Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20593 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/07/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 19/07/2021), n.20593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

Società B. Autotrasporti di P.B. Sas, in persona del

legale rappresentante pro tempore, nonché B.G. e

D.P.M., tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale stesa

a margine del ricorso, dagli Avv.ti Francesco Napolitano e

Alessandro Militerno, ed elettivamente domiciliati presso lo studio

del primo difensore, alla via Po n. 9 in Roma;

– controricorrenti –

e contro

B.A.;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 748, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, il 25.10.2012 e

pubblicata il 29.11.2012;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di processo verbale di costatazione formato dalla stessa Amministrazione finanziaria, l’Agenzia delle entrate notificava alla società B. Autotrasporti di B.A. & C. Sas l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo al reddito d’impresa conseguito nell’anno 2004, e riportante recupero a tassazione a titolo di Irap ed Iva, a seguito del disconoscimento di costi ritenuti non deducibili per attività di facchinaggio; carico, scarico e movimentazione merci; nonché elaborazione dati. Erano quindi notificati ai soci gli avvisi di accertamento mediante i quali era richiesto il pagamento dei maggiori tributi conseguenti al maggior reddito ottenuto dalla società di persone, e da ritenersi distribuito tra loro.

2. Gli atti impositivi erano impugnati dalla società e dai soci innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina, che riuniva i procedimenti ed accoglieva parzialmente il ricorso introdotto dalla società annullando, per quanto ancora d’interesse, la ripresa a tassazione in relazione al disconoscimento della deducibilità di costi di facchinaggio per Euro 462.500,00, nonché all’importo di Euro 10.000,00 relativo a fattura emessa per elaborazione dati.

3. La decisione adottata dalla Ctp era gravata di appello dall’Ente impositore innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, e l’Agenzia delle entrate dava anche atto dell’intervenuta definizione stragiudiziale delle pendenze nei confronti dei soci B.L., B.G. e Bi.Gi.. Si costituivano in giudizio B.A. e D.P.M., ma non la Sas B. Autotrasporti di B.A. & C..

4. La Ctr riteneva che le censure proposte dall’Amministrazione finanziaria non risultassero specifiche ed osservava, comunque, che l’incongruenza dei costi portati in deduzione per le spese di facchinaggio era stata contestata dall’Agenzia delle entrate solo in sede d’appello. In conseguenza respingeva il gravame.

5. Avverso la decisione assunta dalla Commissione tributaria regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione l’Ente impositore, affidandosi a due mezzi di impugnazione. Resistono mediante controricorso la società, B.A. e D.P.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre ricordare che questa Corte, con ordinanza del 27.2.2020, aveva rilevato che l’Agenzia delle entrate ha chiamato in giudizio, innanzi a questo Giudice di legittimità, B.G. che, ricevuta la citazione, si è anche costituito, ma non è però più parte dell’odierno processo, avendo definito stragiudizialmente la propria posizione nei confronti dell’Ente impositore ed essendo stata dichiarata la cessazione della materia del contendere nei suoi confronti all’esito del giudizio d’appello, pronuncia non contestata da alcuno. Diversamente, l’Amministrazione finanziaria non aveva provveduto a chiamare in giudizio B.A., che pure era stato parte del giudizio di appello e non aveva definito stragiudizialmente la propria posizione. In conseguenza è stata disposta l’integrazione del contraddittorio in favore di B.A., e l’Agenzia delle entrate ha provveduto all’adempimento. B.A. non si è costituito.

2. Con il suo primo motivo di ricorso, che indica di proporre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate lamenta la nullità della impugnata sentenza della Ctr, in conseguenza della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per non avere, il giudice dell’appello, bene interpretato l’atto impositivo, che opera espresso richiamo al processo verbale di costatazione, nonché gli scritti di parte, ed aver pertanto erroneamente affermato il difetto di specificità dei motivi di ricorso in appello proposti dall’Amministrazione finanziaria.

3. Mediante il suo secondo mezzo d’impugnazione, anch’esso indicato come introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Ente impositore censura ancora la nullità della sentenza adottata dal giudice dell’appello, in conseguenza della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in cui è incorsa la CTR per aver ritenuto che la contestazione relativa all’incongruenza dei costi per facchinaggio ed elaborazione dati, indebitamente portati in deduzione dalla società, fosse inammissibile perché introdotta soltanto in grado di appello.

4. Con il primo motivo di impugnazione l’Ente impositore censura la decisione adottata dalla Ctr per aver ritenuto che non fossero state proposte dall’Amministrazione finanziaria contestazioni specifiche avverso la decisione adottata dai giudici di primo grado.

Osserva in proposito la Ctr che “l’unico motivo di appello dedotto appare generico, confuso, non ancorato ad alcuna critica formale della decisione adottata” dalla Ctp, “ribadendo che le fatture prodotte dai contribuenti in primo grado non avevano adempiuto all’onere probatorio essendo stato necessario qualche documento in più. Nessuna contestazione era stata poi formulata rispetto alle singole argomentazioni adottate nella decisione impugnata”, ed in particolare al richiamo operato dalla Ctp alla regola della libertà delle forme contrattuali prevista nel nostro ordinamento.

4.1. Nel suo ricorso l’Agenzia delle entrate ha evidenziato di non essersi limitata a contestare l’insufficienza delle fatture in relazione alla deducibilità dei costi che la società affermava di avere sopportato per i servizi di facchinaggio di cui aveva usufruito, ma aveva fondato le sue critiche anche sui collegamenti familiari esistenti tra i componenti della società che invocava la deducibilità dei costi e la società che avrebbe fornito i servizi di facchinaggio. Inoltre, aveva pure contestato l’affermazione secondo cui, in conseguenza del principio di libertà delle forme contrattuali, di cui all’art. 1350 c.c., la produzione di fatture risultava sufficiente per la deducibilità dei costi (ric., p. VII). La ricorrente non ha mancato di riportare i passi salienti del proprio atto di appello in proposito, in cui si legge, tra l’altro, che: “le sole fatture rinvenute dai verificatori non potevano, da sole, fugare i dubbi sull’effettività delle prestazioni rese… le fatture sono documenti idonei per giustificare la deduzione di un costo se vi è soltanto una contestazione meramente formale… spetta all’Amministrazione finanziaria… dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria azionata… ma spetta al contribuente documentare che i costi esistono e sono inerenti all’esercizio cui l’accertamento si riferisce”. Non solo, l’Amministrazione finanziaria aveva anche criticato che “appare… non decisiva l’affermazione per cui l’art. 1350 c.c. non preveda per tali prestazioni la redazione di un contratto scritto… dovendo interessare solo l’aspetto fiscale dell’operazione per cui se un’operazione risulta dubbia sia per effettività che per congruenza occorrono dei documenti ulteriori di supporto alla sola fattura… è d’uopo ribadire come vi fosse un indubbio collegamento tra le due società e come ingenti fossero gli importi fatturati a fronte anche di operazioni che di routine potevano essere affidate agli stessi autotrasportatori, già solo questi elementi permettono di dubitare della certezza dei costi… la parte, a fronte di tali dubbi, non ha prodotto elementi utili…” (ibidem). Le contestazioni proposte dall’Agenzia in grado di appello, pertanto, apparivano sufficientemente specifiche, perché ponevano in discussione con chiarezza le argomentazioni proposte dalla Ctp per affermare che, in conseguenza della libertà delle forme contrattuali e della produzione delle fatture, i costi indicati come deducibili potessero ritenersi provati. L’Ente impositore ha contrapposto una pluralità di presunzioni, legate alla composizione societaria delle società coinvolte, alla effettività e congruità (su cui si tornerà nuovamente esaminando il secondo motivo di ricorso) dei costi portati in deduzione, alla inadeguatezza della documentazione prodotta dalla parte ai fini della corretta ripartizione dell’onere probatorio, distinguendo la libertà delle forme che vige in materia contrattuale con le diverse esigenze di prova che si pongono in sede di accertamento tributario. In materia questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire, proponendo un orientamento condivisibile ed al quale si intende pertanto assicurare continuità, che “nel processo tributario, ove il contribuente assolva l’onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell’IVA mediante la produzione delle fatture, l’Amministrazione finanziaria ne può dimostrare l’inattendibilità anche mediante presunzioni, sicché il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno delle operazioni fatturate, ivi compresi i fatti secondari indicati”, Cass. sez. V, 13.2.2015, n. 2935.

Ha errato pertanto la Commissione tributaria regionale a ritenere che le contestazioni proposte dall’Amministrazione finanziaria non fossero sufficientemente specifiche e, non provvedendo ad esaminarle, ha redatto in realtà una motivazione ampiamente incompleta, e pertanto da qualificarsi come meramente apparente.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto.

5. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate critica la impugnata CTR per aver ritenuto l’inammissibilità anche della diversa questione relativa alla congruità dei costi che la società afferma di aver sostenuto per spese di facchinaggio (rilievo I) ed elaborazione dati (rilievo III), oneri che ha portato in deduzione del reddito percepito, affermando che sarebbe stata proposta tardivamente, perché introdotta in grado di appello.

In effetti la Ctr scrive che “in nessun atto nel corso del giudizio di primo grado si è mai fatto riferimento a detta incongruenza”. Diversamente, già nell’avviso di accertamento, anche mediante rinvio al contenuto del processo verbale di costatazione, come riportato in ricorso, l’Amministrazione finanziaria rilevava (rilievo I, p. 6, 7 Pvc, p. III del ricorso, sub motivo 1 e richiamato nel motivo 2), a proposito dell’attività di facchinaggio, che “i costi, per essere considerati deducibili, devono risultare congrui ed adeguati nel rispetto del principio di inerenza”, ed a tal fine “l’Amministrazione finanziaria deve essere in grado di verificare i documenti riguardanti le attività sviluppate dal soggetto… nel caso di specie non è possibile accertare nulla in quanto non esiste alcun contratto scritto, né sono stati forniti gli elementi che potrebbero provare la congruità ed effettività del costo nel suo intero ammontare”, anche perché nelle fatture “non esiste alcun riferimento ai conteggi operati a giustificazione dell’importo evidenziato nei vari elementi”. Altrettanto è a dirsi circa i 10.000,00 Euro ritenuti indeducibili ed iscritti con la dicitura: “elaborazione quotazioni” (rilievo III).

La questione della certezza, adeguatezza, inerenza e congruità dei costi portati in deduzione rappresentava pertanto una questione proposta nell’accertamento tributario sin dalla sua origine, mediante la formazione dell’atto impositivo, ed il richiamo da questo operato al processo verbale di costatazione.

5.1. I ricordati argomenti sono stati semplicemente ripresi nel ricorso in appello osservando, tra l’altro, che “la mancanza di ogni documentazione di supporto comportava una difficoltà oggettiva per i verificatori, sia nell’accertare l’effettività dei costi, che la loro congruenza… in base all’esame delle fatture non era possibile verificare, oltre che l’effettività delle prestazioni, neppure la congruità del costo dedotto, non era possibile comprendere ad esempio il numero del personale impiegato, il tempo e le modalità delle singole prestazioni effettuate…”. In proposito merita di essere ricordato che questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di rilevare che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973 e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente, il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa”, Cass. sez. V, 27.3.2013, n. 7701.

In definitiva la CTR ha errato nel ritenere che la questione della certezza, adeguatezza e congruità dei costi, sia stata introdotta soltanto in grado di appello dall’Amministrazione finanziaria.

Anche il secondo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto.

6. L’impugnazione introdotta dall’Agenzia delle entrate deve essere in conseguenza accolta, e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale di Roma, sezione staccata di Latina, perché, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi di ricorso proposti dall’Agenzia delle entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, perché, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, e provveda anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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