Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20585 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 29/09/2020), n.20585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO di NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12604/2014 R.G. proposto da:

F.D. rappresentato e difeso giusta delega in atti

dall’avv. Barbera Gioacchino (PEC avv.barberag.ipec.giuffre.it) con

domicilio eletto in Roma, via L. Mantegazza n. 24 presso il Dott.

Gardin Marco;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 13/07/13 depositata il 14/02/2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

17/12/2019 dal Consigliere Succio Roberto.

 

Fatto

Rilevato

Che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha respinto l’appello del contribuente e quindi, confermando la sentenza di primo grado, sancito la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento con il quale si ridetermina l’IVA 2005 a seguito di disconoscimento di un credito d’imposta;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente con atto affidato a quattro motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria.

Diritto

Considerato

Che:

– vanno affrontati e risolti in primis il terzo -e il quarto motivo di ricorso, per le ragioni che si diranno;

– infatti secondo questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11458 del 11/05/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 363 del 09/01/2019) in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.;

– venendo pertanto all’esame degli ultimi due motivi, il terzo motivo si duole dell’omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo più recente circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, ovvero nel testo più risalente per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento alla L. n. 241 del 1990, art. 3, commi 1 e 3 e della L. 212 del 2000, art. 7 per avere la CTR ritenuto che la violazione delle disposizioni in oggetto fosse riferibile alla sentenza di primo grado invece che alla cartella impugnata;

– il quarto motivo si incentra sulla violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, della L. n. 241 del 1990, art. 3, commi 1 e 3, della L. 212 del 2000, art. 7 e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, tutti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR omesso di verificare se in concreto l’azione di recupero della maggior imposta dovuta in forza della rettifica della dichiarazione fosse stata da esercitarsi per mezzo dell’avviso di accertamento invece che D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis con la mera rettifica di natura puramente liquidatoria prevista da tal disposizione;

– i sopradetti motivi sono strettamente connessi tra di loro dal punto di vista logico – giuridico e possono trattarsi quindi congiuntamente;

– la Corte in primo luogo rileva dalle ultime righe di pag. 5 della sentenza gravata come la CTR abbia ritenuto assorbite le questioni relative alla “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e sull’infondatezza della pretesa fiscale”;

– orbene, la figura dell’assorbimento ricorra non solo quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno (cd. assorbimento proprio), ma anche quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (cd. assorbimento improprio) (cfr. Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17219; Cass. 16 maggio 2012, n. 7663);

– l’assorbimento, anche se improprio, non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (così, Cass. n. 28663 del 2013). Pertanto, la mancata espressa pronuncia sulla domanda ritenuta assorbita – nel caso in esame, implicitamente rigettata – può essere censurata contestando la correttezza della valutazione di assorbimento effettuata dal giudice di appello, avendo questa costituito la motivazione della decisione assunta, e, dunque, con il rimedio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che risulta articolato al terzo motivo;

– venendo ora al punto in questione, specificamente riferito all’applicazione al caso in oggetto della procedura D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, questa Corte osserva come la CTR abbia integralmente richiamato e fatta propria la motivazione della CTP di Bari, trascritta in sentenza;

– il secondo giudice ha ritenuto in concreto illegittima la compensazione operata dal contribuente con un credito d’imposta risalente al 2003, credito spettante L. n. 289 del 200, ex art. 63, comma 1, lett. b), in quanto non più utilizzabile;

– orbene, tale affermazione costituisce senza dubbio risultato di valutazioni e interpretazioni giuridiche, esplicitate anche nelle controdeduzioni dell’Ufficio trascritte in ricorso a pag. 21 e non poteva quindi dar origine ad una pretesa tributaria manifestata e veicolata per mezzo della cartella di pagamento; in tal senso si è già espresso questo Giudice di Legittimità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 7960 del 21/03/2019), statuendo che in sede di controllo c.d. “cartolare” della dichiarazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, la procedura automatizzata non consente verifiche e valutazioni giuridiche, trattandosi di modalità che muove dai dati forniti dallo stesso contribuente, sui quali l’Amministrazione finanziaria può solo procedere a correzione di errori materiali o di calcolo, ovvero a riduzione, entro i limiti di legge, di detrazioni o deduzioni esposte in misura superiore;

– inoltre l’interpretazione delle disposizioni in materia proposta dall’Erario è stata avallata dal primo come dal secondo giudice, ma entrambi hanno commesso anche errore di diritto; essa invero è contraria alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10775 del 08/05/2013) il credito di imposta concesso, nella forma della compensazione e per situazioni di capienza debitoria verso l’Erario, dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 1, ai datori di lavoro che, nel periodo compreso tra il 1 ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003, abbiano incrementato il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, costituisce un diritto soggettivo del contribuente, discendendo tale beneficio “ex lege” – anche a seguito della fissazione delle condizioni di fruibilità precisate dalla norma di proroga fino al 31 dicembre 2006, disposta con la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63 della – dall’atto di assenso espresso dall’Agenzia delle Entrate e vigendo un criterio di competenza, cioè valendo per le assunzioni e i rapporti di lavoro instaurati entro il 31 dicembre 2003. Ne consegue che tale diritto può essere esercitato entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, non assumendo alcuna vincolatività, ai fini della determinazione del termine di fruizione del beneficio, la circolare interpretativa della Amministrazione finanziaria (nella specie, del 9 aprile 2004, n. 16/E) che stabilisce un termine di utilizzo non successivo al primo versamento posteriore alla sua emanazione, non essendo essa fonte di diritto ma atto unilaterale della P.A., destinato ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività dei propri organi;

– pertanto, nei termini sopra precisati, l’articolazione dei motivi terzo e quarto di ricorso è complessivamente fondata;

– conseguentemente il ricorso è accolto limitatamente a quanto sopra illustrato; i restanti motivi sono – qui correttamente – assorbiti nella decisione dei motivi che precedono;

– non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso originario del contribuente.

PQM

accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese dei gradi del merito; liquida le spese del presente giudizio di legittimità in Euro 2.300,00 oltre al 15% per spese generali, CPA ed IVA di legge che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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