Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2059 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. III, 28/01/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 28/01/2021), n.2059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29808-2018 proposto da:

FONDERIA CONDY SAS, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G.BELLI

39, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LEMBO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNA DI NUNZIO;

– ricorrente –

contro

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27,

presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA ROSATI, rappresentata e

difesa dagli avvocati FEDERICO ANTICH, MASSIMO CESARONI;

– controricorrente –

e contro

M.G., G.G., D.R.S.,

D.R.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 687/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, con sentenza del 28 marzo 2012, accoglieva parzialmente le domande proposte da D.M., in proprio e quale erede di B.W., nei confronti di Fonderia in Metalli Condy S.r.l., G.G., M.G., D.R.S. e D.R.A., dichiarava la simulazione assoluta del verbale di conciliazione del 4 gennaio 2001 davanti al giudice di pace di Monsummano Terme con cui i convenuti D. avevano venduto i mobili a G. e M., dichiarava opponibile la simulazione alla convenuta Fonderia quale soggetto terzo e conseguentemente dichiarava inefficace nei confronti dell’attrice un atto di compravendita immobiliare del 10 aprile 2001 stipulato da G. e M. con la società.

Quest’ultima, divenuta Fonderia Condy s.a.s., proponeva appello principale; si costituiva D.M. proponendo appello incidentale.

La Corte d’appello di Firenze, con ordinanza del 12 aprile 2016, non risultando perfezionata la notifica dell’appello principale a D. R.S. e D. R.A. – fratelli residenti negli Stati Uniti -, assegnava termine per la rinnovazione della notifica fino al 31 dicembre 2016, rinviando l’udienza di discussione al 27 novembre 2018.

Anticipata poi una seconda udienza, su istanza di D.M., al 28 novembre 2017, la corte territoriale tratteneva la causa in decisione in tale sede, e quindi, con sentenza del 23 marzo 2018, dichiarava estinto il giudizio per non essere stata perfezionata la notifica nel termine perentorio di rinnovazione concesso nei confronti di D. R.A..

Fonderia Condy ha proposto ricorso, da cui si è difesa con controricorso D.M., che ha pure depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1 Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dei “canoni legali d’ermeneutica” di generale valenza, e vizio motivazionale relativo alla loro applicazione, nonchè difetto motivazionale in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere che, chiedendo la rimessione in termini, l’attuale ricorrente all’udienza del 27 novembre 2017 e poi nella comparsa conclusionale abbia dichiarato di non avere notificato gli atti di integrazione del contraddittorio, e quindi non ottemperato all’ordine di rinnovazione della notifica. La ricorrente, invece, “nella sopraddetta sede ed udienza” avrebbe depositato gli atti notificati ai contumaci D. entro il 31 dicembre 2016 e chiesta la rimessione in termini per essere i plichi notificati ancora “in lavorazione presso lo Stato estero” per la consegna: e quindi “sarebbe stato più corretto” non anticipare l’udienza e tenere quella originariamente fissata al 27 novembre 2018, considerato che “l’eventuale mancato perfezionamento del procedimento di notificazione non dipendeva da colpa del ricorrente”.

1.2 n motivo appare privo di interesse a suo sostegno e comunque eccentrico: qualora la questione sia la mancanza di colpa per non essere stato raggiunto il perfezionamento della notifica, va ricordato che il termine concesso era il 31 dicembre 2016, e quindi l’assenza di colpa avrebbe ben potuto già farsi valere all’udienza del 28 novembre 2017.

La censura patisce quindi una evidente inammissibilità.

2.1 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme del codice di rito e dei principi sulla costituzione delle parti e sulla sanatoria dei vizi della notifica di cui agli artt. 291 ss. c.p.c. il giudice d’appello, anzichè rigettare l’istanza di D.M. di anticipazione dell’udienza per consentirgli di verificare la regolarità della notifica, avrebbe “annullato” l’udienza già fissata per la discussione al 27 novembre 2018 così di fatto impedendo “ai convenuti contumaci, fino a quel momento”, la possibilità di costituirsi fino al 27 novembre 2018 sanando “l’eventuale vizio” della notifica imputabile alla ricorrente.

L’atto d’appello sarebbe stato loro “regolarmente notificato”, per cui i fratelli D. sarebbero “stati portati a conoscenza” dell’appello. Inoltre, “l’atto di integrazione del contraddittorio” sarebbe stato regolarmente consegnato presso la sede lavorativa a D. R.A., e D. R.S., essendone il fratello, sarebbe stato inverosimile che non fosse stato informato da lui vitale consegna; e per di più D. R.S. sarebbe stato informato dell’udienza fissata al 27 novembre 2018 “attraverso la rete dei social” dal figlio di Br. Pi., legale rappresentante della ricorrente. “La eventuale costituzione in giudizio di detti convenuti e/o la eventuale prova che la mancata consegna degli atti era dipesa da un rifiuto illegittimo degli stessi fratelli D. e/o da cause non dipendenti” dalla ricorrente “avrebbe consentito alla Corte di accertare le doglianze” della ricorrente stessa avverso la sentenza di primo grado, e le avrebbe impedito di dichiarare anticipatamente estinto il giudizio.

2.2 L’espressione che l’atto d’appello sarebbe stato “regolarmente notificato” ai fratelli D. è in effetti un asserto generico, non indicando la ricorrente i necessari dati specifici per comprenderlo e valutarlo; sul punto il ricorso è generico anche nella premessa del ricorso, anzi questa giunge ad esporre i fatti in modo non coincidente. A pagina 12 del ricorso – la conclusione della premessa – si espone infatti che all’udienza del 28 novembre 2017 “parte appellante depositava gli atti di integrazione del contraddittorio notificati ed il difensore della Fonderia… faceva presente che era ritornato al mittente solamente la cartolina a/r di ricevimento del sig. D.R.S. e, considerato che dalle ricerche effettuate presso le poste italiane i plichi contenenti gli atti da notificare presso gli indirizzi di residenza dei… D. risultavano essere ancora in lavorazione presso lo Stato estero e che vi era ancora il tempo sufficiente per notificare nuovamente gli atti di integrazione del contraddittorio per l’udienza del 28.11.18, chiedeva la rimessione in termini”. E’ dunque da intendere che l’espressione “atti di integrazione del contraddittorio notificati” si riferisce solo all’attività del notificante, non includendo la ricezione, cioè il perfezionamento della notifica.

Comunque anche questo motivo è eccentrico: si basa su una mera eventualità di condotte dei fratelli D., mentre qui rilevano la procedura di notificazione effettuata dalla ricorrente, la correttezza o meno dell’applicazione da parte del giudice d’appello dell’art. 291 c.p.c. in conseguenza ad essa e la questione se la ricorrente aveva o meno il diritto ad essere rimessa in termini.

Pure questo motivo perciò risulta inammissibile.

3.1 Il terzo motivo denuncia omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. “sull’effetto estintivo dell’appello” prodottosi alla scadenza del termine perentorio del 31 dicembre 2016, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La corte territoriale avrebbe dichiarato estinto il giudizio d’appello ritenendo non rilevante l’anticipazione dell’udienza per essersi l’effetto estintivo verificato già il 31 dicembre 2016. Sarebbe stata invece ingiusta l’anticipazione dell’udienza a seguito dell’istanza di D.M. che paventava “una eventuale irregolarità del procedimento di notificazione degli atti di citazione di integrazione del contraddittorio”. “Dopo il termine” per la notifica, il precedente difensore dell’attuale ricorrente, su richiesta del difensore dell’attuale controricorrente, si sarebbe recato all’Ufficio ricezioni atti della Corte d’appello per depositare gli atti notificati, ove l’addetta alla ricezione avrebbe peraltro affermato che “non vi era stato alcun provvedimento della Corte sul punto” e che la parte non sarebbe stata obbligata al deposito, potendolo effettuare sino alla fissata udienza del 27 novembre 2018. Il difensore dell’attuale ricorrente si sarebbe allora recato “presso lo studio dei predetti difensori”, per esibire gli atti notificati e informare che la Fonderia era venuta a conoscenza della trascrizione della domanda di D.M. su un altro immobile, proponendo l’eliminazione di tale trascrizione. Il 7 agosto 2017 sarebbe stato notificato al difensore dell’attuale ricorrente provvedimento del giudice d’appello che accoglieva l’istanza di anticipazione dell’udienza, istanza nella quale si sarebbe chiesto di verificare la regolarità della notifica. Nella conclusionale, la difesa della Fonderia avrebbe argomentato per dimostrare che non si voleva “allungare i tempi del processo” visto che “l’udienza era già stata fissata” il 27 novembre 2018. Semmai sarebbe quindi da segnalare il “comportamento ostruzionistico” dei due fratelli D.. Dunque, l’attuale ricorrente avrebbe introdotto il giudizio “con appello regolarmente iscritto a ruolo”, per cui l’udienza di prima comparizione sarebbe stata fissata il 27 novembre 2018.

3.2 Anche tutti gli argomenti appena esposti non risultano in effetti dotati di pertinenza o comunque consistenti, non essendo vietata dal codice di rito l’anticipazione di udienza per verificare gli esiti della rinnovazione di notifica; e, considerato il principio della ragionevole durata del processo, non è certo criticabile il fatto che il giudice d’appello abbia incamerato e deciso, poich come già accennato a proposito del primo motivo, per chi avrebbe dovuto notificare era già scaduto il termine, ed era passato quasi un anno per verificare se l’attività di notifica compiuta dal chiamante si era perfezionata dal lato del chiamato con la ricezione, ex art. 149 c.p.c..

4.1 Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c. e violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c..

Il giudice d’appello avrebbe errato rigettando l’istanza di rimessione in termini dell’attuale ricorrente, seguendo una giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 2, 30 maggio 2017 n. 13637) per cui l’inottemperanza all’ordine di rinnovazione della notifica dell’appello rende l’appello inammissibile ai sensi dell’art. 291 c.p.c. se il rinnovo è totalmente omesso, mentre se la rinnovazione è eseguita oltre il termine assegnato il processo si estingue.

Nel caso in esame non si verificarono nè inottemperanza dell’ordine di rinnovazione, nè esecuzione oltre il termine della rinnovazione di notifica: la ricorrente avrebbe rispettato il termine del 31 dicembre 2016 “depositando gli atti di citazione di integrazione del contraddittorio” il 16 dicembre 2016 e compiuto “una nuova notifica” presso le sedi lavorative dei fratelli D. il 31 dicembre 2016, come risulterebbe dagli atti depositati in originale all’udienza del 28 novembre 2017. La perentorietà del termine impedirebbe che “la notifica che dovesse essere stata rinnovata entro il termine stabilito”, anche se eventualmente viziata (ma qui sarebbe stata eseguita “la notifica ar prevista dalle convenzioni”, però “le cartoline a/r dell’atto di integrazione non sono state restituite al mittente”), possa sanarsi con un ulteriore termine, “salva la facoltà di eseguire un’altra valida notifica” fino alla decadenza ex art. 163 bis c.p.c. (e nel caso in esame l’udienza fissata era il 27 novembre 2018 per cui la notifica avrebbe potuto essere ancora eseguita), visto che, inoltre, tutti i convenuti potevano costituirsi fino al 27 novembre 2018. Per questo la ricorrente avrebbe chiesto la rimessione in termini della rinnovazione della notifica “e conseguentemente la rimessione della causa sul ruolo” confermando l’udienza del 27 novembre 2018.

4.2 n motivo non è del tutto perspicuo; comunque, interpretandolo secondo l’ermeneutico principio conservativo, si profila una censura della omessa rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. da parte del giudice d’appello.

La corte territoriale ha applicato l’art. 291 c.p.c. in sostanza fondandosi sulla perentorietà del termine concesso per la rinnovazione della notifica (si noti, per inciso, che nel controricorso si invoca invece l’art. 331 c.p.c.), seguendo proprio Cass. 13637/2017.

Dalla descrizione dei fatti processuali offerta dal motivo emerge che la rinnovazione fu (ri)tentata anche quando era quasi del tutto consumato il tempo concesso: “la ricorrente ha rispettato il termine perentorio… depositando gli atti di citazione di integrazione del contraddittorio il giorno 16 dicembre 2016 ed ha provveduto ad una nuova notifica presso le sedi lavorative dei fratelli D. il giorno 31 dicembre 2016 come risulta dagli stessi atti depositati in originale all’udienza del 28.11.17” (ricorso, pagina 17). Affermare che gli atti di citazione di integrazione sarebbero stati “depositati” il 16 dicembre 2016 non consente di stabilire quando fu avviata la prima notifica, per cui l’unica data al riguardo è il 31 dicembre 2016 – quella della seconda notifica -, e ciò conferma che anteriormente non era stato ancora raggiunto il perfezionamento della notifica.

E’ comunque pacifico che non è stato raggiunto il perfezionamento per entrambi i fratelli D., dato che la stessa ricorrente chiese al giudice d’appello la rimessione in termini e, come si è visto, nel motivo in esame sostiene che la notifica poteva essere ancora eseguita, ragionando peraltro come se non vi fosse già stata la concessione di termine – perentorio – di rinnovazione.

L’invocata Cass. 13637/2017 riguarda quindi, evidente,ente, due fattispecie diverse da quella che si era verificata. La questione deve essere rapportata come già si anticipava identificando la sostanza del motivo – all’art. 153 c.p.c., che vieta la proroga di termine perentorio a meno che il mancato rispetto del termine derivi da fatti non imputabili a chi la richiede (153, comma 2). In questo caso, a tacer d’altro, è evidente l’imputabilità del mancato perfezionamento alla ricorrente, che, pur avendo conosciuto il non raggiunto successo quanto meno alla metà del dicembre 2016 (quando avrebbe depositato gli atti di citazione di integrazione) ha atteso il 31 dicembre prima di attivarsi ai fini dell’ancora necessaria notifica, pervenendo al contrasto con il principio della ragionevole durata del processo e, a monte, inadempiendo l’obbligo di agire con “ordinaria diligenza”, che investe anche il notificare. Prescindendo, allora, dagli profili di non autosufficienza, si deve pervenire al rigetto del motivo.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, tenendo conto pure dell’effettiva carenza di contenuto nella memoria depositata dalla controricorrente.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 6.600, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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