Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20590 del 30/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 30/08/2017, (ud. 16/05/2017, dep.30/08/2017),  n. 20590

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8242/2012 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 2, presso lo studio dell’avvocato GAETANO

ANTONIO SCALISE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARVISIO 2,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO CANONACO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SANTO DALMAZIO TARANTINO, giusta delega in

calce al ricorso introduttivo;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 243/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/03/2011 R.G.N. 908/2009.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato:

1. che la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado la quale, in accoglimento della domanda di B.M., aveva condannato il convenuto C.G. al pagamento della somma in dispositivo indicata a titolo di differenze retributive dovute in relazione al rapporto di lavoro inter partes riconosciuto di natura subordinata in relazione all’intero periodo dedotto (12.4.1986/31.7.2000) in domanda;

1.1. che, in particolare, il giudice di appello ha respinto la eccezione di inammissibilità della domanda giudiziale, fondata sulla preclusione scaturente da precedente accordo transattivo, avendo escluso la configurabilità di un negozio transattivo, nel documento con il quale il B. aveva dichiarato “di non avere nulla a pretendere al fine di tutte le mie spettanze – tanto anche in via transattiva-“.

1.2. che in relazione al periodo 1991/2000, per il quale il C. aveva sostenuto l’esistenza di un rapporto di consulenza, a fronte del pacifico nonchè documentato rapporto di lavoro subordinato relativo al periodo precedente, il giudice di appello, pur riconoscendo la genericità e non univocità della prova orale sul punto, ha rilevato che il C. non aveva assolto all’obbligo su di lui gravante di dimostrare la intervenuta modifica della natura della prestazione e neppure offerto elementi di specificazione in relazione al dedotto sopravvenuto incarico di consulenza conferito al B.;

1.3. che il giudice di appello ha altresì respinto la censura attinente alla corretta individuazione del contratto collettivo applicabile al fine della determinazione delle differenze spettanti, sul rilievo che, pur dovendosi convenire con l’appellante in merito all’inapplicabilità del contratto collettivo studi professionali, richiedente imprescindibilmente l’iscrizione del titolare ad un albo professionale, e con l’applicabilità, invece, del contratto collettivo settore commercio e, quindi, a partire dal momento in cui è stata configurata una disciplina separata, del contratto collettivo previsto per i centri di elaborazione dati, la mancata allegazione degli stessi da parte del C. precludeva ogni verifica in ordine all’eventuale minor importo delle differenze retributive conseguente all’applicazione della corretta disciplina collettiva; ha evidenziato che il primo giudice aveva, comunque, fatto riferimento all’art. 36 Cost., ritenendo congrua la disciplina prevista per il III livello dal contratto collettivo studi professionali;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.G. sulla base di quattro motivi;

3. che l’intimato ha resistito con tempestivo controricorso;

4. che parte ricorrente ha depositato memoria con la quale ha preliminarmente eccepito la tardività del controricorso;

Considerato:

1. che preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di tardività del ricorso formulata dalla parte controricorrente sul rilievo che, essendo la sentenza di appello stata depositata il 21.3.2011, al momento della spedizione del ricorso per cassazione – in data 21.3.2012 – era ormai decorso il termine annuale di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c.;

1.1. che, invero, questa Corte ha chiarito che il computo del termine di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., è operato, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 2, e art. 2963 c.c., comma 4, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, sicchè, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel periodo, il termine scade allo spirare della mezzanotte del giorno del mese corrispondente a quello in cui il termine ha cominciato a decorrere (Cass. 31/08/2015 n. 17313, Cass. 4/10/ 2013, n. 22699, Cass. 9.7.2012 n. 11491) sicchè la scadenza del termine si ha al compimento del giorno del mese corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato, cominciando il termine a decorrere dalla mezzanotte del dies a quo e completandosi – perciò – alla mezzanotte del giorno del mese corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato (Cass. 29/9/ 2000, n. 12935; Cass. 25/6/ 1987 n. 5607; Cass. 1/6/ 1983, n. 3758);

2. che deve essere parimenti respinta la eccezione di tardività del controricorso in quanto lo stesso risulta consegnato per la notifica il giorno 7 maggio 2012 (v. nota spese ufficiale giudiziario, in calce) e, quindi, nel rispetto dei venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso (notificato il 27 marzo 2012), considerato, altresì, che, poichè il giorno di scadenza per il deposito del controricorso, coincideva con il 6 maggio 2012, cadente di domenica, operava la proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4;

3. che con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 2113 c.c., in relazione agli artt. 1362 e 1363, nonchè insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, censurandosi la decisione per avere escluso la natura transattiva dell’atto in data 14.11. 2000; si richiama la giurisprudenza di legittimità (Cass. 15/5/2003 n. 7548, Cass. 08/06/2007 n. 13389) secondo la quale al fine della configurazione del negozio transattivo non è necessaria l’esteriorizzazione delle contrapposte pretese nè delle reciproche concessioni, l’esistenza dell’intento transattivo ben potendo desumersi dalle espressioni utilizzate in concreto.

4. che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2094 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; si censura la decisione per avere posto a carico della parte datrice l’onere di provare la modifica del rapporto e per avere ritenuta raggiunta la prova della natura subordinata del rapporto in relazione al periodo dedotto sulla base della inadeguata valutazione della prova orale;

5. che con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 416 c.p.c., e comunque dell’art. 437 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo; si censura la decisione per avere il giudice di appello, da un lato affermato l’erroneità del richiamo operato dal B., al fine della determinazione della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., al contratto collettivo studi professionali e dall’altro, per non avere, il giudice di appello, avvalendosi dei poteri di ufficio, disposto l’acquisizione dei contratti collettivi non prodotti dalla parte;

6. che con il quarto motivo si deduce omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, censurandosi la decisione per non avere pronunziato sulla eccezione di prescrizione formulata in prime cure e reiterata in appello; si deduce inoltre la carenza di interesse ad agire del B., evincibile dalla protratta inerzia dello stesso, attivatosi giudizialmente ad oltre quattro anni di distanza dalla cessazione del rapporto;

7. che il primo motivo di ricorso è infondato in quanto il giudice di appello ha escluso la natura transattiva dell’atto a firma del B. sulla base di una complessiva valutazione del medesimo, rilevando, in concreto, l’assoluta assenza di elementi idonei a dimostrare i presupposti dell’atto transattivo quali la res litigiosa, le reciproche concessioni, la volontà di porre fine a una lite; ha, inoltre, fatto riferimento alla condotta delle parti avendo, in particolare, ritenuto inverosimile che il C., a fronte di un rapporto lavorativo durato circa quattordici anni, di cui dieci non formalizzati, si fosse astenuto dalla specifica enunciazione delle diverse posizione contrapposte con menzione della specifica pretesa economica del B., e si fosse limitato a pretendere da quest’ultimo l’annotazione che la somma di lire 25.000.000 era stata corrisposta “anche in via transattiva; in altri termini, la esclusione della natura transattiva non è stata ancorata al dato formale della mancata esplicitazione dei presupposti del negozio transattivo nel documento richiamato ma alla carenza assoluta di elementi atti a dimostrare, pur in assenza di puntuale esplicitazione, i presupposti del negozio transattivo; in questa prospettiva non pertinente si rivela la giurisprudenza di legittimità richiamata dal ricorrente a sostegno delle censure articolate atteso che, le pronunzie evocate, sul presupposto che nel contratto di transazione la prova scritta è richiesta dalla

legge soltanto “ad probationem”, si limitano a ritenere non ostativa alla qualificabilità di un contratto come transazione, ai sensi dell’art. 1975 c.c., il fatto che le reciproche concessioni tra le parti intese a far cessare la situazione di dubbio in atto non siano specificamente indicate nel documento ma possano emergere dal complesso dell’atto nonchè da elementi;

8. che il secondo motivo di ricorso è infondato per essere la decisione impugnata conforme al condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale, in caso di sopravvenuta trasformazione di un rapporto di lavoro subordinato in un diverso rapporto di lavoro, con il conseguente svolgimento della prestazione sulla base di un titolo negoziale diverso, deve essere dimostrata dalla parte che deduce la trasformazione a seguito di uno specifico negozio novativo, il quale presuppone, innanzi tutto, che risulti la chiara ed univoca volontà delle parti di mutare il regime giuridico del rapporto. (Cass. 24/10/2016 n. 21366, Cass. 08/04/2009 n. 8527).

9. che il terzo motivo di ricorso, laddove denunzia violazione dell’art. 437 c.p.c., è inammissibile alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizi o fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori” (Cass. 23/10/2014 n. 22534Cass. 12/03/2009 n. 6023), non avendo parte ricorrente allegato prima ancora che dimostrato mediante autosufficiente richiamo agli atti e documenti di causa, di avere sollecitato l’acquisizione del contratto collettivo che asserisce applicabile;

9.1. che parimenti inammissibile è il motivo in esame laddove denunzia violazione degli oneri di allegazione e prova gravanti su controparte in ordine al contratto collettivo applicabile in quanto non considera che il giudice di appello, con affermazione rimasta incontrastata, ha dato atto che l’applicazione del contratto collettivo studi professionali era stata, dal primo giudice, ritenuta congrua sulla base dell’art. 36 Cost.;

10. che il quarto motivo di ricorso, nella parte in cui denunzia l’omessa pronunzia sulla eccezione di prescrizione (come interpretabile alla luce della relativa illustrazione – v. Cass. 03/08/2012 n. 14026, Cass. 30/03/2007 n. 7981) è fondato, mentre risulta inammissibile in ordine alla denunzia di omesso rilievo della protratta inattività del B., come espressione della carenza di concreto interesse ad agire, questione che, in quanto non trattata dalla sentenza di appello, richiedeva la allegazione in ricorso non solo della avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la indicazione dell’atto atto del giudizio nel quale era stata formulata (precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (cfr. tra le altre, Cass. 22/01/2013 n. 1435);

che all’accoglimento del quarto motivo, nei limiti sopra indicati, consegue la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con rinvio, anche al fine del regolamento delle spese di lite a d altro giudice di secondo grado che si designa nella Corte d’appello di Reggio Calabria.

PQM

 

La Corte accoglie il quarto motivo per quanto di ragione e rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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