Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20587 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2019, (ud. 26/10/2018, dep. 31/07/2019), n.20587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian A – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14723-2012 proposto da:

NUOVA FERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

elett.te dom.ta in ROMA, alla VIA CELIOMONTANA, n. 38, presso lo

studio dell’Avv. PAOLO PANARITI che, unitamente all’Avv. MARIO

CALGARO, la rapp. e dif. in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., legale rappresentante, dom.to in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rapp. e dif.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/24/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 21/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2018 dal Consigliere Dott. GIAN ANDREA CHIESI;

udito il Pubblico Ministero, nella persona della Dott.ssa PAOLA

MASTROBERARDINO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. MARIO CALGARO, per la parte ricorrente e l’Avv. GIOVANNI

PALATIELLO, per la parte controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. All’esito di controlli a carico della NUOVA FERGIA S.P.A., relativamente ai periodi di imposta dal 1999 al 2002, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Verona, emise un avviso di accertamento a carico della predetta società, per indebita detrazione I.V.A., mancato addebito di imposta in una fattura e conseguente dichiarazione annuale infedele relativa all’anno 2002;

2. Avverso tale provvedimento la società predetta propose ricorso innanzi alla C.T.P. di Vicenza che, con sentenza 4/06/2009, lo accolse limitatamente all’indebita detrazione I.V.A., rigettandolo per il residuo.

3. Tale sentenza fu impugnata dall’AGENZIA DELLE ENTRATE innanzi alla C.T.R. del Veneto che, con sentenza n. 42/24/2011 del 21.4.2011, ravvisata la formazione del giudicato sul punto riguardante l’addebito di imposta in una fattura di vendita, in accoglimento del gravame ed riforma della gravata decisione, annullò la sentenza di prime cure laddove la C.T.P. aveva escluso che la NUOVA FERGIA fosse consapevole di partecipare ad una frode carosello. Al contrario, la C.T.R. ritenne sussistente la conoscenza o, quantomeno, la conoscibilità, ad opera della odierna ricorrente, “di ciò che stava succedendo” (cfr. sentenza impugnata, p. 6, ult. cpv.), giacchè non solo la NUOVA FERGIA risultava essere sostanzialmente l’unica cliente della FINAMRO (avendo acquisito la quasi totalità delle auto commercializzate da quest’ultima), ma aveva altresì costituito, in favore della stessa FINAMRO, una fideiussione bancaria per Euro 1.000.000,00 (unmilione/00); donde la conclusione per cui doveva ritenersi “impensabile” (cfr. ivi, p. 7, cpv.) che la NUOVA FERGIA (a) prima di fornire tale garanzia, non avesse chiesto informazioni bancarie e commerciali sulla beneficiaria, nè (b) che essa, operando sul mercato “da molti anni, non fosse in grado di riconoscere e quindi distinguere i rivenditori corretti da quelli, più o meno fasulli, tenuto conto dei rapporti intercorrenti, anche se modesti, con le ditte importatrici ufficiali dei marchi…commercializzati dalla Finamro” (cfr. ivi, p. 7, cpv.).

Risultava peraltro non credibile che la NUOVA FERGIA non avesse interpellato proprio i rivenditori ufficiali, onde scontare condizioni simili: ciò che, in caso di diniego, l’avrebbe dovuta portare, semplicemente facendo ricorso all’ordinaria diligenza commerciale, ad interrogarsi sui sistemi che rendevano i prezzi praticati dalla FINAMRO competitivi e, in ultima analisi, a realizzare che “ci si trovava di fronte ad operazioni poco limpide alla cui base vi era una frode fiscale” (cfr. ivi, p. 8).

4. Avverso tale decisione la NUOVA FERGIA ha infine proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi (gli ultimi due dei quali trattati congiuntamente e suddivisi, a propria volta, in quattro sottocensure). Si è costituita ed ha resistito con controricorso l’AGENZIA DELLE ENTRATE.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, formulata dalla resistente AGENZIA alla p. 4 del proprio controricorso giacchè, contrariamente a quanto ivi sostenuto, le doglianze svolte dalla difesa della NUOVA FERGIA si rivolgono specificamente non già all’atto impositivo quanto, piuttosto, alla sentenza n. 42/24/2011 della C.T.R. del Veneto.

2. Con i primi tre motivi la NUOVA FERGIA si duole dell’avvenuta ascrizione, a proprio carico, della consapevolezza di partecipare ad una frode carosello, lamentando: a) con il primo motivo, l’error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice del gravame (violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere deciso sulla base di circostanze (Le.: l’acquisto della pressochè totalità delle autovetture commercializzate dalla FINAMRO e la fornitura della fideiussione dell’importo di Euro 1.000.000,00) rilevate d’ufficio dalla C.T.R., non ritualmente introdotte nel giudizio di secondo grado ad opera dell’AGENZIA appellante; b) con il secondo motivo, l’erronea, insufficiente, contraddittoria e carente motivazione del provvedimento impugnato (in relazione, dunque, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), laddove la C.T.R. avrebbe ritenuto gravante su essa contribuente l’onere della prova circa l’estraneità al meccanismo fraudolento oggetto di contestazione, per di più su circostanze non oggetto di contestazione nè di impugnazione (cfr. ricorso, p. 33, penultimo cpv.); 3) la violazione di legge (e, in specie, dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in merito alla ritenuta sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, circa la consapevolezza di essa NUOVA FERGIA di partecipare ad una frode carosello.

1.1. I motivi sono, nel loro complesso, inammissibili.

1.2. La complessiva censura proposta investe la valutazione, operata dalla Commissione tributaria regionale, circa gli elementi di prova sottoposti al suo giudizio, atti dimostrare la consapevolezza, da parte della NUOVA FERGIA di partecipare ad una frode carosello.

1.3. Invero, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’onere della prova che grava sull’Amministrazione si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale e in particolare: a) l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, nel senso che il soggetto formale non è quello reale; b) il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva: non è necessaria, cioè, la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 20.4.2018, n. 9851, Rv. 647837-01).

1.3.1. Quanto all’elemento sub a), l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’Iva il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analogamente per le imposte dirette: v. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), offrendo elementi indiziari (così Cass. 7.6.2017, n. 14237; Cass. 24.9.2014, n. 20059; Cass. 5.12.2014, n. 25778. Nello stesso senso Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C142/11).

1.3.2. Quanto, invece, all’elemento sub b), secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’Iva non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione, in quanto è configurabile una esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’Iva” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14). Sicchè, l’Amministrazione tributaria è tenuta a provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, con espressione efficace, “a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50). Sicchè, in ultima analisi, in ordine alla prova sull’elemento soggettivo del cessionario/committente, non è poi ipotizzabile un automatismo probatorio a suo detrimento: la Corte di Giustizia (22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14) ha infatti espressamente escluso la compatibilità con il diritto unionale di una previsione di legge nazionale che consideri inesistente, in base a criteri predeterminati, il soggetto emittente la fattura e, conseguentemente, neghi al destinatario il diritto a detrazione. La citata decisione ha evidenziato che “il criterio dell’esistenza del fornitore dei beni o del suo diritto ad emettere fatture (…) non figura tra le condizioni del diritto alla detrazione”, rilevando esclusivamente che egli abbia “la qualità di soggetto passivo”; nè, in ogni caso, possono essere individuate, in termini aprioristici, circostanze oggettivamente preclusive del diritto di detrazione (ossia che consentano di “pervenire automaticamente alla conclusione dell’assenza di un’attività economica” ovvero “dell’assenza della qualità di soggetto passivo”) ben potendo esse, di per sè, rinvenire anche altra e congrua giustificazione. E’ necessario, dunque, tenere conto della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti, spettando all’Amministrazione dimostrare, ed al giudice verificare, “alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’Iva”.

1.3.3. Sulla scorta di tale pronuncia, questa Corte ha ritenuto che in alcuni casi “l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva, o che disponga dei relativi documenti” (Cass. 2.12.2015, n. 24490; Cass. 13.7.2017, n. 17290), rimarcando, tuttavia, che continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione. Va peraltro rilevato che l’orientamento unitario e consolidato della Corte di Giustizia individua al centro del sistema il principio della neutralità dell’Iva, che esige, qualora siano rispettati i requisiti sostanziali, che la detrazione dell’imposta pagata a monte sia riconosciuta, e da cui deriva, sul piano logico e giuridico, l’impossibilità di fissare in via astratta e preventiva circostanze che ostino al riconoscimento del diritto di detrazione, esclusa, dunque, ogni predeterminata ed astratta inversione dell’onere della prova (cfr. Corte di Giustizia 7 settembre 2017, Equiom, C-6/16, che, seppure con riferimento ad una diversa questione, precisa che “le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata”).

1.3.4. L’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione. Sicchè se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo.

1.3.5. In tale ottica prospettica, costituiscono elementi di rilevanza sintomatica dell’operazione soggettivamente fittizia: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera.

1.3.6. Refluisce in questa stessa considerazione anche l’ipotesi di operazione triangolare cd. “semplice”, rispetto alla quale la sentenza n. 24426 del 2013 (cui hanno dato seguito Cass. n. 10120 del 21.4.2017 e Cass. n. 3474 del 13.2.2018) aveva ritenuto che “l’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sè, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poichè l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente”. Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, che l’Amministrazione può valorizzare.

1.4. Raggiunta la prova in questione, è quindi onere del contribuente dimostrare la propria buona fede, ossia di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto”, non permettendo una diversa conclusione neppure gli accertamenti eventualmente effettuati ed attesa l’inesigibilità di ulteriori e più approfondite verifiche.

1.4.1 L’onere probatorio incombente sul destinatario può, invero, essere articolato su una pluralità di livelli: esso può investire sia l’asserito carattere di anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emergeva, in ordine all’effettività ed operatività dell’impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, nè tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi. In via meramente esemplificativa, può rilevare, a fronte della contestata carenza di una sede compatibile con l’attività, che essa era utilmente svolta in luoghi diversi dalla sede sociale, e ciò, in ispecie, in caso di esercizio dell’attività in forma dematerializzata o con modalità e-commerce (v. anche Corte di Giustizia 15 novembre 2017, Rochus e Finanzamt, C-374/16 e C-375/16). E’ invece priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti quanto, infine, sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perchè i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato. Si tratta, invero, di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l’ultima, perchè riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (v. Cass. n. 20059 del 2014 cit.; Cass. n. 428 del 14/01/2015; Cass. n. 29002 del 05/12/2017; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, che precisa che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato (…) partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle”).

1.5. Tanto premesso con riferimento al tema della distribuzione dell’onere della prova in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e venendo all’esame degli specifici motivi di ricorso di cui si è dato conto in apertura, rileva il Collegio che: a) in tema di contenzioso tributario, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità. (Cass., Sez. 6-5, 8.1.2015, n. 101, Rv. 634118-01); b) il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand’anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poichè in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo cui le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (Cass., Sez. 2, 4.6.2018, n. 14284, Rv. 648836-01).

1.6. Sicchè, non solo va escluso già in nuce il vizio lamentato con il primo motivo (erroneamente qualificato in termini di extrapetizione), tanto più considerando, peraltro, che la tematica della fideiussione fu oggetto di deduzione ad opera della stessa società oggi ricorrente (cfr. sentenza impugnata, p. 4, primo punto del primo cpv.), ma va dato altresì atto che la gravata decisione ha valutato gli elementi probatori forniti in applicazione dei principi in tema di riparto dell’onere probatorio in materia di operazioni soggettivamente inesistenti (cfr. pp. 68, sebbene valorizzando all’uopo – come illustrato al precedente p. 3 della esposizione dei fatti di causa – elementi diversi da quelli vagliati dalla C.T.P., quali l’acquisto pressochè totale delle autovetture commercializzate dalla FINAMRO e la costituzione di una fideiussione in favore di quest’ultima), risolvendosi i primi tre motivi di ricorso in una – per quanto esposto – inammissibile (siccome diversa) rilettura del materiale istruttorio in atti.

2. Con il quarto ed il quinto motivo, infine, la NUOVA FERGIA S.P.A lamenta, sotto plurimi profili, riconducibili ora al vizio della motivazione (la prime due sottocensure articolate alle pp. 4044 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ora alla violazione di legge (le seconde sottocensure articolate alle pp. 44-45 del ricorso, in relazione al D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 5, comma 4 ed art. 6, comma 6, al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 ed alla L. n. 212 del 2000, art. 7), la decisione assunta dalla C.T.R. in relazione alla congruità della sanzione applicata ad essa originaria ricorrente.

2.1. I motivi – che per identità di questioni agli stessi sottese possono essere trattati congiuntamente – sono, sì come proposti, in parte inammissibili, per violazione del precetto contenuto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in parte infondati.

2.2. Per quanto concerne l’inammissibilità delle prime tre sottocensure (cfr. ricorso, pp. 40-44) osserva il Collegio come la tematica delle sanzioni è appena lambita alla p. 5, terzo e penultimo cpv. della gravata decisione e sinteticamente affrontata – per essere disattesa – alla p. 8, cpv.: non v’è, invece, alcuna traccia, in ricorso, di come le censure relative alle sanzioni siano state originariamente articolate in prime cure nè riproposte (sia pure, erroneamente, sotto forma di appello incidentale) in secondo grado; non è dato comprendere se il riepilogo delle doglianze relative alle sanzioni e contenuto alla p. 38 del ricorso si riferisca a motivi di ricorso sviluppati in prime cure ovvero a motivi riproposti in appello; nè quali siano le ragioni sottese a ciascuna delle censure; nè si comprende, ancora, a quali annualità le sanzioni (e, quindi, le doglianze) si riferiscano, lasciando quindi ermetico il riferimento alle altre annualità contenuto in sentenza. Tale modalità di redazione del ricorso preclude dunque al collegio qualsivoglia valutazione circa la novità o meno delle questioni proposte con i motivi attualmente in esame, nonchè – come correttamente osservato dal P.G. durante la discussione – la loro stessa decisività: sotto il primo profilo, infatti, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto ed in quali termini, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio – arg. da Cass., Sez. 2, 9.8.2018, n. 20694, Rv. 650009-01; sotto il secondo profilo, poi, non è possibile valutare a quale tipologia di sanzioni parte ricorrente abbia originariamente fatto riferimento in prime cure, a quali annualità esse si riferiscano, a quanto ammonti ciascuna di esse.

2.3. Quanto, poi, alla dedotta contraddittorietà tra motivazione e dispositivo (cfr. ricorso, p. 45, ultima sottocensura in cui è articolato il quinto motivo), neppure tale censura coglie nel segno, giacchè la maggiorazione nella misura del 25% – cui fa riferimento la motivazione dell’impugnata decisione – non concerne la determinazione della sanzione-base, calcolata, nella specie, aumentando del 100/0 la sanzione minima prevista per l’imposta evasa, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 e art. 7 (cfr. anche l’avviso di accertamento trascritto alla p. 37 del ricorso), quanto l’applicazione ad essa, in virtù dell’istituto della continuazione (“avendo le parti convenuto, durante la discussione, che la stessa infrazione era stata rilevata anche per altre annualità diverse da quella oggi in discussione” – cfr. sentenza impugnata, p. 8), dell’ulteriore aumento previsto dal medesimo D.Lgs. n. 472, art. 12 (cfr. ricorso, p. 38): sicchè, a ben vedere, alcuna contraddittorietà sussiste tra il dispositivo della gravata decisione (di accoglimento dell’appello dell’AGENZIA e, quindi, di conferma della legittimità della sanzione inflitta, calcolata nei termini innanzi illustrati) e la motivazione che lo precede, la quale dà semplicemente conto della ragioni per cui la C.T.R. ritiene corretta l’applicazione dell’ulteriore aliquota del 25% di cui si è detto.

3. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della NUOVA FERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE delle spese del presente grado di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Per l’effetto condanna la NUOVA FERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 17.000,00 (diciassettemila/00) per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 26 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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