Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20594 del 07/08/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20594 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: SCARPA ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 15163-2014 proposto da:
PRATO TERESA MARIA, VITELLI CRISTOFARO GIOVANNI DE
ROSE FIORELLA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CRESCENZIO 82, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA
BONACCORSI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO
MARI;
– ricorrenti contro

FILICE EMANUELE, FILICE NATALIA, MARIGLIANO ANNALISA,
FILICE MARIA ELENA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
RENZO DA CERI 195, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO
PUGLIESE, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE
GATTO;
FILICE GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO
OJETTI 114, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO A.

Data pubblicazione: 07/08/2018

CAPUTO, rappresentato e difeso dall’avvocato GREGORIO
BARBA;
– con troricorrenti avverso la sentenza n. 872/2013 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata il 20/06/2013;

del 28/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Maria Teresa Prato, Cristoforo Giovanni Vitelli e Fiorella De
Rose hanno proposto ricorso in due motivi avverso la sentenza
n. 872/2013 della Corte d’Appello di Catanzaro, depositata il
20 giugno 2013.
Resistono con un controricorso Emanuele Filice, Natalia Filice,
Maria Elena Filice ed Annalisa Marigliano, eredi di Michele ed
Ida Filice, e con distinto controricorso Giovanni Filice, il quale
ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
La Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale accoglimento della
impugnazione principale avanzata contro la decisione di primo
grado resa dal Tribunale di Cosenza sulla domanda del 7
gennaio 1995 di Maria Teresa Prato, Cristoforo Giovanni Vitelli
e Fiorella De Rose, accertò lo sconfinamento nella proprietà
degli attori da parte dei convenuti signori Filice, proprietari di
fondi limitrofi in Frazione Donnici Inferiore, località Abicello, di
Cosenza, ordinò la rimozione di una recinzione, dispose
l’apposizione di termini lungo il confine determinato fra le
rispettive proprietà come da planimetria allegata alla CTU e
condannò Emanuele Filice, Natalia Filice, Maria Elena Filice ed
Annalisa Marigliano, eredi di Michele ed Ida Filice, al
pagamento della somma di C 35,32, da rivalutare dal giugno

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

1976 fino alla data della sentenza, per l’illecita occupazione
della porzione di terreno.
Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,
sui seguenti punti della sentenza impugnata: errore imputabile

cui è causa, che sarebbe diversa da quella tracciata in sede di
sopralluogo eseguito il 9 maggio 2014; mancato
riconoscimento del danno, perché ritenuto generico e non
provato, circa lo sconfinamento e l’occupazione del fondo,
nonché l’asportazione di terra.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile: trovando
applicazione ratione temporis il testo dell’art. 360, comma 1, n.
5), c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito
con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è proprio
configurabile il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta
attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo
per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.
La vigente formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
consente di denunciare per cassazione l’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal
testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato
un esito diverso della controversia), da indicare specificamente
in ricorso, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366,
comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. Il ricorrente deve
perciò indicare il “fatto storico”, e cioè l’episodio materiale o
fenomenico il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o
extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
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al c.t.u. nella delimitazione della linea di confine tra i fondi per

”quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale
tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso
esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di
omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico,
rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione

le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Il primo motivo di ricorso, viceversa, ipotizza errori in cui
sarebbe incorso il CTU, ma non allega, ex art. 366, comma 1,
n. 6, c.p.c., se tali errori fossero stati tempestivamente
contestati nei pregressi gradi di merito; sottopone a questa
Corte questioni di fatto che non sono affrontate nella sentenza
impugnata, quale quella dell’avvenuta asportazione di terra,
che supporrebbero o nuovi accertamenti incompatibili col
giudizio di legittimità o una diversa censura articolata in
termini di omessa pronuncia su specifico motivo di appello;
non si confronta con la motivazione della Corte di Catanzaro,
che ha definito generica la domanda risarcitoria, e così trascura
che, anche nel caso di occupazione illegittima di un immobile,
il proprietario che chieda di essere risarcito deve comunque
allegare a sostegno della sua pretesa i pregiudizi in concreto
derivanti dalla perdita della disponibilità del bene, nonché gli
elementi di fatto utili alla quantificazione del danno.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art.
111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per
aver la Corte d’Appello stimato il valore del terreno al tempo
dell’illecito, senza tener conto di tutte le sue successive
trasformazioni urbanistiche.
Il motivo è del tutto privo di fondamento. Non sussiste nullità
della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132, n. 4,
c.p.c., in quanto essa reca le argomentazioni rilevanti per
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dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte

individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della
decisione. La Corte d’Appello ha definito inammissibile la
modificazione della domanda degli appellanti con cui si
chiedeva di tener conto della sopravvenuta destinazione
edificatoria del fondo oggetto di lite. I giudici di secondo grado

all’epoca dell’illecito (giugno 1976), e, in quanto debito di
valore, hanno disposto la rivalutazione della somma
all’attualità. I ricorrenti, peraltro, non fanno, con la loro
secondo censura, questione specifica di violazione dell’art. 938
c.c., a norma del quale il corrispettivo dell’accessione invertita
deve essere determinato con criterio obiettivo, tenendo conto
soltanto del valore che il suolo occupato ha di per sé in virtù
della sua natura, della sua conformazione e delle sue
caratteristiche in genere, sulla base di valutazione da
determinare con riferimento alla data della sentenza che opera
il trasferimento del diritto di proprietà a favore del costruttore
ed in danno del proprietario dell’area occupata (Cass. Sez. 2,
06/06/1989, n. 2748; Cass. Sez. 2, 02/05/1975, n. 1689).
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo
soccombenza in favore sia dei controricorrenti Emanuele Filice,
Natalia Filice, Maria Elena Filice ed Annalisa Marigliano, che del
controricorrente Giovanni Filice, negli ammontari liquidati in
dispositivo
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di

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hanno poi spiegato di aver determinato il valore di mercato

contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione
integralmente rigettata.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a

cassazione, che liquida per i controricorrenti Emanuele Filice,
Natalia Filice, Maria Elena Filice ed Annalisa Marigliano in
complessivi C 4.300,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre a
spese generali e ad accessori di legge, e per il controricorrente
Giovanni Filice in complessivi C 5.400,00, di cui C 200,00 per
esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 marzo
2018.
Il Presidente
Dott. Antonio Oricchio
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07 ixtiki. 2018

rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di

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