Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20593 del 07/08/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20593 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIANLUCA

ORDINANZA
sul ricorso 5215/2014 proposto da:
LANGELLA ANTONIO, rappresentato e difeso in forza di procura
speciale rilasciata a margine del ricorso dall’avvocato Antonietta
Esposito, elettivamente domiciliato in Roma, via Monzambano n.
5, presso lo studio dell’avvocato Giammarco Sordi;
– ricorrente contro
CATALANO GIOVANNA, rappresentata e difesa in forza di procura
speciale rilasciata in calce al controricorso dagli avvocati Ciro
Gagliardi e Romina Scarano, elettivamente domiciliata presso lo
studio di quest’ultima in Roma, Via Giunio Bazzoni n. 15;
– controricorrente contro
CATALANO LUIGI, rappresentato e difeso in forza di procura
speciale rilasciata in calce al controricorso dagli avvocati Luciano

Data pubblicazione: 07/08/2018

Albero e Giacomo Matrone, elettivamente domiciliato presso il loro
studio in Torre del Greco, via G. Beneduce n. 36;
– con troricorrente contro
NOTO SALVATORE, NOTO PASQUALE e NOTO ANGELA,

al controricorso dall’avvocato Mario Nigro, elettivamente
domiciliati in Roma, via Cosserina n. 2, presso lo studio GriecoAnnarumma;
– controricorrenti nonchè contro
VITIELLO ANTONIO, SCHIAVO ANNA MARIA e SCHIAVO GIULIA:

intimati

avverso la sentenza n. 4261/2013 della Corte d’appello di Napoli,
depositata il 5 dicembre 2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16 febbraio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;
vista la memoria difensiva depositata dal ricorrente ex art. 380 bis
1 c.p.c.

Ritenuto che con atto di citazione notificato in data 20 maggio
1999 Antonio Langella, premesso di aver acquistato da Anna Maria
Schiavo un appartamento a piano terra con annesso terrazzo a
livello sito in Torre del Greco (NA) nel fabbricato di Via Maresca n.
29, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Torre Annunziata,
la condomina Giovanna Catalano, proprietaria di altra unità
immobiliare nello stesso stabile, al fine d; sentire accertare il suo
diritto di proprietà esclusiva sul terrazzo in questione per averlo
acquistato a titolo derivativo dalla Schiavo o, in subordine, a titolo
originario in forza di usucapione;
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rappresentati e difesi in forza di procura speciale rilasciata in calce

che, costituitasi in giudizio, Giovanna Catalano contestava le
avverse pretese deducendo la natura condominiale ex art. 1117
c.c. del vano in contestazione;
che veniva integrato il contraddittorio nei confronti degli altri
condomini dello stabile, Antonio Vitiello, che restava contumace, e

dal Langella e accertarsi la natura condominiale del locale in
questione;
che, nelle more del giudizio, la Catalano proponeva domanda
di reintegra, assumendo di essere stata spogliata del possesso del
locale per averlo l’attore chiuso con una struttura in muratura;
che, accolto il provvedimento possessorio, l’attore chiamava
in causa la dante causa Anna Maria Schiavo al fine di ottenere, in
caso di accoglimento della domanda riconvenzionale, la risoluzione
del contratto con restituzione del prezzo pagato, il risarcimento del
danno e per essere garantito in caso di accoglimento della
domanda della Catalano;
che Anna Maria Schiavo, costituitasi in giudizio, aderiva alla
domanda proposta dall’attore nei confronti della Catalano,
chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi riguardi e di
chiamare in causa la sua dante causa, Giulia Schiavo, al fine di
esserne garantita in caso di accoglimento della domanda della
Catalano;
che, costituitasi in giudizio, Giulia Schiavo deduceva difese
analoghe a quelle di Anna Maria Schiavo e chiamava in causa
Angela, Pasquale e Salvatore Noto, quali eredi della sua dante
causa, Vera Canale, al fine di esserne garantita in caso di
accoclimento della domanda di Giovanna Catalanc;
che il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza depositata
il 29 settembre 2008, rigettava la domanda proposta dal Langella,
accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dalla Catalano e,

Luigi Catalano, il quale chiedeva rigettarsi la domanda proposta

per l’effetto, dichiarava il terrazzo oggetto del contenzioso di
proprietà comune. Confermava il provvedimento possessorio
emesso in corso di causa, dichiarando inammissibili le domande
proposte nei confronti dei terzi chiamati in causa, e compensava
tra le parti le spese di lite, ponendo quelle di consulenza a carico

che avverso detta sentenza il Langella proponeva appello
chiedendo l’accoglimento delle domande proposte in primo grado;
che Giovanna Catalano chiedeva il rigetto dell’appello, con
conferma della sentenza impugnata;
che Luigi Catalano e Anna Maria Schiavo spiegavano appello
incidentale;
che Giulia Schiavo e gli eredi Noto, costituitisi con atti
separati, chiedevano il rigetto dell’appello;
che, con sentenza depositata il 5 dicembre 2013, la Corte
d’appello di Napoli rigettava l’appello principale, accoglieva
l’appello incidentale spiegato da Luigi Catalano e, per l’effetto,
condannava il Langella a corrispondergli le spese del primo grado,
nonché a rimborsare quanto corrisposto per spese di CTU.
Rigettava l’appello incidentale proposto da Anna Maria Schiavo e
condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado di
appello in favore di Giovanna e Luigi Catalano. Dichiarava, infine,
interamente compensate le spese del grado di appello tra il
Langella e Anna Maria Schiavo, Giulia Schiavo e gli eredi Noto;
che avverso la suddetta sentenza Antonio Langella ha
proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi;
che Giovanna Catalano, Luigi Catalano nonché Angela,
Pasquale e Salvatore Noto si sono costituiti con controricorso;
che Antonio Vitiello, Anna Maria Schiavo e Giulia Schiavo non
hanno svolto attività difensiva.

di coloro che le avevano anticipate;

Considerato che con il primo motivo il ricorrente denuncia la
nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Il giudice del gravame, secondo
quanto dedotto, avrebbe errato nel qualificare l’azione del Langella
come rivendica benché non vi fosse domanda di restituzione. La

privato del possesso, a vantaggio della Catalano, benché lo stesso
si fosse dichiarato pieno proprietario e le parti in causa avessero
chiesto di accertare la proprietà. La Corte d’appello, infirie,
avrebbe omesso di pronunciarsi sul capo di domanda tendente ad
accertare l’infondatezza della domanda riconvenzionale della
Catalano e a dimostrare che questa aveva utilizzato il terrazzo
soltanto quale conduttrice dell’appartamento di cui il terrazzo
costituisce pertinenza e non quale proprietaria del diverso
appartamento sito al primo piano;
che con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt.
948, 1117 e 2907 c.c., 99 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c. Secondo quanto prospettato dal ricorrente, non sarebbe
dato comprendere le argomentazioni logico-giuridiche sottese alla
qualificazione del terrazzo come “condominiale” posto che lo
stesso non rientra tra i beni elencati nell’art. 1117 c.c., né siffatta
qualificazione trova conforto nei titoli allegati;
che con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 948, 1168 e 1117 c.c., 113, 704 e 705
c.p.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. parte
ricorrente sostiene che essendo stato introdotto in giudizio
possessorio, la sua concessione avrebbe “esautorato” l’azione
petitoria, dal momento che il giudice non avrebbe mai potuto
annullare il suo stesso provvedimento, sicché ogni successiva
azione sarebbe risultata viziata da tale provvedimento, mentre la
decisione finale sarebbe stata adattata alla tutela del possessorio;

Corte d’appello avrebbe inoltre erroneamente ritenuto il Langella

che i primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente, sono
infondati;
che

il

giudice

del

merito,

nell’indagine

diretta

all’individuazione del contenuto e della portata delle domande
sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al

contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto
sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla
natura delle vicende dedotte e rappresentate -dalla parte istante
(Cass. 7 gennaio 2016, n. 118; Cass. 19 ottobre 2015, n. 21087);
che l’interpretazione della domanda rientra nella valutazione
del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove
motivata in modo sufficiente e non contraddittorio (Cass. 24 luglio
2012, n. 12944);
che, nel caso di specie, la Corte d’appello, sulla base degli atti
processuali, ha motivatamente qualificato la domanda principale
proposta dall’attore come rivendica, riconducendo quella
riconvenzionale all’accertamento della natura condominiale del
bene, per cui nessuna censura può essere formulata in questa
sede;
che in tema di condominio negli edifici, per tutelare la
proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117
c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore
richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo,
essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che
esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento
collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o
funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei
singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a
principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà
esclusiva darne la prova (Cass. 7 maggio 2010, n. 11195);

tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono

che non vi è stata alcuna omessa pronuncia con riferimento
alla domanda tendente ad accertare l’infondatezza della domanda
riconvenzionale, avendo la Corte d’appello confermato le
valutazioni compiute dal giudice di prime cure con riferimento alla
natura condominiale del terrazzo, dedotta dall’esame degli atti di

la natura comune dell’area coperta oggetto del giudizio;
che, per contro, la Corte d’appello ha ritenuto che l’attore non
ha provàto di aver posseduto in via esclusiva del bené, escludendo
gli altri condomino dal godimento per il tempo necessario per la
usucapione;
che, ai sensi dell’art. 704 c.p.c., il provvedimento possessorio
emesso nel corso del giudizio petitorio ha natura esclusivamente
interinale ed è destinato ad essere assorbito dalla pronuncia che
conclude il procedimento a cognizione piena nel quale è stato
emesso (Cass. 16 giugno 2008, n. 16220), per cui nessuna
violazione risulta essere stata commessa sotto tale profilo;
che con il quarto motivo parte ricorrente contesta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c.,
2697 c.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Secondo
quanto evidenziato, in mancanza di una eccezione o deduzione sul
punto, con riferimento alle risultanze istruttorie, il giudice del
gravame non poteva attribuire al bene controverso una definizione
tecnica diversa e, comunque, fuori dal senso comune, qualificando
il terrazzo a livello come portico. Il giudice, infatti, non avrebbe
spiegato per quale motivo un terrazzo a livello non possa essere
ubicato al piano terra, prevalendo il carattere della pertinenza
rispetto all’unità immobiliare. Sotto altro profilo si deduce che
l’insieme delle prove legali dedotte avrebbe evidenziato che la
piena proprietà del terrazzo a livello si era già consolidata in capo
all’originaria dante causa (Vera Canale), che l’aveva trasferita ai

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vendita e della consulenza tecnica d’ufficio, che hanno evidenziato

successivi proprietari. Le risultanze istruttorie e la consulenza
d’ufficio avrebbero comunque dimostrato la fondatezza della
domanda di accertamento dell’usucapione proposta in via
subordinata, richiamando un periodo di possesso qualificato e
ininterrotto a far data dal 1986, data in cui l’appartamento in

del frazionamento effettuato dalla proprietaria dell’epoca, Vera
Canale, che aveva esercitato un legittimo possesso anche tramite
l’inquilina, Giovànna Catalano;
che il motivo è infondato;
che la valutazione delle risultanze istruttorie è riservata al
giudice del merito e la Corte d’appello ha dato conto delle ragioni
in base alle quali ha ritenuto di dover confermare la decisione di
prime cure alla luce della consulenza tecnica d’ufficio disposta e
delle ulteriori risultanze documentali;
che la parte invero prospetta una inammissibile rivalutazione
degli esiti dell’istruttoria compiuta, non potendo le deduzioni svolte
– sotto altro profilo – essere ricondotte al vizio di cui all’articolo
360, comma 1, n. 5 c.p.c. nella sua attuale formulazione che
contempla, unicamente, l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti e nella specie non
dedotto;
che con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 180, 183 e 269, comma 3, c.p.c. in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente si
lamenta del fatto che il giudice del primo grado ha dichiarato
l’inammissibilità della chiamata in causa di Annamaria Schiavo,
dante causa del Langella, dopo averla autorizzata, lì dove la
relativa eccezione era stata sollevata tardivamente soltanto dopo
la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. La sentenza,
pertanto, sarebbe illegittima non avendo valutato siffatti elementi

oggetto si era configurato nella sua consistenza attuale per effetto

di diritto, mentre la dichiarazione di inammissibilità delle chiamate
in causa avrebbe determinato la violazione del principio di tutela
dell’ordine pubblico alla celerità dei processi. Essendosi tutte le
parti tempestivamente costituite senza alcuna preclusione,
l’ingiustificato annullamento di tale attività contrasterebbe con la

dell’attore che, chiamando in causa la venditrice, ha dichiarato di
volersi avvalere della norma di cui all’art. 1485 c.c. la quale
prevede che, in mancànza di tempestivo esercizio della facoltà, il
compratore perde la dedotta garanzia. I chiamati in causa, quindi,
hanno partecipato all’attività istruttoria, ampliandola, sicché la loro
presenza non poteva correttamente essere eliminata con una
pronuncia di inammissibilità;
che il motivo è infondato;
che la chiamata in causa di un terzo, a differenza dell’ordine
di integrazione del contraddittorio

ex art. 102 c.p.c., involge

valutazioni circa l’opportunità di estendere il contraddittorio ad
altro soggetto ed è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice
di primo grado, onde il relativo potere, comunque esercitato, in
senso positivo o negativo, non può essere oggetto di censura con
il mezzo dell’appello o del ricorso per cassazione (ex plurimis Cass.
28 marzo 2014, n. 7406; Cass. 22 maggio 1997, n. 4568);
che improprio è il richiamo ai principi del giusto processo e
della celerità dei tempi di trattazione, nonché del diritto di difesa,
giacché nella specie non si configura alcuna loro lesione;
che con il sesto motivo si denuncia la violazione degli artt. 91
e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. La
sentenza impugnata sarebbe illegittima nella parte in cui ha
accolto l’appello incidentale, proposto dal convenuto Luigi
Catalano, avente ad oggetto la parte della sentenza di primo grado
in cui erano state compensate interamente tra le parti le spese di

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regola del giusto processo e col principio del diritto alla difesa

giudizio, ivi comprese quelle della CTU, ritenendo che, sul punto,
non fosse comprensibile in che modo “la natura della controversia”
e la “qualità delle parti” avessero potuto incidere sulla decisione.
La motivazione della corte d’appello avrebbe violato gli artt. 91 e
92 c.p.c. nella formulazione vigente alla data del primo grado,

vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il
giudice può compensare parzialmente o per l’intero le spese tra le
parti”. Il giudice di prime -cure, invece, avrebbe fatto corretta
applicazione di tale norma, riferendosi implicitamente alla
complessità della vicenda e al comportamento processuale delle
parti;
che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle
spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello
introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre
2005, n. 263, deve trovare un adeguato supporto motivazionale,
anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni
specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le
ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal
complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la
valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in
cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente
vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e
contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il
processo decisionale (Cass. 2 dicembre 2010, n. 24531; Cass. 31
luglio 2009, n. 17868);
che, nel caso di specie, la Corte d’appello ha riformato la
decisone di compensazione delle spese in primo grado tra l’attore
e Luigi Catalano ritenendo non comprensibile il riferimento del
tutto generico alla “natura della controversia” e alla “qualità delle

ossia al 1999, allorché l’art. 92, comma 2, c.p.c. stabiliva che “se

parti”,

regolando il governo delle spese sulla base della

soccombenza;
che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30

– ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge di’Stabilità 2013), che ha aggiunto
il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso
delle spese processuali, che si liquidano in euro 4.200,00 per
ciascuna parte controricorrente, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012,
dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 16 febbraio 2018.
Presidente
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DEPOSiTATO t CANCELLERIA

Roma, 0 7 Miu. 2018′

gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto

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