Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20592 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 31/07/2019), n.20592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25450/2014 R.G. proposto da:

B.F., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in atti, dall’Avv. Giovanni Minestroni ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Fabrizio Fava in Roma, via

Tagliamento, n. 10;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche, n. 257/2/14, depositata l’11 agosto 2014 e notificata al

ricorrente l’8 settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 aprile 2019

dal Consigliere Dott. Cataldi Michele;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. de Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. dello Stato Alfonso Peluso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ha notificato al contribuente B.F. avviso di accertamento in materia di IRPEF, IRAP ed IVA, relative all’anno d’imposta 2007.

2. Avverso tale atto impositivo, il contribuente ha proposto ricorso dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Macerata, che lo ha dichiarato inammissibile, in quanto tardivamente proposto.

3. Lo stesso contribuente ha quindi proposto appello, contro la sentenza di primo grado, dinnanzi alla Commissione tributaria regionale delle Marche, che lo ha respinto.

4. Il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, formulando due motivi.

5. L’Agenzia delle Entrate si è costituita, notificando e depositando controricorso.

6. Il Ministero dell’economia e delle finanze è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, è inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, che non era parte del giudizio a quo, atteso che in tema di contenzioso tributario, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dall’1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Cass., 25/10/2006, n. 22889).

2.Tanto premesso, con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura la sentenza impugnata per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, assumendo che la CTR non avrebbe tenuto conto della circostanza che l’avviso di accertamento, notificato a mezzo posta al contribuente, era stato ritirato da quest’ultimo – casualmente, non avendo ricevuto previa raccomandata informativa- presso l’ufficio postale 11 febbraio 2013, data che costituirebbe pertanto il dies a quo del termine per proporre tempestivo ricorso avverso il medesimo atto impositivo.

Pertanto, secondo il contribuente, il ricorso proposto, dinanzi alla CTP, l’11 giugno 2013, dovrebbe considerarsi tempestivo, computando dalla predetta data dell’1 febbraio 2013 il termine legale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21,comma 1, e tenendo conto della sospensione di quest’ultimo per 90 giorni, D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, comma 3, a seguito della richiesta di accertamento con adesione, formulata dal contribuente.

2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto formulato ai sensi

dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, precedente alla novella introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis in relazione alla data di pubblicazione della sentenza impugnata, che consente invece l’impugnazione nel solo caso dell'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. Giova, peraltro, aggiungere, per completezza, che comunque il “fatto” della data di ritiro dell’atto impositivo presso l’ufficio postale è stato esaminato nella motivazione della sentenza impugnata, che tuttavia non ne ha tratto, in diritto, le conseguenze auspicate dal contribuente.

3. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la sentenza impugnata per “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto” censurando nuovamente il giudice a quo per non aver fatto decorrere il termine per impugnare l’avviso di accertamento dalla data (1 febbraio 2013) nella quale il contribuente ha effettivamente ritirato tale atto presso l’ufficio postale.

3.1. Il motivo è inammissibile, poichè non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata e, comunque, neppure è autosufficiente.

Infatti, non risulta contestato dal ricorrente (ed anzi è dato per presupposto: cfr. pagg. 3 e 4 del ricorso) che, come si ricava dalla sentenza impugnata (e come è confermato dalle difese dell’Ufficio) la notifica dell’avviso di accertamento in questione sia avvenuta a mezzo posta ed ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, commi 2 e 5, il quale dispone che se l’agente postale non può recapitare il piego per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone cui esso può essere consegnato, lo deposita lo stesso giorno presso l’ufficio postale, dandone notizia al destinatario mediante avviso a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, e la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione di quest’ultima raccomandata ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore.

Non è pertanto rilevante, ai fini del perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, la data dell’effettivo ritiro dell’atto presso l’ufficio postale dove esso è stato depositato, ove essa, come è pacifico nel caso di specie, sia successiva al decorso di dieci giorni dalla spedizione della lettera raccomandata contenente l’avviso dell’avvenuto deposito.

E’ applicando tali principi che la CTR ha determinato, come dies a quo del termine per impugnare l’avviso d’accertamento, la data del 28 dicembre 2012, in luogo di quella successiva dell’1 febbraio 2013, dedotta dal contribuente con riferimento al momento del ritiro dell’atto impositivo depositato presso l’ufficio postale.

Non contrastano con tale modalità di perfezionamento della notifica le deduzioni in fatto del ricorrente – peraltro formulate all’interno del primo motivo di ricorso, già dichiarato inammissibile – secondo cui vi sarebbe stata “incompletezza dell’indirizzo postale sul plico raccomandato” e la raccomandata contente l’avviso di deposito sarebbe stata spedita ad un “indirizzo errato del destinatario”: si tratta infatti di affermazioni (peraltro anche in contrasto tra loro, non equivalendo l'”incompletezza” all'”errore”) del tutto generiche in ordine alla natura ed all’oggetto della pretesa carenza e dell’asserito “errore”, e dunque non autosufficienti, tanto più in considerazione del contrario accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata, nella quale, sul punto, si dà atto invece che la notifica “è, certamente, avvenuta presso l’effettivo luogo di residenza dell’appellante”.

Tanto premesso in ordine all’inammissibilità del motivo, deve peraltro darsi atto che, se computata con riferimento al dies a quo del 28 dicembre 2012, non è contestata la tardività del ricorso introduttivo del contribuente (pacificamente introdotto l’11 giugno 2013), pur applicando la sospensione conseguente all’istanza di accertamento con adesione, per cui non sussiste, comunque, l’errore di diritto imputato alla CTR.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Per quanto qui interessa, deve darsi atto il ricorrente si è limitato a dedurre, nel ricorso, di “avere i requisiti per il gratuito patrocinio”, e di avere allegato la richiesta presentata all’Ordine degli Avvocati competente per territorio. Non risulta pertanto l’avvenuta ammissione del contribuente al patrocinio a spese dello Stato, che peraltro la recente giurisprudenza di questa Corte ritiene comunque irrilevante al fine di escludere il provvedimento meramente ricognitivo dell’obbligazione tributaria ex lege del versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che deriva dal rigetto, dalla dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità dell’impugnazione (Cass., 05/04/2019, n. 9660).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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