è tenuto a dichiarare, e che possano giustificare le proprie spese. Piuttosto, merita di essere sottolineato che la contribuente non ha, neppure in sede di ricorso per cassazione, specificamente indicato i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta che possano indurre a ritenere l’inesattezza degli accertamenti effettuati dall’Ufficio.

Anche il quarto motivo di ricorso, pertanto, risulta infondato e deve essere rigettato.

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo. Deve inoltre darsi atto che ricorrono le condizioni perché sia dovuto dalla ricorrente il versamento degli oneri relativi al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da P.C.G., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, e le liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

 

 

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