Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20586 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 07/10/2011, (ud. 21/04/2011, dep. 07/10/2011), n.20586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONCMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso la quale sono domiciliati in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

Curatela del fallimento TRE STELLE ARIANNA IMPORT EXPORT s. coop. a

r.l., in persona del curatore, rappresentata e difesa dall’avv.

Gattinara Giovanni B. presso il quale è elettivamente domiciliato in

Roma in via Pasubio n. 2 (studio avv. Marco Merlini);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 1133/39/05, depositata il 9 giugno 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

aprile 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Formia, ha confermato l’annullamento dell’avviso di rettifica della dichiarazione annuale dell’IVA per l’anno 1996 presentata dalla curatela fallimentare della s. coop. a r.l. Tre Stelle Arianna Import Export. Con l’avviso era stata contestata l’omessa annotazione nei registri IVA di una fattura per acquisti intracomunitari del 10 maggio 1996, la quale avrebbe dovuto essere integrata dall’IVA con contestuale emissione di autofattura, e veniva perciò accertata imposta inevasa per L. 48.831.000 oltre a interessi, e comminata la sanzione di L. 61.038.000.

La Commissione regionale ha rigettato l’appello dell’ufficio, ed ha confermato l’annullamento dell’avviso, sul rilievo che, per il committente che non abbia proceduto ad autofatturazione, con le disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6 non solo sono state ridotte le sanzioni, ma è stata azzerata l’imposta dovuta; la nuova disciplina troverebbe applicazione anche ai fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore, ossia, come nella fattispecie, prima dei 1 aprile 1988, laddove in base alla precedente disciplina, dettata dal D.L. 10 giugno 1994, n. 357, art. 7, comma 4 bis, in aggiunta alle sanzioni vere e proprie il cessionario o committente che non avesse regolarizzato il comportamento del suo dante causa era tenuto al pagamento dell’imposta, sempre che la fattura non risultasse omessa. Il favor rei, quindi non si applica alle sole sanzioni, ma spiega i suoi effetti sulla stessa imposta, prima concepita come ulteriore punizione.

Il fallimento della contribuente resiste con controricorso e propone un motivo di ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza, vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia.

Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, ove occorrer possa, n. 4, c.p.c”, l’amministrazione assume che, a norma del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6 la sanzione prevista (“pari al cento per cento dell’imposta”) andrebbe applicata nel caso in cui sia stata emessa fattura irregolare senza che il cessionario abbia provveduto a regolarizzarla secondo le modalità indicate alla lett. b) – vale a dire presentando all’ufficio competente, entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni prescritte dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21 previo versamento della maggiore imposta dovuta, e che quindi alla società cessionaria che abbia ricevuto fattura irregolare, per mancata contemplazione dell’IVA, andrebbero irrogate le previste sanzioni ove l’operazione non sia stata regolarizzata secondo le previste modalità.

Con il secondo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, ove occorrer possa, n. 3”, deduce che l’affermazione che non vi sarebbe prova neanche del ricevimento delle merci sarebbe stata fatta dalla contribuente per la prima volta nell’atto di costituzione in appello, e peraltro contrasterebbe con quanto dichiarato a verbale e nello stesso ricorso introduttivo del giudizio di prime cure.

Con il terzo motivo, denunciando motivazione contraddittoria e in ogni caso insufficiente, censura la sentenza per essersi limitata ad indicare il solo iter logico giuridico che ha condotte il collegio giudicante a ritenere non fondata la domanda in relazione al pagamento dell’IVA, senza pronunciarsi affatto in merito alle sanzioni irrogate, pari ad Euro 31.523,50, interamente dovute a prescindere dall’imposta.

Con il ricorso incidentale, denunciando “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, il fallimento della Tre Stelle Arianna si duole che il giudice d’appello non si sia pronunciato sull’intero merito della lite, in relazione al quale è omessa ogni motivazione, e si sia limitato ad affrontare preliminarmente la questione del favor rei, sia pure risolvendola in modo favorevole ad essa contribuente, senza alcuna pronuncia sul fatto che costituirebbe lai violazione della normativa invocata dall’Erario, così da far presupporre, che la violazione stessa sia stata ritenuta sussistente.

Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte quello secondo cui “in tema di IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 6, (nel testo in vigore ratione tenporis, anteriore all’intervento abrogativo e sostitutivo operato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471), nel disporre che al cessionario di beni o committente di servizi si applichino, in caso di omessa o irregolare fatturazione e mancata regolarizzazione, “le pene pecuniarie previste dai primi tre commi, oltre al pagamento della imposta”, considera tale prelievo, compreso quello d’importo pari all’imposta, quale sanzione, ferire restando le obbligazioni verso l’erario del cedente ai beni o prestatore di servizi per l’imposta, le sanzioni a suo carico e le dichiarazioni annuali. Pertanto, in virtù del principio di legalità stabilito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, anche riguardo a detto prelievo, qualificato “pagamento dell’imposta” dall’art. 41 cit., si applica la norma posteriore (e cioè il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6), più favorevole al contribuente” (Cass., sezioni unite, 27 dicembre 2010, n. 26126, Cass. n. 5268 del 2005).

Ciò posto, è erronea nella sua assolutezza l’affermazione del giudice di merito – che perviene alla conferma dell’annullamento dell’avviso disposto in primo grado – secondo cui “il D.Lgs. n. 471 del 1997 … non solo ha ridotto le sanzioni pendenti, ma ha addirittura azzerato l’imposta dovuta dal committente che non ha proceduto all’autofatturazione”, e secondo cui “le fatture ricevute ante 1998 e non regolarizzate non obbligano i cessionari al pagamento dell’imposta messagli in conto dall’abrogata normativa”.

L’applicazione della disciplina nuova, recata dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, a tenore della quale il cessionario non è, nei casi detti, punito con la (sola) “sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di Euro 258”, è infatti subordinata alla regolarizzazione dell’operazione secondo le modalità previste alle successive lett. a) e b) dello stesso comma, relative, rispettivamente, all’ipotesi in cui non sia stata ricevuta la fattura, ed all’ipotesi di ricezione di una fattura irregolare. Di tale avvenuta regolarizzazione la sentenza impugnata non fa cenno, affermandone, anzi, la non necessità alla stregua della disciplina nuova (“le fatture ricevute ante 1998 e non regolarizzate non obbligano i cessionari al pagamento dell’imposta messagli in conto dall’abrogata normativa”).

Solo in tali limiti, vale a dire nel senso che “il pagamento di una somma pari al cento per cento dell’ imposta, con un minimo di Euro 258”, costituisce la sola sanzione oggi prevista, in forza dell’applicazione del principio del favor rei, a carico del cessionario nei casi in esame, in luogo del complesso delle sanzioni previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comma 6, può dirsi fondato il terzo motivo, con il quale si lamenta vizio di motivazione in ordine all’applicabilità delle sanzioni.

E’ invece infondato il secondo motivo del ricorso principale, in quanto dallo stesso ricorso per cassazione dell’amministrazione emerge che la contribuente aveva impugnato l’atto affermando, tra l’altro, che la merce indicata nella fattura “non era stata tutta realmente acquistata”, e dalla sentenza di primo grado risulta che la CIP, “in relazione al contenuto degli atti di parte ricorrente, prende atto che la fattura, comunque faceva riferimento a merce non pervenuta …”.

Non può dirsi perciò che la circostanza della non ricezione delle merci fosse un fatto non acquisito già al dibattito processuale, e che, quindi, il non esservi prova della ricezione delle merci costituisse un’eccezione nuova, sollevata per la prima volta in appello.

Quanto al ricorso incidentale, esso ha ad oggetto questioni sulle quali la Commissione regionale, prendendo in considerazione il solo profilo concernente l’applicazione e la portata nella specie del principio del favor rei, non si è pronunciata. Ciò determina l’assorbimento dell’impugnazione, sicchè all’esame delle questioni poste provvedere il giudice del rinvio.

In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale e, nei limiti indicati, il terzo motivo, mentre va rigettato il secondo motivo, assorbito il ricorso incidentale, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale e, nei limiti indicati, il terzo motivo, e rigetta il secondo motivo, assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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